Fare anche solo un elenco delle forze in campo e dei loro rapporti (spesso contraddittori) è oggi estremamente complicato.
Da un lato vi è il governo siriano che con il proprio esercito ha il controllo dell'area centrale, meridionale e occidentale del Paese; da un altro lato vi sono le forze del cosiddetto “esercito libero siriano” (braccio armato dell'organismo che raggruppa molte parti della variegata opposizione al governo di Bashar Al Assad) sovvenzionate ed appoggiate da varie nazioni europee e dagli Stati Uniti; vi sono poi lo stato islamico (che tiene sotto scacco parte della Siria e buona parte dell'Iraq in una prevedibilissima estensione del conflitto alle nazioni prossime – anche politicamente - alla Siria) ed i curdi, a loro volta divisi tra chi – come il leader del Kurdistan iracheno Barzani – vorrebbe uno scontro aperto (al posto dell'attuale, e per molti aspetti non chiara, stasi) con il governo siriano e chi invece – è il caso del leader del PYD Saleh Muslim – non indica né una via d'uscita né possibili alleanze isolando di fatto i curdi siriani rispetto a tutte le altre parti in conflitto.
A complicare poi in questi ultimi mesi una situazione di per sé intricata è l'internazionalizzazione in corso del conflitto: il rischio sempre più concreto di un intervento diretto statunitense volto ad indebolire Al Assad ed a lasciare – nei fatti – mano libera allo stato islamico (che pure gli USA dicono di voler combattere), le possibili ripercussioni in Libano (Hezbollah è tra le forze belligeranti non solo al confine tra Siria e Libano ma sullo stesso territorio siriano) ed i rischi di implosione per l'Iraq (vittima a sua volta di tensioni etnico-religiose e sulla collocazione internazionale del Paese).
Detto degli elementi principali che rendono complessa la situazione siriana vi sono alcuni punti fermi che è bene tenere a mente: l'affermarsi dell'estremismo sunnita come principale forza che contrasta il governo siriano ha trasformato il conflitto in una guerra tra – mi si perdoni la retorica – il bene e il male; i curdi in questa lotta sono tra le forze principali (insieme all'Esercito Arabo Siriano) che si trova sulla diretta linea del fronte con lo stato islamico, il loro sacrificio a difesa della loro esistenza e della civiltà è esemplare, anche se il loro atteggiamento nei confronti del legittimo governo siriano pone seri dubbi sull'efficacia e sulla prospettiva a medio-lungo termine per il Kurdistan siriano; è necessaria una coalizione internazionale per fermare lo stato islamico e consentire una riconciliazione nazionale (che dovrà essere gestita dagli stessi siriani). Questa coalizione internazionale per svolgere un ruolo positivo deve avere le seguenti caratteristiche: le sue azioni debbono essere concordate con il legittimo governo siriano e non debbono mirare al suo rovesciamento (quest'ultimo aspetto escluderebbe automaticamente gli Stati Uniti e la Turchia); la coalizione deve vedere coinvolte anche nazioni amiche della Siria (Iran e Russia su tutte, ed in particolare quest'ultima, che ha già dimostrato sulla vicenda dell'arsenale chimico siriano di riuscire a svolgere una positiva azione di distensione); va rafforzato - da parte delle nazioni occidentali in primo in luogo - il governo iracheno e non va delegittimata la leadership sciita (che pur non essendo esente da critiche - tutt'altro - è il principale argine nel contrasto dell'estremismo religioso e per l'unità del Paese).
In conclusione, un conflitto che avrebbe potuto risolversi in tempi rapidi evitando centinaia di migliaia di vittime, è cresciuto in intensità ed estensione a causa di una squallida ed inqualificabile ingerenza straniera (con molti aspetti da chiarire riguardo le superfici di contatto tra estremismo sunnita e potenze occidentali).
Gli Stati Uniti e l'Unione Europea non hanno la volontà (ed anche ammesso non avrebbero la credibilità) di spegnere l'incendio, ma potrebbero, quantomeno evitare di gettargli sopra benzina, prima che le fiamme lambiscano anche noi.
Immagine ripresa liberamente da www.theguardian.com