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Giovedì, 15 Gennaio 2015 00:00

Tutta colpa di Napolitano?

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Napolitano si è dimesso. Il re se ne è andato. Se ne è andato il re.

Va bene. Ma facciamo attenzione a non cantare vittoria. Che la permanenza di Giorgio Napolitano al Colle abbia tradito le aspettative di chi festeggiava l'arrivo di un comunista (seppur amendoliano) al Quirinale con un mandato nefasto è poco ma sicuro. Dalla nomina di Mario Monti a senatore a vita per poi consegnargli un “governo tecnico” (speravamo di aver già dato con gli anni '90 e Amato), il governo Letta, il giochino di Renzi e “il sacrificio” del secondo mandato (ha detto che al Quirinale si sentiva in prigione... Consigliamo vivamente un giro a Sollicciano per poter poi parlare con cognizione di causa).

Possiamo poi aggiungere la firma della riforma delle pensioni della Fornero, del Jobs Act e l'apertura alle riforme costituzionali. Potremmo stare ore a discuterne ma il punto a mio parere resta un altro. Nel dopoguerra, al momento di ricostruire uno stato massacrato dal fascismo e dalla guerra, si scelse di dare alla nuova Italia una forma statale che scongiurasse il rischio di ritrovarsi nuovamente con “l'uomo della provvidenza” al potere. I padri costituzionali optarono per una Repubblica parlamentare. Una Repubblica nella quale è il Parlamento, per l'appunto, il centro di tutto. Leggi elettorali più o meno maggioritarie possono spostare l'ago della bilancia a favore di una più completa rappresentanza o di una più efficace governabilità, ma il centro nevralgico del sistema resta il Parlamento. Il governo ha facoltà legislative che, oltre ad avere bisogno della conferma parlamentare, sarebbero (dico sarebbero dal momento che negli ultimi anni sono stati più che abusati) vincolati a requisiti di necessità e urgenza. Il Presidente della Repubblica ha un ruolo simbolico e di garanzia. Gli spazi di manovra politica, proprio conseguentemente a quello che dicevamo prima, sono limitati alla possibilità di rispedire alle Camere un disegno di legge, con l'obbligo di firmare nel caso l'assemblea riconfermasse il testo e a poco altro.

Ora, che Napolitano non abbia mosso mezzo dito per tentare di fermare la distruzione dei pochi diritti che restano in Italia e l'avvio di riforme costituzionali che potrebbero farci veramente rimpiangere ciò che malediciamo oggi, è verissimo. Che nel suo ruolo di rappresentante dello Stato abbia promosso l'idea per la quale oggi in Italia o si appoggia quell'unico, grande partito che governa (mettendoci dentro da Popolo della Libertà a Partito Democratico a Nuovo Centro Destra) o si è dei banditi che tifano per lo sfascio dell'Italia è altrettanto vero. Ma ciò che non mi torna è come si possano festeggiare le dimissioni di Napolitano quando il Parlamento e il governo restano gli stessi.

Mettiamo che a fine gennaio il Parlamento, in seduta comune, elegga un presidente della Repubblica che cambi completamente rotta. Un presidente che si opponga ad ulteriori riforme del lavoro in nome della flessibilità e che cerchi di difendere la forma parlamentare di questa Repubblica. Quali pensiamo possano essere gli strumenti a sua disposizione? Durante la prima Repubblica, quando ancora le cose funzionavano come era scritto dovessero funzionare, un monito da parte del capo dello Stato non poteva essere ignorato. C'erano ancora delle consuetudine costituzionali che facevano sì che alcune regole, anche se non scritte, venissero rispettate. E in questo senso il ruolo di garanzia del Presidente aveva un perché. Da due legislature a questa parte, tutto è stato stravolto: dall'usanza di affidare all'opposizione la presidenza delle Camere a quella di tenere separate le cariche istituzionali da quelle di partito.
Abbiamo come Primo Ministro un rampante quarantenne che ha scalato il suo partito diventando segretario. E che con appoggio di quella che doveva essere l'opposizione, ha fatto cadere il governo guidato proprio dal partito di cui fa parte. Per poter poter fare un governo suo. Un governo che a suon di decreti riforma il mercato del lavoro e gestisce le grandi opere.

Ecco, un governo così, un Presidente del Consiglio così, crediamo davvero si faccia problemi a dover fronteggiare un Presidente della Repubblica che fa raccomandazioni e che lancia moniti?
Secondo il mio modestissimo parere, la verità è che sotto sotto ci fa comodo pensare che il “Male” assoluto fosse Napolitano. Ci solleva dalle nostre responsabilità. Riconoscere che il vero problema è che il Parlamento vara e vota qualunque cosa Renzi chieda comporterebbe da parte di ciascuno di noi l'assunzione delle proprie responsabilità. Perché se il Parlamento fa schifo la colpa è nostra che lo abbiamo votato. O non siamo andati a votare, che è esattamente la stessa cosa.
E non raccontiamoci che la colpa è dei partiti che non ci fanno scegliere con le primarie chi votare. Primo perché il PD le parlamentarie le ha fatte e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Secondo perché le primarie altro non so che la soluzione per i pigri. La Costituzione, che già abbiamo citato, prevede che l'attività politica venga fatta principalmente attraverso i partiti. I partiti, per quanto possano disgustarci, sono organismi aperti e permeabili, in cui ogni iscritto a modo di far valere la propria tessere e dire la propria (se poi non vi è possibile, forse significa che avete scelto male, ma questo è un altro conto). Riappropriamoci del nostro ruolo completo di cittadini, leggendo, informandoci, ragionando e partecipando. Questo è l'unico, vero antidoto alla trasformazione in senso presidenziale della Repubblica, la prossima battaglia, questa davvero campale, che ci troveremo ad affrontare.

Smettiamo quindi di fare gli italioti, mai disposti a muovere un dito per cambiare le cose (al massimo crediamo di fare la rivoluzione votando un referendum online) ma subito pronti a puntare il dito contro il capro espiatorio di turno. Riconosciamo quindi i limiti e gli errori di Napolitano, ma non facciamo finta che abbia fatto tutto da solo, perché è veramente da ipocriti.

Ultima modifica il Giovedì, 15 Gennaio 2015 00:00
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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