Il presidente della Commissione ha deciso di soffermarsi, nel delineare le linee di azione generali per i prossimi mesi di lavoro, su cinque punti ritenuti, evidentemente, strategici e che vanno dalla necessità di allargare gli accordi commerciali in cui è coinvolta l’Unione a quella di rafforzare il nostro settore industriale, da un maggiore investimento in cybersecurity all’impegno nella gestione del cambiamento climatico all’irrinunciabile questione dei flussi migratori.
La sensazione che si ha nel leggere il discorso fatto da Junker è quella di una fiducia e di un ottimismo del tutto ingiustificati: come molto, troppo spesso accade, le riforme e i cambiamenti che vengono promessi vengono giustificati con l’impellente necessità di rafforzare la crescita, la sicurezza e la stabilità dei cittadini europei ma in realtà si rivelano essere, sin dall’inizio, specchietti per le allodole.
Il discorso si apre con la nota di ottimismo legata alla costante crescita economica (quinto anno di fila) dei paesi dell’Unione e alla diminuzione della disoccupazione ma non un accenno sul fatto che questa crescita riguarda, purtroppo, settori sempre più piccoli della società, al fatto che non coinvolge egualmente tutti gli stati membri e soprattutto, si evita scientificamente ogni accenno a politiche quali quelle fiscali o salariali che potrebbero sì realmente contribuire ad una diffusione di ricchezza e benessere nel continente.
Lo stesso avviene per la questione del cambiamento climatico, indicata giustamente come cruciale e al centro di un acceso dibattito dopo il ritiro dell’adesione degli USA dall’Accordo di Parigi: da una parte se ne percepisce la centralità, dall’altra si nota facilmente come anche per l’Unione, in fondo in fondo, la questione climatica e delle risorse energetiche sia in realtà vincolata ad interessi di altra natura. Il giorno precedente al discorso, infatti, il Parlamento ha approvato (nonostante l’opposizione del GUE) il rapporto Buzek che, incrementando l’importazione di gas da paesi come Arabia Saudita e Qatar, nei fatti va a ridimensionare l’impegno dell’Unione nell’investimento in risorse rinnovabili.
Lo stesso leitmotiv di un’Europa che è più forte solo se è più unita, nelle parole di Junker si concretizza solo nella proposta di un ministro europeo per l’Economia e la Finanza: il rafforzamento dell’Unione passa, secondo chi la guida attualmente, esclusivamente per l’accentramento del settore economico (processo che ha fatto un enorme balzo in avanti grazie all’istituzione del meccanismo del Semestre Europeo) così da evitare qualsiasi tipo di deviazione dal percorso di austerità oramai da anni indicato come messianico.
Infine, questa breve analisi, non può non soffermarsi sulle parole che il presidente della Commissione ha speso a proposito della questione dei migranti. Tema fondamentale, sul quale l’Unione ha davvero rischiato di spaccarsi nel corso dello scorso anno. Junker ha rivendicato il successo della gestione dei flussi grazie all’accordo criminale firmato con la Turchia, che ha permesso la chiusura del corridoio balcanico al prezzo di crimini e atrocità di cui probabilmente non conosceremo mai i dettagli. Sulla stessa linea, ha elogiato l’operato dell’Italia che “ha salvato l’onore dell’Europa nel Mediterraneo” grazie all’accordo firmato dal Governo Gentiloni con quello libico. Si continuano a chiudere gli occhi sui crimini che si celano dietro questi accordi (a tal proposito, un flebile impegno a garantire condizioni di soggiorno umane per i rifugiati in Libia) e sulle disfunzionalità ed ingiustizie che discendono dallo scellerato accordo di Dublino mentre contemporaneamente l’Europa continua ad essere indicata come terra di accoglienza e umanità.
In poche parole, un discorso che racconta un’Europa che non esiste e preannuncia un’Europa che non ci piace.