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Martedì, 26 Luglio 2016 00:00

Apocalissi queer - parte II

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In tutta la società organizzata sulla riproduttività eterosessuale, la negatività di un sesso non riproduttivo viene caricata sulle spalle dei soggetti queer che non possono essere “redenti” da alcun fine riproduttivo, in particolare i rapporti anali, che suscitano disgusto perché rappresentano un’abdicazione del maschio alla sua virilità e alla sua sovranità. Quindi abbiamo, da una parte, i soggetti queer che cercano la propria “redenzione” nel riconoscimento dei diritti civili (matrimonio, adozione) e quindi l’inclusione nel modello di società liberale, dall’altra abbiamo queste teorie che invitano a restare ancorati alla propria specifica “negatività” che non può venire “redenta” dai diritti matrimoniali, civili e che non cerca l’assimilazione e l’integrazione in questo tipo di società, anzi “il valore della sessualità stessa è di umiliare la serietà degli sforzi di redimerla1.

Bersani in “Is the Rectuma Grave” esalta

il valore del sesso in quanto godimento solipsistico, socialmente disfunzionale, che isola il soggetto dalla comunità: nella perturbante ontologia di Bersani, il soggetto propriamente sessuale, diversamente dal soggetto assoggettato al dispositivo di sessualità di cui parla Foucault, non cerca di procurare al proprio io un riconoscimento sociale, ma è piuttosto agito da una pulsione dissipativa dell’io che lo conduce alla valorizzazione di sé e all’umiliazione. […] Secondo lui, le teorie queer dovrebbero interrogare la disfunzionalità del sessuale (della pulsione di morte) nel processo di edificazione del sé individuale, nel tentativo di rivoluzionare la concezione corrente del soggetto, e il movimento queer dovrebbe sfidare radicalmente le pratiche della socialità «liberale» mettendo in discussione il valore stesso della socialità […] sfidare la political correctness degli anni novanta per evidenziare il carattere perturbante che l’omosessualità assume quando non si erge eroicamente a paladina della tolleranza e del pluralismo, ma giace mollemente ripiegata in un’esistenza fuorilegge che sfida ogni ordine sociale2.

Quello che più spaventa/disgusta alla società liberale dell’omosessualità maschile non è solo il suo carattere di abdicazione alla sovranità del soggetto (anzi, del maschio) nella sua ricerca di un godimento passivo e femminile (la penetrazione, in questo caso anale), ma anche la tendenza a una pulsione di disintegrazione e dissipazione del sé, la tendenza a una perdita di controllo dell’io:

la rinuncia al ruolo attivo rappresenta simbolicamente non soltanto l’abdicazione a una posizione di potere, ma anche la testimonianza dell’esistenza, nell’umano, di una tendenza alla dissoluzione della padronanza dell’io su sé, che confligge con l’immagine con cui in millenni di storia il soggetto egemone – maschio, eterosessuale, bianco – si è autorappresentato e autopromosso. Ciò che la logica fallocentrica e omofobica maschile non può sopportare sarebbe insomma l’esistenza della pulsione di morte e la conseguente possibilità non solo di un piacere della passività, ma di uno stato prodotto dalla perdita di controllo, dall’impotenza, dall’umiliazione”3. La passività anale, come rinuncia alla propria sovranità e come dissipazione del proprio sé, è simbolo della morte del soggetto maschile che l’omosessualità incarna nell’immaginario della società eterosessuale e che il virus dell’AIDS ha reso tragicamente plastica e concreta: “secondo Bersani l’AIDS non ha fatto altro che rendere letterale quella minaccia di morte che il sesso omosessuale rappresenta da sempre nell’immaginario eterosessuale. Per Bersani, il retto è la tomba di una certa forma di soggettività, orgogliosa di sé, maschilista e omofoba. E il movimento gay non dovrebbe in alcun modo tentare di redimerlo da questo suo carattere esiziale […], ma dovrebbe al contrario celebrarlo in quanto luogo d’impianto privilegiato della pulsione4.

Dunque questa morte momentanea dell’io nel sesso omosessuale è al tempo stesso la rivendicazione di una pulsione che risucchiando il soggetto costringendolo ad una piena adesione al presente, diventa imperativo di godimento – contro la logica del sacrificio del presente assorbito dalla progettualità del futuro di cui la famiglia è il compendio – e che non trova spazio nell’ideale patinato di una società che annulla il sessuale per addomesticarlo o “redimerlo”.

Nelle teorie queer antisociali vi è una rivendicazione del negativo, un recupero del negativo e della marginalità, dell’abnegazione, dell’oscenità, del sesso dissipativo, a volte in modo profondamente radicale. Forse non sono teorie politiche, o meglio, non lo sono nel senso classico che possiamo dare al termine politica. Qui non c’è l’aspirazione a una società ugualitaria e solidale, né siamo su un piano normativo. Sono forse teorie impolitiche, forse persino immorali, ma che possono costituire un antidoto rispetto alla trappola di una certa retorica in cui alcune teorie queer rischiano di cadere. Partono da esperienze o esistenze sessuali che non sono immediatamente traducibili politicamente, come invece accade in Foucault e Butler, per i quali il corpo, la sessualità, sono fin da subito politicizzati, caricati politicamente. Qui c’è piuttosto la rivendicazione del non senso della sessualità, del suo aspetto più perverso e perturbante, che ovviamente deve esser ben arginato dall’immagine perbenista e rispettabile con cui un omosessuale deve presentarsi alla società per poter “chiedere l’autorizzazione” a vedersi riconosciuta la propria dignità umana, ma sacrificando ciò che è nella sua specificità. Allo stesso tempo si avverte la critica al futuro inteso in senso liberale in una prospettiva antieconomica e appunto, antiliberale: c’è una spinta vertiginosa, risucchiante e posticipatoria del presente verso il futuro, oggi si fanno “investimenti” sul bambino che sarà il lavoratore cognitivo di domani.

L’oggi è fagocitato dalla progettualità e dagli investimenti sul il futuro perdendo di vista il godimento di quel presente, che invece queste teorie rivendicano. Edelman ad esempio invitava i soggetti queer “ad abbracciare il proprio sintomo sessuale e a farne uno scudo contro la retorica «futurista» che vorrebbe addomesticarli per includerli in una civiltà fondata sulla famiglia e sulla perpetuazione delle generazioni5. Nell’odierna fase del capitalismo però in realtà bisogna ammettere che questa aspettativa del futuro è venuta meno, la precarietà della vita dei soggetti (lavorativa, affettiva, esistenziale) ha annullato la progettualità del futuro e, allo stesso tempo, quell’esortazione al godimento, che per autori come Edelman era funzionale alla polemica anti “futurista” (e che quindi poteva apparire rivoluzionaria), oggi sembra essere un imperativo, benché paradossalmente in contraddizione con l’altro imperativo dei giorni nostri: il sacrificio e l’austerità. Pertanto

"l’asocialità progettuale di Edelman per molti è diventata oggi semplicemente una necessità […]. Può darsi che il tempo del queer sia finito, e può anche darsi che a decretarne la fine sia stata proprio la logica del no future, quando il motto punk è diventato un’ingiunzione del capitalismo neo-liberista e questo ha catturato le esistenze queer nella sua spirale mortifera. Ma nulla impedisce di pensare oltre la fine, spiccando un salto al di là della pulsione di morte. Perché un altro immaginario è possibile oltre a quello in cui sul presente gravava la pesante ipoteca del futuro. E un altro presente è possibile, in cui, attraverso la doppia obbedienza all’imperativo del godimento e a quello di austerità a cui le nostre vite precarie sono oggi soggette, si apra un nuovo accesso al tempo non lineare ma puntuale dell’azione, singolare e collettiva (Arendt 1958; Bloch 1959), in cui chi scelga di rifiutare questa civiltà e di entrare a far parte di una «tribù» dei queer possa rintracciare nel passato «voci profetiche» che lo dispongano a pensare e a praticare il nuovo6.

La stessa sfera sessuale oggi non è più così sublimata dal fine riproduttivo: tanto gli omosessuali quanto gli eterosessuali il più delle volte non fanno sesso per riprodursi, benché la famiglia, il matrimonio o l’unione civile rimangano, almeno a livello ideale, le uniche possibilità a cui le minoranze sessuali sembra debbano tendere per potersi sentire accolti dalla e inclusi nella società. E ribadiamolo, qui non si tratta ovviamente di essere contro i diritti civili, per cui a mio avviso è sacrosanto continuare a battersi, ma esser consapevoli che assumere i ruoli del buon padre o della buona madre non esaurisce la specificità dei soggetti queer, ma va a proporre un’immagine più edulcorata e conformista di questi ultimi (l’unica che può essere “accettata” dalla società, in maniera forse anche un po’ipocrita) che però annulla in parte quegli aspetti (legati soprattutto alla sessualità, in particolare, come abbiamo detto alla passività anale nel sesso omosessuale) che ancora oggi disturbano gran parte della società benpensante “eteronormata”. In altri termini, quest’ultima (una parte di essa per lo meno e per fortuna) è pronta ad accogliere l’omosessuale che rivendica il suo diritto di unirsi a un altro uomo o di poter adottareil figlio del partner ma oblia, rimuove e, magari anche solo inconsciamente, rifiuta, la pratica sessuale che lo caratterizza, quella pulsione sessuale che le teorie queer antisociali celebrano orgogliosamente contro ogni tentativo “di redimere il sesso da ciò che di esso ci disgusta, edulcorandone la natura per adeguarlo alla buona immagine che ci siamo fatti di noi stessi”7.

Arrivando agli zombie del film di Bruce LaBruce, Bernini spiega che la figura degli zombi era in origine legata al mito haitiano che rappresentava solamente la schiavitù. Con Romero poi la figura dello zombie è diventata metafora della società di massa capitalista; in seguito, negli anni ’80 ha assunto la simbologia del contagio vero e proprio (in particolare dell’AIDS). In “L.A. Zombie” quest’ultima metafora viene totalmente rovesciata: il protagonista, Zombie, interpretato dal porno-divo François Sagat, vaga per le strade di Los Angeles alla ricerca di cadaveri con cui fare sesso, ma attraverso questo atto egli riesce a riportarli in vita. Dunque, anziché contagiare e far morire qui lo zombi omosessuale resuscita i morti attraverso “lo choc sessuale” e poi li abbandona. Il suo sperma nero per quanto anch’esso sia una forma di virus non uccide ma anzi riporta alla vita, e soprattutto, non contagia, anzi, Zombie non rende i suoi partner simili a lui, ma li allontana dopo ogni rapporto sessuale. La lettura del film si presta a molteplici chiavi simboliche. Sicuramente è evidente il tentativo di smontare l’associazione tra il sesso omosessuale e la malattia e la morte. Inoltre

l’impossibilità dell’incontro con l’altro nel godimento sessuale può, paradossalmente, fornire l’occasione per riconoscere di essersi imbattuti nell’alterità dell’altro e nella propria alterità all’altro, nell’altrui e nella propria miracolosa singolarità vivente. Come a suo modo ha dichiarato anche LaBruce, L.A. Zombie mette quindi in scena il potenziale critico, creativo e relazionale del sessuale (a cui i teorici queer antisociali restano invece per lo più ciechi)”8. L’impianto metaforologico del film potrebbe perciò mettere insieme sia le teorie queer antisociali sia le teorie di Foucault: “Se Bersani e Edelman […] ci ricordano che il sessuale è la tomba della soggettività e della relazionalità, l’immaginazione anarchica di L.A. Zombie, irriverente verso qualsiasi verità sul sessuale, ci ricorda che tale tomba è assieme una culla da cui il soggetto può rinascere rinnovato, sottraendosi alle forze che premono per la sua implosione narcisistica, provengano esse dalle pulsioni o dagli imperativi del consumismo9.

Il libro di Bernini agisce un po’ allo stesso modo, cercando di coniugare due punti di vista che appaiono opposti: da una parte si cerca di salvare

il sessuale dall’oblio che a esso riserva una certa teoria queer divenuta mainstream che si richiama a Foucault, e assieme di contenere la possibile deriva anti-politica e solipsistica delle teorie queer antisociali”. Se l’umano, come insegnano Benjamin, Arendt, Lévinas, è capace di pensarsi come iniziativa, usufruendo del passato come risorsa per l’immaginario, allora “pur vivendo nel tempo escatologico, «omogeneo e vuoto», dello Stato-mercato Leviatano, nella nostra attualità della crisi, dello Jetztzeit di Benjamin e dell’árchein di Arendt potrebbero allora riappropriarsi anche quei/quelle queer che, come gli zombie di LaBruce, rifiutino di soggiacere all’alternativa tra il futuro biopolitico della civiltà edipica e il no future solipsistico della società del godimento, e scelgano di incarnare una legge ogni volta contingente, che nessuno potrà rappresentare mai”10. E se non è possibile sperare nella resurrezione dalla morte, i “queer, che raramente sono pii, potrebbero accontentarsi di constatare che, se non è possibile risorgere alla vita, lo è invece, ogni istante, risorgere a un’altra vita. L’ordine simbolico etero normativo della civiltà edipica alle minoranze sessuali assegna il ruolo di rappresentare la fine della civiltà e la rottura del legame sociale: per destino esse sono quindi orfane di una comunità. Cionondimeno, esse possono incontrarsi […] negli interstizi del politico, dove è possibile non solo esercitare uno sguardo obliquo sul mondo, ma addirittura realizzare un altro mondo nel mondo11.

1 L. Bernini, Apocalisse queer. Elementi di teoria antisociale, cit. pag. 43
2 Ivi, pp. 50-51
3 Ivi, p. 45
4 Ivi, p. 43
5 Ivi, p. 90
6 Ivi, pp. 101, 108
7 Ivi, p. 43
8 Ivi, p. 131
9 Ivi, p. 132.
10 Ivi, p. 187
11 Ivi, p. 188

Ultima modifica il Lunedì, 25 Luglio 2016 22:01
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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