Giovedì, 27 Dicembre 2018 00:00

Cent'anni e non sentirli. Contro la repressione socialdemocratica.

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Detta anche Rivoluzione di Novembre, nonostante fosse iniziata ad ottobre e il suo culmine sia giunto nei mesi di dicembre del 1918 e gennaio 1919, è altresì conosciuta come la "rivoluzione tradita”. Si tratta della Rivoluzione tedesca. L'Impero tedesco era retto da una monarchia costituzionale. Nel Reichstag l'unico partito politico nell'Impero a sostenere apertamente una forma di stato repubblicana fu quello socialdemocratico.

Tale convinzione ostinata portò i socialdemocratici a cadere persino nelle grinfie della repressione di Otto von Bismarck che certamente non era tenero con chiunque volesse mettere in discussione la natura imperiale della Germania Fu all'inizio del Novecento che i socialdemocratici virarono nettamente rotta verso una più decisa accettazione dello status quo. Divenuti in teoria revisionisti (si veda la celebre polemica con Bernstein come capofila) e in pratica centristi (si veda la polemica tra Kautsky e Lenin), volevano eliminare l'obiettivo della rivoluzione dal programma del partito, propugnando al suo posto riforme sociali in accordo con l'ordine economico esistente. Nel 1914 con l'approvazione dei crediti di guerra da parte dell'SPD fu chiaro a tutti che la normalizzazione del partito era ormai compiuta. La socialdemocrazia era divenuta parte integrante dell'Impero e pronta a difenderlo. Ovviamente la normalizzazione del partito socialdemocratico non fu indolore, ma avvenne facendo pagare a caro prezzo ogni deviazione dalla linea che dettava la più cieca conformità all'Impero. Quando Karl Liebknecht si rifiutò di votare altri crediti per la guerra venne costretto ad arruolarsi nelle forze armate, come unico componente della SPD. Liebknecht non si diede certamente per vinto cercando di organizzare gli oppositori della guerra anche al fronte e fu prima espulso dalla SPD nel giugno 1916 e in seguito condannato a quattro anni di carcere per alto tradimento.  

Dopo la maldestra operazione dell'Impero, che lasciò compiere la celebre traversata in treno di Lenin in funzione anti-russa, la Rivoluzione bolscevica si rivolse essenzialmente contro la Germania imperiale che venne travolta dalla sollevazione interna di centinaia di migliaia di operai armati e organizzati.
I dirigenti dell’SPD, fedeli alla svolta revisionista, furono tra i primi a scagliarsi contro la Rivoluzione bolscevica come esempio di pessima rivoluzione socialista, così tuonava Otto Braun contro la Rivoluzione che cambiò il mondo:

«Il socialismo non può essere innalzato sulle baionette e sulle mitragliatrici. Se deve avere durata nel tempo, esso deve essere attuato in modo democratico. La premessa per questo però è che siano mature le condizioni sociali ed economiche per la socialistizzazione della società. Se questo fosse il caso in Russia, i bolscevichi potrebbero senza dubbio appoggiarsi su una maggioranza nel popolo. Poiché non è così, essi hanno stabilito un dominio delle sciabole, come non esisteva più brutale e spietato sotto il vergognoso regime degli zar».

Questo mentre il vento della Rivoluzione bolscevica iniziava a soffiare da Est sull’intera Europa Occidentale: i marinai dell’esercito imperiale si sollevarono a Wilhemshaven e a Kiel nella notte tra il 29 e il 30 ottobre e il 2 novembre si formarono consigli di soldati e operai navali sull’esempio dei soviet. In pochi giorni in tutta la Germania si sviluppò la Rivoluzione: l’imperialismo aveva osato tirare la corda e il popolo ridotto a carne da cannone e carne da macello aveva rapidamente preso le armi. Il 7 novembre la Rivoluzione abbracciava Hannover, Braunschweig, Francoforte e Monaco di Baviera dove un consiglio dei soldati e dei lavoratori costrinse l’ultimo re di Baviera ad abdicare e nei giorni seguenti anche negli altri stati tedeschi tutti i sovrani abdicarono.

Il 9 novembre venne proclamata la Repubblica Tedesca: Ebert e Scheidemann la volevano borghese, ma la Lega di Spartaco voleva una democrazia proletaria e socialista e la proclamò così attraverso le parole dello stesso Liebknecht: «Compagni, io proclamo la libera Repubblica socialista di Germania, che deve abbracciare tutte le classi. Nella quale non vi devono più essere servi, nella quale ogni onesto lavoratore deve trovare l’onesto salario per il suo lavoro. Il dominio del capitalismo, che ha trasformato l’Europa in un campo di cadaveri, è spezzato».
Fu a quel punto che i socialdemocratici decisero di seguire l’esempio dei menscevichi nel corso del 1917 russo: occorreva schierarsi apertamente per preservare il potere della borghesia, dunque dei militari e degli Junker. Il seguito è tristemente noto a tutti: il ministro socialdemocratico degli interni Gustav Noske assunse il ruolo di vero e proprio carnefice di rivoluzionari. I Freikorps vennero organizzati da Noske nel dicembre 1918 che ripescò i veterani tedeschi rancorosi per l’interruzione della guerra da parte dei comunisti scagliandoglieli contro. Il 15 gennaio 1919 i due maggiori leader dell’insurrezione venivano assassinati: Rosa e Karl cessavano di respirare per mano socialdemocratica e il primo vero tentativo di Rivoluzione socialista su modello bolscevico in Occidente veniva represso nel sangue per mano socialdemocratica. In mezzo a questa repressione bestiale nacque quel modello di Costituzione liberal-democratica che viene ancora oggi insegnata nelle scuole, cioè la Costituzione di Weimar. Gran bel modello di liberalismo quello che si erge sulla repressione da parte di gruppi paramilitari del popolo in armi che dichiara la Repubblica Socialista. Il perfetto modello weimariano doveva poi essere suggellato da “libere elezioni”, così il 19 gennaio 1919 vi furono le elezioni dell’Assemblea Nazionale che non fu nemmeno in grado di insediarsi a Berlino poiché la capitale tedesca era in preda alle barricate del popolo in armi che veniva lasciato solo a combattere e massacrato per le strade dai Freikorps.

A cento anni di distanza da questo massacro mi sono permesso di riportare queste poche righe per ricordare quel tradimento affinché non si dimentichi cos’è realmente la sinistra politica della democrazia borghese, un autoinganno per la classe cui ritengo di appartenere. Occorre anche ricordare che a cento anni di distanza le analogie non sono molte, poiché non usciamo da una guerra imperialista in casa come allora. Siamo però nel bel mezzo di una decennale crisi da sovraccumulazione che non accenna a finire e il blocco imperialista europeo appare più in crisi che mai con sollevazioni che attraversano l’intero continente e col vento populista che soffia sull’incendio. L’antimperialismo resta la stella polare da non perdere di vista durante questa lunga notte. E’ un concetto che ci permette di non smarrire lo spirito rivoluzionario attraverso i secoli ed è un discrimine netto che ancora oggi separa i rivoluzionari dagli opportunisti. Se cento anni fa i rivoluzionari antimperialisti tedeschi osarono sollevarsi contro lo Stato che dichiarava guerra all’Impero Britannico, vero nucleo imperialista di quel mondo, allora oggi non dovremmo aver paura di coloro che osano ribellarsi ai nemici di Trump e della sua svolta neoisolazionista, tanto più se costoro sono i medesimi che osano affossare il mastodontico processo di creazione del polo imperialista europeo. Come ci ha spiegato Gramsci, la Rivoluzione in Occidente resta un terreno di scontro in cui occorre agire in modo indiretto, scardinando le casematte del potere. Tutti coloro che ancora oggi tentano gli assalti diretti al vertice dello Stato restano intrappolati dalla repressione più sorda, si veda la recente esperienza de Gilets Jaunes francesi. Occorre invece agire con acume per scardinare il nuclei dell’imperialismo che ci opprime e se abbiamo capito tutti che lo Stato nazionale è ormai un nemico alquanto impotente, sappiamo altrettanto bene che la costituzione di un polo imperialista è ciò che il capitale richiede per esercitare al meglio il suo dominio oggi. Non lasciarglielo fare è l’unico obiettivo concreto sotto gli occhi di chi cento anni fa come oggi continua a seguire la stella di Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht e degli spartachisti.


Immagine di copertina liberamente tratta da www.commons.wikimedia.org
Ultima modifica il Mercoledì, 26 Dicembre 2018 20:02
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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