L’incontro è stato organizzato da l’Associazione Fiesolana 2b e dal collettivo Intersexioni. Ma più che di una presentazione si è trattato di un vero e proprio scambio, di un piacevole dialogo, dato che il professore era incalzato dalle domande di Irene Dati, membra sia dell’Associazione Fiesolana 2b che di Intersexioni, oltre che giovane esperta in materia di contrasto agli stereotipi di genere e al binarismo di genere e attenta al tema delle minoranze sessuali, tanto che la sua tesi magistrale in Scienze Filosofiche è stata una delle vincitrici del premio Analisi e contrasto agli stereotipi di genere indetto dall’Università per Stranieri di Siena, in accordo con l’Università degli Studi di Firenze, l’Università di Pisa, la Scuola Normale Superiore, la Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna di Pisa, l’Università degli Studi di Siena, la Scuola IMT Alti Studi di Lucca e la Commissione Regionale Pari Opportunità.
Bernini è partito subito dall’attualità, criticando la chiusura, da parte del governo Orban in Ungheria, di due master in studi di genere e la delibera – l’ennesima, per dir la verità – da parte della Regione Lombardia per far sparire i libri gender. Oggi sembra impossibile – ha detto il professore – una rivoluzione come fu a suo tempo quella del movimento queer, considerando anche le divisioni interne allo stesso movimento LGBTQIA.
Il termine queer è un termine proveniente dal germanico quer che a sua volta deriva dal latino torquere che significa storcere, si riferisce a ciò che è storto, strano. È il contrario dell’inglese straight, ovvero di ciò che è dritto, retto. La ricchezza teorica del temine discende proprio dal suo essere problematico, dal suo porre un problema, dal suo essere significante e non significato, dal suo essere termine aperto e fluttuante, trasversale, in continua e mai concludentesi ridefinizione. È sempre da ridefinire perché è infinitamente aperto.
“La scelta strategica di nominare e nominarsi diversamente, queer, indica inoltre una svolta linguistica, una focalizzazione sulla sessualità non in quanto realtà oggettiva bensì come terreno mutevole continuamente ridefinito dai discorsi, dalle rappresentazioni e auto-rappresentazioni di specifici soggetti culturali; la nominazione non è neutra, costituisce relazioni epistemologiche fra categorie e pone in essere soggetti sociali, non ultimi quelli omosessuali. Da invertito a omosessuale, da omosessuale a gay e lesbica, sino a queer i nomi sono stati la base di identificazioni e alleanze, di percezioni di sé e di politiche molto diverse”1.
Nell’ottocento era usato come insulto alle minoranze sessuali. Il movimento queer, alla fine degli anni ’80, se ne è appropriato rivendicando l’insulto come cifra caratterizzante, contro ogni ipocrisia e morale borghese e retta. Così da essere mero insulto è diventato, o meglio, è stato utilizzato come significante di posizionamento politico, è stato dotato di forza e valenza politiche proprio nel tentativo, assai provocatorio ma dirompente per la sua radicalità, di fare irrompere sulla scena pubblica, nello spazio politico e sociale l’essere abietto, l’osceno, il perverso, lo scandaloso.
“La riappropriazione del termine queer, dunque, è significativa per almeno due motivi: è un termine che nella lingua inglese del Novecento è venuto a connotarsi come forma di hate speech la cui aggressiva riappropriazione è segnale di una strategia di attacco all’omofobia da giocarsi sul terreno stesso del linguaggio omofobico; in secondo luogo, è un termine che può riferirsi indistintamente a gay, lesbiche e a ogni altro soggetto sessuale percepito come perverso, deviato, anormale e fuorilegge (cfr. gli addensamenti semantici nei significati queer: strano, bizzarro, non regolare, inautentico) […]Rinominarsi queer significa introdurre una differenza, anzi moltiplicare il discorso delle differenze”.2
Gli anni ’90 sono gli anni dell’Aids e infatti il primo movimento queer è un movimento sieropositivo che faceva azione diretta (pubblica manifestazione di omoaffettività, come baciarsi in pubblico). Attraverso l’Aids, paradossalmente, le minoranze sessuali acquisivano una loro visibilità ed è proprio questa visibilità che diventa la leva per la nascita dei movimenti gay. Negli anni ’90 infatti si fa sempre più incalzante e forte la rivendicazione integrazionista dei movimenti gay mainstream. Negli Stati Uniti in quegli anni ci sono grandi campagne per le unioni civili, e ancora prima, per permettere agli omosessuali di fare carriera nell’esercito senza dover nascondere la propria omosessualità. Si avverte, si tocca con mano una potente tensione, una forte esigenza di entrare a far parte della patria, della nazione come bravi soldati, buoni marines, bravi mariti, e ottimi padri.
Il movimento queer invece non rivendica un ruolo “accettabile” e omologante all’interno della società, ma porta in piazza la propria abiezione, la propria “distorsione”, la propria perversione rispetto alle strade già battute, ai ruoli già impostati e imposti dalla società, rispetto alle norme che incorporano le identità e che si inscrivono nei corpi affinché questi assumano una riconoscibilità accettata dalla società, dal pensiero moralista e borghese. I membri del movimento queer si sentono e si autodefiniscono “la nazione queer”.
Per quanto riguarda le origini del movimento, Bernini ha asserito che le genealogie sono moltissime. Una di queste la si può trovare nei famosi moti di Stonewall (o “rivolta di Stonewall”) del 1969, una serie di violenti scontri tra polizia e gruppi omosessuali. Non si trattava di gay in giacca e cravatta o di lesbiche in tailleur, ma a manifestare furono “avventori scostumati”, giovani di strada gay, transessuali, prostitute, senzatetto, proletari, neri, meticci, “latins”. Ma le genealogie si trovano anche nel pensiero di Foucault, sebbene questi a sua volta abbia un debito teorico con il femminismo degli anni ‘50 e con Fanon che, nonostante il suo maschilismo, ha avuto il merito di essere tra i primi a tematizzare la costruzione della sessualità del maschio nero.
Altro momento importante per la storia del movimento è l’anno della nascita del Queer Nation, un’organizzazione di attivisti LGBT fondata a New York nel 1990 da attivisti HIV/AIDS del gruppo di azione diretta ACT UP (Aids Coalition to Unleash Power) contro l’escalation di violenza per le strade contro gay e lesbiche e contro i pregiudizi nei loro confronti. Obiettivo finale dell’organizzazione era la fine dell’omofobia incoraggiando, attraverso una strategia di azioni tattiche e dirette, la “visibilizzazione” di gay, lesbiche, bisessuali.
Altro evento topico è la famosa conferenza in cui Teresa De Laurentis (professoressa emerita di Storia della Coscienza presso l'Università della California, Santa Cruz ed esperta di femminismo, lesbismo e studi queer) polemizza con la dicitura “gay and lesbian studies”, proponendo, al suo posto, la dicitura trasgressiva di “queer theories”: la polemica è provocatoria in quanto un termine che evoca l’insulto viene associato a un termine, quale è “teoria”, eminentemente accademico. La provocazione deriva dal fatto che la differenza di genere è molto più ampia e relativa, contestualizzata, dato che il suo “valore” e la sua portata ontologica, epistemologica, percettiva ed esistenziale cambia all’interno delle stesse definizioni, delle stesse “categorie”: siamo sicuri che essere lesbica sia la stessa cosa per una donna bianca, colta e agiata che per una donna nera e povera?
Detto questo, queer non vuole essere una sorta di termine-ombrello che mette dentro un po’ tutto quel che capita, bensì vuole essere un termine critico, che pone degli interrogativi, che mette in discussione il dato di fatto, il dato in sé, un termine che moltiplica le differenze e moltiplica i punti di vista, disturba, letteralmente, le identità. È un termine critico, non propositivo né tantomeno impositivo/prescrittivo. Dati, nella sua “intervista” sottolinea come nel libro la figura di Socrate appaia come la prima figura queer. In quanto esercitante la pratica del disturbo, della messa in discussione, dell’interrogazione. Come si lega allora, ha chiesto Dati, il concetto di disturbo – pratica necessaria della filosofia che deve disturbare, deve porre interrogativi, deve mettere in dubbio – al concetto di una norma, di un ideal-tipo? Quale è il rapporto tra potere-norma e disturbo?
L’azione del disturbo è l’azione della critica. Il libro, ha spiegato Bernini, è stato scritto con l’intenzione di affermare lo statuto teorico, accademico di questo tipo di saperi, che sono sì, saperi ibridi, trasgressivi, ma che richiedono anch’essi un luogo all’interno delle università, uno spazio nei luoghi di sapere accademico. Orban li espelle perché “non sono saperi scientifici”. È vero, ma sono saperi critici e pertanto, come altre discipline critiche e non scientifiche, rivendicano un loro posto all’interno delle accademie, all’interno di un settore disciplinare (che nello specifico è quello della filosofia politica) che li ospiti e che permetta a professori e soprattutto a ricercatori e dottorandi di fornire il proprio contributo intellettuale in questo ambito di studi. Bernini difende lo statuto filosofico-politico delle teorie queer e dei gender studies.
[continua nei prossimi giorni]
1 http://www.studiculturali.it/dizionario/lemmi/studi_queer_b.html
2 Ibidem.
Immagine Kurt Löwenstein Education Center liberamente ripresa da flickr.com