Molti sono convinti che il razzismo riguardi soltanto le destre più o meno estreme e che un paese liberale e democratico saprebbe debellare l’orribile e letale virus della discriminazione per motivi legati al colore della pelle. Questo è sicuramente vero, in parte. Basterebbe fare un giro nei siti d’informazione per imbattersi in notizie di pestaggi o insulti a gente che rischiando la vita viene da noi per prendersi una parte di quel benessere tanto pubblicizzato ed enfatizzato dai nostri media. Il pestaggio brutale che ha reso paralizzato un ragazzo africano, la ragazza che sul treno viene insultata da una signora che non vuole sedersi accanto ai “neri”, il caso del comune di Lodi in si è tentato di allontanare dalle mense i bambini stranieri, fino al noto caso di Riace, col suo sindaco in esilio manco fossimo in un romanzo del 1800. Tutti esempi di come la destra lasciata libera di agire possa solo peggiorare la situazione sociale nella nostra nazione.
L’unione delle forze progressiste e comuniste contro le politiche razziste delle destre è fondamentale e importante. Ma come portare avanti una lotta che ci vede lontani anche da pezzi importanti del nostro elettorato? Una manifestazione di vari gruppi della sinistra con slogan anche belli e importanti ma basati solo su appelli ad essere umani ed accogliere, quanto successo potrebbe avere nei confronti di molti cittadini lasciati indietro ed emarginati anche per colpa delle politiche liberiste? Un proletario, un piccolo borghese che vive di lavoro e fatica, i tanti invisibili che formano le classi meno abbienti o regredite per colpa del capitale, i quali da sciocchi si sono affidati alle promesse e alle bugie della destra come possiamo recuperarli?
L’essere umano è egoista e di fronte a un dolore forte e potente (come le foto dei morti in mare) troverà la scusa di rivendicare la sua disperazione, la sua sofferenza in contrasto con il diverso. Perché si sente messo da parte, perché non veniamo da anni di impegno politico e di educazione all’empatia ma proprio dal suo opposto. Cercare di creare una comunicazione con il resto del paese attraverso parole di carità, pietà, sensibilizzazione senza legarle a un discorso di lavoro, solidarietà di classe, serve a ben poco. Serve perché il danno vero lo procurano il silenzio e il sostegno delle idee fasciste e razziste; ma serve a ben poco perché rimane intrappolato in un contesto di gente “informata” o particolarmente sensibile se puntiamo sulla differenza, su storie che giungono da lontano.
Dopotutto viviamo nel paese in cui i livornesi sono contenti di aver un morto in casa piuttosto che un pisano come parente. Queste piccole e forti divisioni che ancora stanno alla base del popolo italiano vengono messe in scena anche ora. Il nazionalismo italiano è tra i meno credibili e tra i più ipocriti. Cosa ci tiene insieme? La nazionale di calcio, la pasta e l’odio per gli stranieri. Negli anni ‘30 perché ebbri di spirito imperialista e oggi perché impauriti e disperati, chiusi nella meschinità piccola e brutale di chi non vuole vedere poveri o persone devastate da grandi dolori. Utilizzando il razzismo, questo blocco sociale che supera che le barriere della classe (unendo la borghesia territoriale ai suoi sottoposti in cantiere o fabbrica) vuol rivendicare la sua fatica e la sua difficoltà di vivere una vita piena e come meriterebbe, perciò svalutando le altrui disgrazie che potrebbero distogliere l’attenzione dai problemi di tanti italiani.
La morte di bambini in mare è talmente potente come disgrazia che potrebbe oscurare i tuoi problemi di lavoro o personali, per questo c’è bisogno di credere alle false notizie dei bambolotti e di quel satanasso di un Soros. Consola. Il problema è che questa narrazione passa perché offre alibi e giustificazioni a chi stando male o temendo di perdere il suo potere economico ha bisogno di sfogarsi contro i più deboli. Difficile spezzare queste catene utilizzando slogan che fanno apparire gli altri come delle povere vittime, insistendo sull’accoglienza quando parte degli italiani non si sente accolto “a casa mia”.
Ribadisco: le manifestazioni per combattere il razzismo o in solidarietà alle vittime di esso sono sacrosante e vedono scender in piazza l’Italia migliore, ma questo basta? E come fare in modo che quelle piazze non vengano usate per far propaganda a partiti di matrice liberal-capitalista in cerca di recupero voti? Perché un partito che si definisce anti razzista come può giudicare certi discorsi in stile “aiutiamoli a casa loro, non siamo obbligati a dar sostegno morale e fisico a tutti” eccetera, come era il pensiero renziano poco prima della sconfitta del 4 marzo?
In questi giorni c’è stata anche la polemica sulle presunte parole del sindaco di Milano, in seguito a un’intervista per il quotidiano La Verità, dove parrebbe che il primo cittadino se la prendesse con gli africani incapaci di sapersi imporre negli studi e nel lavoro. Questa cosa va presa con le pinze ma in un certo senso, in altre dichiarazioni, Sala tende a far differenze fra rifugiati politici e migranti “economici” (quelli che i rossobruni chiamano esercito di riserva), una distinzione per me pericolosa in quanto spesso questi migranti economici sono le masse in fuga da situazioni disperate esattamente come i “politici”. Solo che il migrante economico ci fa riflettere su un punto fondamentale: il discorso del potere illimitato di un capitalismo, occidentale e non solo, alle prese col saccheggio dei continenti più ricchi di materie prime e di poveri.
Perché il razzismo è legato a un discorso economico, di sfruttamento delle terre di questi disperati, di governi locali spesso dittatoriali e che sosteniamo per motivi di interessi legati ai soldi e al capitale. O che giudichiamo nemici per lo stesso motivo. Dirsi antirazzista ma sostenere le politiche di guerra, sfruttamento, rapina del territorio e dei beni nelle terre di questi nostri fratelli è a mio avviso un modo in gran parte errato e non efficace. Quando si è in buona fede si pratica un umanesimo cosmopolita e internazionalista a cuor leggero, debole, che irrita le masse italiche abbandonate a una vita difficile, che non si sentono tutelati e compresi e dall’altra si scontra con l’egoismo della borghesia. Quello che passa è un conflitto fra borghesie in cui lo straniero è solo un pretesto. Non ci sono mea culpa per le tante guerre colonialiste e imperialiste spacciate come “esportazione della democrazia”, non si tenta un ragionamento che preveda l’inclusione di tutti per un’economia sostenibile e dal volto umano.
Quelle persone che magari si mostrano antirazziste in alcune occasioni sono le stesse che hanno fiducia anzi credono nel Mercato. Vista come entità superiore e dotata di volontà propria da non infastidire se no ci colpisce duramente. Ma davvero siamo convinti che staccando un problema legato a fatti economici, di politica internazionale, del nostro posto per quanto riguarda le guerre di espansionismo coloniale, si possa riportare le masse e gli elettori a ritrovare un po’ di umanità? Per essi gli stranieri rimangono dei numeri, degli invasori. Perché l’uomo che ha paura crede alle bugie di chi gli crea un nemico e non al ragionamento di chi lo tratta come uomo.
Eppure sono convinto che se i migranti potessero spiegare la loro vita nei quartieri delle città in cui vivono, parlare del lavoro che fanno con gli altri italiani, se costruissimo luoghi di ritrovo e cooperazione per i giovani un poco alla volta il problema arriverebbe alla sua conclusione. Le notizie dei miei connazionali che hanno fatto una colletta importante per aiutare i bambini stranieri di lodi, Domenico Lucano e la pacatezza dei suoi interventi, i compagni e compagne che si dedicano all’integrazione, mi fanno sperare che il paese non cadrà vittima dell’odio e dell’ignoranza. Tutto questo però è possibile solo unendo le classi proletarie e i lavoratori, lasciando che il problema di pelle diventi quello dei rapporti di forza tra sfruttati e sfruttatori.
Immagine Urban Isthmus liberamente ripresa da flickr.com