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Giovedì, 26 Luglio 2018 00:00

Il sarcofago nero di Alessandria e la maledizione del cattivo giornalismo

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Il sarcofago nero di Alessandria e la maledizione del cattivo giornalismo

Quando si lavora in una disciplina come l'archeologia ci si abitua in fretta al fatto che soltanto le scoperte eccezionali o eclatanti raggiungeranno le prime pagine dei giornali, o, di questi tempi, la circolazione di massa su internet. Per questo motivo, è stata in un certo senso una sorpresa, sulle prime, che una scoperta singolare, ma certamente non rivoluzionaria, avvenuta di recente ad Alessandria in Egitto stesse facendo un certo scalpore tra il grande pubblico.

Una breve cernita degli articoli al riguardo ha portato a una sconfortante conclusione: se il rinvenimento in questione non è certo sconvolgente dal punto di vista dell'egittologia, è però un eccellente caso di studio su come la stampa non dovrebbe approcciare una notizia proveniente da un campo di ricerca come quello archeologico. Da questo angolo, quindi, vale la pena analizzarlo, cercando di comprendere che cosa è realmente successo, in che modo la notizia e il reperto che riguarda sono stati trattati dalla stampa sia fisica che online, e che cosa (purtroppo quasi tutto) è andato storto.

La notizia reale, nei fatti, è questa: durante uno scavo ad Alessandria è stato rinvenuto un sarcofago interamente di basalto nero, senza iscrizioni o decorazioni, di epoca tolemaica. Il sarcofago è notevole per due dettagli: il primo, che il sigillo tra coperchio e corpo della cassa rimane intatto, segno che la sepoltura è indisturbata; il secondo, che la sua taglia è insolita – oltre sei piedi, ovvero oltre due metri, rendendolo il più grande sarcofago recuperato ad Alessandria. La sepoltura non ha restituito altri oggetti salvo una testa di alabastro fortemente deteriorata che è stata tentativamente identificata come un possibile ritratto del defunto. L'apertura del sarcofago è stata ritardata di qualche giorno dal problema causato dallo spostare un oggetto di queste dimensioni, peraltro molto pesante; infine è stato deciso di aprire il sarcofago in situ, senza rimuoverlo dallo scavo, ed estrarre i resti prima di procedere alla rimozione – il che è stato fatto, esponendo tre scheletri completi ma scomposti a causa di un'infiltrazione di acqua di drenaggio nel sarcofago. Una notizia interessante, ma certamente non clamorosa – eppure è diventata virale. Che cosa è successo?

È successo che i giornalisti che l'hanno riportata, invece di cercare di comprendere il contenuto dei rapporti emersi dallo scavo, hanno preferito ammantare il ritrovamento di un mistero che non esisteva, e poi riportare, invece che gli sviluppi dello scavo stesso, le reazioni di persone a caso su Twitter. Guardando gli articoli usciti intorno a questa scoperta, si possono individuare tre fasi. Una prima fase introduce la notizia presentando il ritrovamento come sinistro ed eccezionale: “un misterioso sarcofago tutto nero”, “non aperto da duemila anni”, “nessuno ha idea di cosa contenga”, “gigantesco”. A una prima occhiata è facile notare le distorsioni che presentano il reperto in maniera completamente irrealistica: il basalto nero non è un materiale insolito per un sarcofago egizio, dove questa pietra è reperibile e spesso usata; gli studiosi avevano un'idea ben precisa di cosa il sarcofago potesse contenere; le sue dimensioni, benché rimarchevoli, non sono superiori a una statura accettabile per un essere umano (e sono state poi spiegate dalla presenza di una sepoltura multipla). Il taglio fazioso degli articoli è tanto chiaro quanto preoccupante: qualcosa di normale nell'ambito di uno scavo archeologico è presentato come straordinario e inquietante.

Nessun archeologo sa mai con esattezza cosa ci sia dentro un sarcofago prima di aprirlo, ma ha una buona idea dei possibili contenuti. Le dimensioni superiori alla norma sono diventate gargantuesche. Il colore del sarcofago è stato sottolineato per creare un'aura di minaccia intorno a un reperto curioso ma certamente non preoccupante. Perfino l'acqua di drenaggio infiltrata nel sarcofago, solamente un fastidio che ha compromesso l'integrità della sepoltura, è diventata “uno strano liquido rosso” (il colore è probabilmente dovuto al passaggio in un terreno sabbioso o argilloso). A questo si aggiunge anche una mancata comprensione dell'aspetto temporale del periodo 'egizio': tutti gli articoli hanno evocato un'immagine dei faraoni che si rifà principalmente al Nuovo Regno, per un sarcofago tolemaico di molto posteriore. Per mettere le cose in prospettiva, Cleopatra, ultima regina tolemaica, è cronologicamente più distante dal primo faraone di quanto lo sia da noi contemporanei: un cambio di periodo può comportare differenze rimarchevoli e certamente queste differenze sono forti nell'ambito della pratica funeraria.

Presentata in maniera tale da evocare immagini familiari alla cultura popolare, la notizia è stata diffusa sui social media – principalmente su Twitter – e una seconda fase di articoli si è concentrata sul riportare le opinioni espresse da gente qualunque su questa piattaforma, senza nessuna conoscenza in particolare di egittologia o del reperto in questione. Il tono di questa seconda serie di articoli è uniforme: “c'è un misterioso, enorme sarcofago nero e la gente implora di non aprirlo”. Entra in scena una superstizione infondata ma dura a morire, che andrebbe tenuta molto lontana dalla divulgazione intorno all'egittologia: la maledizione della mummia. Oltre a citare tweet a caso di persone che si rifanno all'immaginario del cinema e dei fumetti, gli articoli suggeriscono come argomenti a favore di un invito a non aprire il sarcofago paralleli con il film “La Mummia”, certamente non un'opera di elevato valore scientifico (e, a voler essere pignoli, che si riferisce a un periodo molto più alto di quello tolemaico). Perfino i commenti degli esperti vengono inquadrati in questa cornice: “non c'è pericolo ad aprire il sarcofago”, dicono gli archeologi. Perché avrebbe dovuto esserci pericolo in primo luogo? Il quadro presentato al pubblico si fa più chiaro: il minaccioso sarcofago nero, gli avvertimenti a non sfidare la maledizione, gli archeologi sconsiderati che intendono violare la tomba. E nessuna traccia di pensiero scientifico.

Il sarcofago, naturalmente, è stato aperto, una volta risolta la questione dell'approccio logistico volta a evitarne il danneggiamento. Lo sviluppo viene raccontato nella terza fase degli articoli, con una linea narrativa che si riassume all'incirca in: “archeologi aprono il sarcofago misterioso a dispetto degli avvertimenti”. Ancora una volta, degli studiosi impegnati in un lavoro sul campo vengono presentati come sconsiderati perché non hanno deciso di bloccare il loro lavoro per via dei commenti infondati di persone estranee al campo basati su idee che appartengono all'immaginario fantastico e cinematografico. Quello che avrebbe potuto essere uno spunto curioso per fare buona divulgazione intorno a un periodo poco esplorato della storia egizia si è trasformato in un tentativo di costruire una notizia virale legittimando una superstizione sovrannaturale di cui nessuno avrebbe parlato se non fossero stati quegli stessi articoli a suggerirla. Com'è forse ovvio, gli archeologi non hanno trovato nulla di eccezionale all'interno del sarcofago, o almeno non nei termini che i commentatori su Twitter si aspettavano. Hanno trovato tre scheletri, probabilmente di tre ufficiali dell'esercito, uno di loro recante una ferita da freccia al cranio che potrebbe essere la causa della morte. I resti saranno ora portati in museo ad Alessandria per essere analizzati, e sarà possibile saperne di più della loro vita, delle loro eventuali patologie, e della loro morte. Tutti aspetti realmente interessanti, e più importante, veri – appartenenti alla sfera della ricerca che rimane per gran parte estranea al pubblico che legge i giornali – che avrebbero meritato di essere riportati ben più di una potenziale maledizione posticcia.

Verrebbe da sperare che ora che il sarcofago è aperto, il sensazionalismo si sia dissipato e ci sia una maggiore speranza di vedere il ritrovamento descritto in maniera utile; ma non sembra essere questo il caso. Sono addirittura circolati articoli che parlavano del ritrovamento di una mummia 'intatta' all'interno del sarcofago; oltre a costituire una notizia falsa, erano corredati da foto di una mummia evidentemente deteriorata, che dimostra oltretutto un fraintendimento del rapporto di scavo – intatta, ovvero indisturbata, è la sepoltura. Oltre a questo, ovviamente, come nel caso di ogni sepoltura non attribuita e con dettagli insoliti rinvenuta ad Alessandria e dintorni, i giornalisti non hanno saputo esimersi dall'aggiungere suggerimenti infondati che si tratti della tomba di Alessandro Magno. Nessun archeologo ha avanzato questa proposta, e considerato lo stato indisturbato della sepoltura si può considerarla altamente improbabile: la tomba di Alessandro avrebbe certamente contenuto una grande quantità di decorazioni e beni preziosi, data la natura del suo occupante, e l'assenza anche solo di un'iscrizione che indichi il nome del defunto depone fortemente contro l'idea che si tratti del grande re ellenistico. È in un certo senso deprimente che perfino il direttore dello scavo sia dovuto intervenire per confermare l'ovvio: non c'era nessuna indicazione che la tomba appartenesse ad Alessandro, e i tre scheletri che contiene non sono certamente maledetti.

Il ritrovamento di Alessandria è interessante per una quantità di motivi: è in effetti raro trovare una tomba indisturbata in Egitto, specie in un grande centro, le sepolture multiple sono sempre di particolare interesse, il sarcofago è a suo modo un reperto unico, è riferito a un periodo meno documentato di altri, e lo studio dei suoi contenuti potrà aiutarci a comprendere meglio la vita nel tardo Egitto. È un lavoro affascinante, quello effettuato dagli archeologi intorno a reperti di questo genere, che avrebbe tutte le carte in regola per interessare anche il lettore casuale, e mostrare al profano i progressi di una scienza, quella archeologica, che sta sviluppando prassi e tecnologie sempre più complesse e recuperando informazioni un tempo inaccessibili. È ancora più desolante, quindi, osservare come chi riferisce di queste notizie non abbia interesse a investigare questi aspetti, ma preferisca evocare ancora una volta l'immagine trita e depistante di un misterioso sarcofago maledetto che forse non andrebbe aperto.

Pur sperando che l'attenzione attratta dalla scoperta di Alessandria porti quantomeno a una qualche esposizione pubblica dei suoi risultati futuri, non rimane purtroppo che osservare che la sola maledizione evocata dall'apertura del sarcofago nero sembra essere quella del cattivo giornalismo.


 

Immagini liberamente tratte da www.luxortimesmagazine.blogspot.com
Ultima modifica il Giovedì, 26 Luglio 2018 10:27
Chiara Strazzulla

Nata in Sicilia, ha studiato a Roma e Pisa e vive a Cardiff, in Galles, dove lavora a un dottorato in Storia Antica e insegna latino. Autrice di prosa e teatro, è pubblicata in Italia da Einaudi Editore.

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