Una parabola di questo genere, tuttavia, sembra essere proprio quella percorsa dai False Heads. Il terzetto londinese, caratterizzato da un suono allo stesso tempo melodico e aggressivo che indulge in suggestioni rock e punk senza mai cedere completamente né all'uno né all'altro, ha iniziato la sua traiettoria nel 2015 e da allora è diventato una delle giovani band più quotate della scena alternativa britannica. Tra i nomi famosi che hanno dichiarato di ritenerli uno dei volti futuri della musica rock ci sono anche Danny Fields, già manager dei Ramones, e Iggy Pop. Abbiamo incontrato – in un pub di Highgate, un ambiente più che consono al tema della conversazione – Luke Griffiths, vocalist e chitarrista della band, per parlare di underground e mainstream, di classifiche, e dei problemi dell'industria musicale contemporanea.
CS: Se dovessi dare una descrizione di quel che fate, e del genere di musica che fate, quale sarebbe?
LG: Direi che è musica rock, melodica, veloce, con un suono pesante. Copriamo tutto un numero di generi diversi, non siamo legati a uno soltanto, per esempio il lato B del nostro ultimo singolo è una traccia acustica. Quindi non abbiamo la restrizione di essere una band punk, o grunge, o qualsiasi genere di rock. Credo che sia il genere di mondo in cui viviamo ora, non c'è – e non sono certo che ci sarà mai più, non in quei termini – un grande movimento come è stato il punk o il grunge. Ma credo che siccome l'intero movimento, se vogliamo chiamarlo così, è più generico, allora le band si sentono più a loro agio a sperimentare con tipi diversi di musica.
CS: Guardando le recensioni che avete ricevuto, ho trovato che siete stati indicati come una delle band che potrebbero uscire con un album che cambierà le cose. Se poteste cambiare qualcosa, cosa sarebbe?
LG: Il pop fabbricato a tavolino è sempre esistito, ma il problema è che ora è così prevalente che ha iniziato a contaminare anche la scena alternativa. Le band alternative di cui abbiamo avuto tutti abbastanza non sono davvero alternative. Non sono indie, sono gruppi pop con delle chitarre. Se riuscissimo a uscire con un album che potesse cambiare la situazione, quello che vorrei sarebbe riportare una forma aggressiva di musica nelle classifiche. Prendi ad esempio gli anni 90: c'era la musica pop, ma nelle top ten c'erano anche i Nirvana, gli Oasis, Fat Boy Slim, i Chemical Brothers. Quando è stata l'ultima volta che hai visto una canzone rock nella classifica dei singoli? Sarebbe bello che un gruppo rock potesse essere più aggressivo e più autentico, che questo fosse qualcosa che le band alternative possono conservare.
CS: Quale pensi sia il problema con la musica pop contemporanea? È l'omologazione?
LG: Se guardi questi artisti, hanno tutti lo stesso aspetto, lo stesso suono, e le loro canzoni sono scritte dalle stesse persone. Se consideri ad esempio Adele o Ed Sheeran o gli One Direction, hanno tutti le stesse persone che scrivono canzoni per loro, e il risultato è la stessa musica prefabbricata. Non fanno musica, la fabbricano. Il motivo è che non mettono nessun amore nella creazione di quello che fanno; sono una fabbrica.
CS: Come avete iniziato con la band?
LG: Avevo già usato il nome False Heads per molto tempo, probabilmente da quando ero ancora a scuola, ma non ero mai riuscito a mettere insieme una band. Pubblicavo musica su internet e la cosa stava iniziando a stancarmi, poi sono andato all'università, e poi circa tre anni fa due miei amici, due amici molto stretti, sono tornati anche loro dall'università e abbiamo deciso di fondare una band. Quindi siamo insieme da circa tre anni.
CS: Tornando al tipo di suono che cercate, che è molto difficile da definire, se dovessi elencare alcune delle influenze che avete, quali sarebbero?
LG: Direi, i Beatles, Radiohead, Nirvana, Pixies, Rage Against the Machine, Bob Dylan, Elliott Smith, Muse – i primi Muse, non le cose nuove, Queens of the Stone Age. Elliott Smith è probabilmente tra i miei cinque artisti preferiti. Nello stile dei versi credo di somigliare soprattutto a Elliott Smith. Sono probabilmente i nomi che hanno avuto più impatto sulla nostra musica.
CS: Avete suonato in spazi molto differenti. Preferite i piccoli locali o i grandi palchi?
LG: Dipende da come ci sentiamo quel giorno e dal genere di atmosfera che ha il concerto. Ma credo che il nostro suono sia abbastanza ingombrante, e lo preferisco su un grande palcoscenico. Facciamo un sacco di rumore, per essere solo in tre, ed è un suono che abbiamo perfezionato, quindi se devo essere onesto preferisco i palchi più grandi.
CS: Cosa pensi della cultura del pubblico? Si è parlato molto di cultura rock, credi che in qualche misura sia ancora vitale? O è diventata un qualche genere di controcultura?
LG: Io penso che lo sia. La gente può anche dire che il rock è morto, ma ci sono così tante persone che vogliono ancora sentire gruppi rock, c'è ancora un pubblico enorme per questo tipo di musica. Non è il tipo di forza enorme che era un tempo, ma quando guardi i grandi festival, chi sono i grandi nomi? Sempre gruppi rock. C'è un pubblico che va dai quindici, sedici anni ai sessanta e anche più, a cui piace la musica rock, e se una band decente con delle buone canzoni si presenta su un grande palco la gente risponde allo stimolo.
CS: C'è, quindi, un distacco tra quel che il pubblico vuole e quel che l'industria vuole?
LG: Il problema è precisamente quello, perché non puoi imporre una controcultura a qualcuno. Non puoi mettere Justin Bieber su una copertina e dire che è controcultura. Che all'industria piaccia o meno, ci sono ragazzini tra il pubblico che ballano, si divertono, si fanno prendere. C'è la generazione più vecchia che ha vissuto la storia del rock e può pensare 'oh, questo suona un po' come i Nirvana, o come i Pixies' e venire a vedere, ma ci sono anche, anche per via di Spotify e piattaforme simili, un sacco di ragazzini a cui interessa la musica, con gusti musicali molto vari. Il fatto che la gente ascolti Justin Bieber e One Direction non significa che il rock sia morto e che non ci sia una cultura rock. Vai a un concerto rock che è sold out, nei locali da ottocento, mille persone che vanno in sold out, e guarda quanto è giovane il pubblico, e come si comporta.
CS: Quale pensi sia la differenza con gli artisti mainstream?
LG: Qualcosa che sta scomparendo, e questo è un problema, coi gruppi rock che hanno successo, è che non ti fanno venir voglia di prendere una chitarra e imparare a suonare. Quando senti i Led Zeppelin per la prima volta, vuoi imparare Stairway to Heaven, quando senti i Nirvana, vuoi imparare Smells Like Teen Spirit. Credo che un problema sia che un sacco di gruppi rock hanno perso quell'elemento, di avere un riff iconico o una melodia iconica. In fin dei conti è questo che renderà il rock di nuovo una causa culturale, se le band iniziano a proporre canzoni che fanno venire ai giovani voglia di imparare a suonarle. Credo che l'ultimo genere di riff iconico di quel tipo sia stato probabilmente Seven Nation Army. È orecchiabile, ma in un modo buono, e alla gente viene voglia di usarlo. Se torni indietro agli inizi, è quel che facevano i Beatles, e i Rolling Stones, pensa a Daytripper.
CS: Cosa sta succedendo, quindi, nell'industria?
LG: Credo che l'industria non abbia la minima idea di quel che sta facendo. Spotify è diventato una forza potentissima, e anche lo streaming, e loro non sanno che fare. L'hip hop per esempio è stato diluito fino a diventare un qualche genere di musica pop, nello stesso modo in cui un sacco di musica rock è in realtà pop. Non può durare per sempre. Quello che stanno facendo nelle classifiche è trasformare qualsiasi genere di musica alternativa, in qualsiasi direzione tu voglia andare, in musica pop. E non può durare per sempre perché la gente inizierà a stancarsene. La gente vuole figure iconiche con cui provare una connessione, e non ce le hanno. Possono trovare Harry Styles attraente perché è di bell'aspetto e sa cantare, ma non hanno quel tipo di sensazione che avrebbero avuto con David Bowie, o Iggy Pop. Con loro, non potevi staccargli gli occhi di dosso. Ed è perché erano completamente immersi nella performance, nella musica, nel mondo che avevano creato. Questi artisti sono popolari e fanno un sacco di soldi, ma non saranno ricordati come icone, come eroi.
CS: Pensi che ci sia una connessione tra questo e il ricambio veloce nelle classifiche, dove un artista che era famoso è quasi sconosciuto cinque anni dopo?
LG: Certamente. E non è una cosa buona, perché le classifiche dovrebbero essere una rappresentazione della cultura dei giovani. La cosa buona delle classifiche è che quando una band, o un artista, che è un outsider, arriva in classifica, è una vittoria per chiunque si senta marginalizzato, ma questo non succede quasi più. E c'è tanta gente ai margini. Credo che un sacco di gente si senta alienata dal clima politico contemporaneo, ed è una cosa che le classifiche non stanno rappresentando. Il rock è un genere politico. O dovrebbe esserlo, in un modo o nell'altro. Odio gli atteggiamenti autoritari, e siccome la destra è diventata autoritaria, la sinistra ha iniziato a usare la censura, a cercare di essere autoritaria anche lei.
È per questo che le band sono importanti oggi. L'emozione prevalente nella musica rock è la rabbia, ed è una cosa buona, e non si dovrebbe mai cercare di farla allineare alla norma. Viviamo in un mondo che ha suprematisti bianchi in America, e la nascita di nuovi fascismi in Europa, e tuttavia la sinistra è completamente dominata – il che è ironico, perché non fanno altro che lamentarsi del privilegio di qua, e privilegio di là – da una borghesia privilegiata. Tante persone working class non si sentono rappresentate nella politica, e non si sentono rappresentate nella cultura pop, di nessun genere. Tante band di successo di questi tempi, vengono da famiglie ricche o hanno un genitore nell'industria musicale, e non è una cosa buona, perché è il lavoro e la crescita a dare a ogni band qualcosa di speciale, a costruire la sua personalità. E crea una cultura attorno a quella band.
CS: Pensi che questo porterà a qualcosa di buono, che a un certo punto qualcosa debba cambiare?
LG: Deve succedere. Ma temo che se non succederà nei prossimi cinque anni potrebbe non succedere del tutto. Penso che i prossimi cinque anni siano così fondamentali per via di quel che sta succedendo nel mondo. C'è questa strana sinistra con tratti autoritari che è in crescita, che dice alla gente cosa può o non può dire, cosa può o non può fare, su cosa può o non può scherzare, c'è la crescita di letterali fascismi e neonazismi, e quindi è ora il momento in cui qualcosa deve cambiare, e rappresentare le persone che non sanno a chi rivolgersi. Ma è difficile con questa dittatura del politically correct. Essere offesi è una cosa personale. Ci sono cose che trovo offensive. Ma cerco sempre di creare un dialogo e dire perché penso che siano offensive, perché sono sbagliate. Quando inizi a dire continuamente, questo è male, questo dovrebbe essere vietato, questo dovrebbe essere fermato, non solo allontani le persone che hanno opinioni pericolose – e finiranno per fare qualcosa di orribile comunque – ma ti allontani anche da chiunque altro. Bisogna permettere alla gente di dire quel che ha da dire, anche se è disgustoso. E dopo si può metterlo in discussione.
CS: Pensi che internet sia il nuovo mezzo di distribuzione per la musica, e sostituirà quelli vecchi?
LG: Sì. Il fatto è che internet non può morire. Immagino che si potesse dire lo stesso dei CD, ma internet vive di vita propria. Se Spotify collassa qualcos'altro prenderà il suo posto, e lo stesso per iTunes. Alcuni Paesi hanno ancora un grosso mercato per i supporti fisici, e il vinile sta cominciando ad avere di nuovo un seguito, ma la gente trova musica soprattutto online. La forma dell'album sta morendo, e non penso sia necessariamente una cosa buona. È buono avere un album, e mettersi a sedere e ascoltarlo tutto. Ma l'album non è più così importante come era un tempo. Internet sta diventando il modo in cui la gente si procura la musica, e anche il modo in cui le band diventano famose. Non sarebbe così se le band riuscissero a guadagnare qualcosa. È il problema con gli artisti working class, che di questi tempi non puoi permetterti di essere un artista working class. Quindi internet sta avendo questo boom perché è l'unico strumento che permette agli artisti di mantenersi. Se non altro così hai qualcosa di cui scrivere. Bisogna avere qualcos'altro da dire oltre a 'la mia vita è fantastica'. Ma cosa scrivi quando la tua vita è fantastica? È questa la vera domanda.
Immagine ripresa liberamente da itsallindie.com