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Lunedì, 26 Maggio 2014 00:00

Se la sinistra pensa di vincere camuffandosi da destra

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Ho aspettato un mese intero prima di scrivere queste parole. Una riflessione che mi sono portata dietro durante una campagna elettorale intensa e che probabilmente farà salire su tutte le furie coloro che hanno fatto degli studi elettorali il loro mestiere.

A Firenze abbiamo visto candidarsi dieci diversi aspiranti sindaci. Dieci, sostenuti da ventisette liste. Ventisette per un totale di oltre 800 candidati (meglio non mettersi a fare i conti per i quartieri). E questi numeri sono sintomo chiaro del personalismo della politica da cui oramai non riusciamo più a scappare.

Da una parte abbiamo anche una legge elettorale criminale, che invece di spingere i cittadini ad informarsi, a partecipare e a sostenere un progetto, danno la possibilità di votare una o più persone.
I partiti si nascondono dietro la legge elettorale per evitare di prendersi la responsabilità di stilare liste che siano effettivamente lo specchio di un progetto di città (ma anche di Europa, per restare sull'attualità) diversa preferendo farne dei collage di personalità accalappia voti e simpatie.

Il tutto si inserisce in un quadro evidentemente poco incoraggiante. Non so quanto sia colpa del “ventennio berlusconiano” dal momento che io ci sono praticamente cresciuta dentro e non ho altri parametri di confronti ma è evidente che la società odierna è intrisa di egoismo e personalismi. Egoismo che rende difficile coinvolgere in un discorso collettivo che non porti ad un immediato tornaconto personale e personalismi che sono uno dei fattori che hanno portato a questa frammentazione. Valiamo solo come singoli, nessuno fa niente per gli altri, quindi anche in politica ci si lancia come singoli. Poco importano le organizzazioni, le strutture e i progetti: l'importante è essere protagonisti in prima persona. L'importante è poter dire la propria subito, senza ovviamente pretendere di avere gli strumenti per analizzare ed elaborare un ragionamento critico, ma dicendo subito sì o no (sempre più spesso no).

Risultato diretto, ora che la stella di Berlusconi sembra momentaneamente offuscata (ma mi trattengo dal fare previsioni o dal dare giudizi categorici che siamo sempre in tempo a riportarlo agli antichi fasti), è ovviamente il fenomeno dei pentastellati. La democrazia diretta per cittadini pigri: quelli che, colte giustamente le problematiche che con il cambio della società e della politica hanno investito i partiti, decidono di rispondere col sondaggio sul web (in un Paese in cui il gap tecnologico fa sbiancare qualsiasi cittadino dell'Europa continentale) invece che impegnarsi nelle strutture organizzate.
Ma vittime del personalismo cadono anche a sinistra. Saltando a pie' pari il caso del Presidente del Consiglio, one man che tiene uno show seguito da milioni di persone, forte di doti, va detto, che nell'Italia odierna spiccano, sinceramente non mi spiego, ancora, la necessità di scrivere in quel simbolo per le europee "Tsipras" e non "sinistra".

E vorrei precisare che non faccio questo ragionamento perché sono una nostalgica di tempi che non ho mai incontrato. O meglio, forse un po' lo sono: penso veramente che essere di sinistra significhi, prima di tutto, avere la consapevolezza della propria comunità, dell'importanza fondamentale dell'agire collettivo, che discende direttamente da valori che sentiamo nostri come solidarietà, eguaglianza, giustizia sociale e democrazia. In questi tempi marchiati dall'egoismo e dall'individualismo, il riconoscersi in un collettivo nel quale è il noi che conta e non l'io è un atto quasi rivoluzionario che ci permette di affermare che non ci rassegniamo allo stato delle cose ma che, anche nei casi in cui le difficoltà sembrano sopraffarci, proviamo a cambiare radicalmente. Ma alla questione di principio ci aggiungo anche quella pragmatica: i personalismi funzionano, nella gara all'ultimo sangue che è la politica basata sulla preferenza, nel momento in cui hai strumenti. Non credo ci sia bisogno che sia io a spiegarvi lo stato dell'informazione nel Bel Paese, per non parlare delle risorse materiali che con la messa al rogo del finanziamento pubblico (a partiti, giornali e radio) sono diventate una prerogativa di chi ce le aveva già di suo. Avvallando la logica per la quale quella della preferenza è la democrazia migliore (ignorando quella della militanza, della collettività e dei congressi), facciamo venire meno ogni possibile visione alternativa e, di conseguenza, spianiamo la strada a chi è più bravo di noi. Parliamoci chiaramente, ad oggi se potessimo sottoporre a referendum consultivo la questione, la maggior parte degli elettori italiani, anche quelli che si dicono di sinistra, si direbbero favorevoli alla trasformazione in senso presidenziale della Repubblica.

Non so, a me sembra miope il tentare di vincere con le regole imposte dall'avversario. Poi magari mi sbaglio.

Ultima modifica il Domenica, 25 Maggio 2014 18:52
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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