Domenica, 23 Dicembre 2012 00:00

L’invasione populista

Immagine tratta da www.abc.net

Negli ultimi tempi, una nuova moda sembra essersi imposta sul linguaggio ordinario, giornalistico e della pratica politica. Il termine “populismo” appare ormai con frequenza costante su tutti i canali di comunicazione, e non c’è esponente politico, di qualsiasi schieramento, che non l’abbia utilizzato almeno una volta in senso dispregiativo in riferimento a un avversario. Abbiamo sentito più volte Casini e Vendola tuonare contro la “minaccia populista” rappresentata dal Movimento 5 Stelle di Grillo. Formisano ha motivato la sua decisione di lasciare Italia dei Valori con la “deriva radical populista” impressa al partito da Di Pietro, e Bersani si è opposto all’ipotesi di un ritorno di Berlusconi alla guida del Pdl dichiarando che “di populismo ne abbiamo avuto già un bel po’”.

Gli esempi potrebbero continuare. L’aggettivo “populista“ è comunemente usato come sinonimo di “demagogo”, “qualunquista”, e persino “fascista”, in riferimento a soggetti e fenomeni molto diversi tra di loro, con una facilità che spesso nasconde la totale ignoranza del reale significato del termine.

In effetti, il populismo è sempre stato un concetto estremamente volatile e mutevole, difficile da inquadrare in una categoria specifica. Il primo tentativo, risoltosi in un insuccesso, di formulare una teoria generale, risale alla conferenza sul populismo tenuta alla London School of Economics nel 1967. Da allora, non si è ancora giunti a un accordo neppure sulla classificazione del populismo come ideologia, mentalità, o stile politico. Nell’analisi del fenomeno, tuttavia, è possibile almeno circoscrivere una serie di elementi chiave che ne rappresentano le caratteristiche salienti, e sui quali è possibile registrare un certo grado di accordo tra gli studiosi.

Pubblicato in Umanistica e sociale

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