Pablo Larrain: come rivoluzionare un genere
NERUDA *****
(Cile 2016)
Regia: Pablo LARRAIN
Cast: Gael GARCIA BERNAL, Alfredo CASTRO, Luis GNECCO
Durata: 1h e 47 minuti
Distribuzione: Good Films
Uscita: 13 Ottobre 2016
Quando intrattengo conversazioni sulle nuove generazioni di registi capaci di meravigliarmi, mi tocca sempre parlare di Pablo Larrain. Lo so molti di voi non sanno minimamente chi sia. Cileno, classe 1976, 6 film all'attivo (e un settimo in arrivo in Italia a febbraio 2017). Se avete letto le mie recensioni, dovreste ricordarlo. Nel suo curriculum ha solo film straordinari come “Fuga”, “Tony Manero”, “Post mortem”, “No i giorni dell'arcobaleno”, “Il Club”. Ha sempre combattuto artisticamente per far conoscere nel mondo il suo Paese, nel bene e nel male. Nelle sue storie si respira sempre una gran voglia di libertà dall'oppressore. Che sia la Chiesa, il colonialismo statunitense o il generale Pinochet non importa. La cosa interessante è che è figlio di due politici conservatori, l'ex presidente dell'Unione Democratica Indipendente Hernán Larraín e il ministro Magdalena Matte. Un figlio ingombrante (politicamente schierato a sinistra) che non risparmia frecciate alla politica, alla Chiesa e alle dittature in generale.
Finalmente, dopo il passaggio a Cannes, è arrivato in Italia il suo penultimo film “Neruda”. L'ultimo (passato dal recente Festival di Venezia) arriverà il 2 febbraio nelle nostre sale. Ovviamente sto parlando di “Jackie” che vedrà Natalie Portman nei panni della vedova Kennedy. In questo pezzo Vi parlerò di “Neruda”. Per il 2016 cinematografico, un film rivoluzionario senza se e senza ma. Sicuramente nella mia classifica di fine anno, lo troverete ai primi posti. Leggendo il titolo, si pensa subito a un biopic americano sul poeta Pablo Neruda. Larrain ha fiutato la cosa e mette lo spettatore in trappola. È un film cileno, cosa nettamente diversa dal cinema hollywoodiano. Non è una biografia epica dove il protagonista attraversa varie peripezie, diventando alla fine un santino. Il film porta avanti il contenuto tralasciando l'individuo principale. Non è un caso che il narratore non è Neruda, ma il poliziotto Oscar Peluchonneau (colui che gli dà la caccia). Riavvolgiamo il nastro.
1948. In Cile c'è la Guerra Fredda: il senatore Neruda (Luis Gnecco, una sorta di “Maigret” con il pancione) accusa il Governo di Videla (l'attore feticcio di Larrain, Alfredo Castro) di tradire gli elettori del Partito Comunista. Aveva vinto con i valori della Sinistra ed era finito per abbracciare la politica statunitense. Ricorda qualcuno. La scena iniziale sembra il Congresso del PD con Cuperlo, Bersani, Renzi e tutti gli altri che litigano. Con la differenza che nel film tutto è assai più ordinato. Anche se Larrain riserva ai comunisti dell'epoca delle frecciatine velenose: a loro non piace lavorare, non gliene frega niente del popolo, gli piacciono di più i festini. Pare di essere nei salottini della “grande bellezza”. La stoccata più forte viene da una donna del popolo quando chiede al poeta: “quando ci sarà il comunismo, saranno tutti come lei o come me che pulisco la merda dei borghesi da quando avevo 12 anni?”George Orwell la sua risposta la dette nella “Fattoria degli animali”: tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Qui Larrain sembra limitarsi a quell'insegna rossa dell'albergo che si accende e si spenge. Nel frattempo Videla, che ha paura di Neruda, ordina al poliziotto Oscar Peluchonneau (Gael Garcia Bernal, indimenticabile protagonista di “No i giorni dell'arcobaleno” e giovane Che Guevara ne “I diari della motocicletta”) di trovare l'acerrimo rivale e di arrestarlo. D'accordo con il partito comunista, Neruda opera in clandestinità sotto falso nome. Proprio questi eventi lo ispireranno in una delle sue opere più note: “Canto General”. Questo film spiega come. Inizialmente sembra un noir alla “Heat” di Michael Mann o stile “Il fuggitivo” di Andrew Davis. Poi tutto cambia. Pablo Larrain confeziona abilmente un film d'autore prendendo spunto da “Il divo” di Paolo Sorrentino: tutto è grottesco, i personaggi sono deformati e al servizio della storia.
Il tutto impreziosito da una spruzzata di spiccato sense of humour. Sono tutti figli di un mondo finto che Larrain ha raccontato in ogni suo film: il Tony Manero di Alfredo Castro si credeva di essere l'unico sosia del personaggio di John Travolta (anche se non lo era), il pubblicitario di “No” dipingeva un mondo immaginario per far votare la gente, i personaggi de “Il club” vivevano nelle loro fantasie, nelle loro menzogne credendo di essere altro/i. Anche stavolta Neruda, Peluchonneau, Videla sono vittime del mondo che si sono creati. Credono di essere indipendenti e funzionali, ma sono vittime di quello che credono di essere. A tal proposito la fotografia di Sergio Armstrong è perfettamente bilanciata al racconto, ricostruendo i luoghi con un realismo sorprendente. Gli interni dei palazzi del potere si armonizzano a perfezione con gli esterni. Poi ci sono i personaggi, scritti in maniera incredibile.
Il grande poeta, definito un “operaio dell'arte” non è un santo: gli piace il sesso, è attratto dalla violenza e dal crimine. Non disdegna nemmeno incontri con prostitute e travestiti, a cui dedica le proprie poesie. Vuole essere un gigante popolare per essere “il peggior incubo dei fascisti di merda”. Contemporaneamente anche il poliziotto è fragile, ama la poesia (ma non lo può dire), è amante delle belle donne, ma è succube del potere. E questo significa non essere indipendente ed essere “un po' violento e un po' coglione”. Arriva addirittura ad “usare” l'ex moglie di Neruda per metterlo in cattiva luce di fronte alla gente (scena cult: l'incontro alla radio con la donna che non riesce a comunicare adeguatamente al pubblico le sottolineature del regime). Il presidente Videla, interpretato dal solito gigante che è Alfredo Castro, è ossessionato dalla paura per Neruda. Sa che il poeta ha ragione ed è dotato di un fine intelletto. Come giustamente dice la voce narrante, “l'insolenza in politica significa ammirazione”. A tal proposito è straordinaria la scena della fuga di Neruda che dà colpi di clacson per svegliare il presidente che non riesce a prendere sonno. Si alza, si affaccia alla finestra sperando di vedere l'auto di Neruda, mentre il poeta continua a “strombazzare”. Realtà, finzione, politica, letteratura, menzogna, erotismo ed elementi western (con forti richiami alla fotografia degli ultimi film di Tarantino) si mescolano fino al gran finale. Tutto è al proprio posto. Tutto è poesia, ogni tassello si incastra perfettamente con l'altro. Incredibile. Era tempo che non vedevo un film così. Correte a vederlo prima che venga tolto dalle sale. Naturalmente non vorrete mica che un'opera del genere sia distribuita in molte copie, vero?
FRASE CULT:
“È più divertente aiutare un comunista che la polizia”
TOP
– Regia, sceneggiatura, attori straordinari
– la fotografia di Sergio Armstrong ricostruisce gli ambienti in maniera incredibile
– Pablo Larrain ha le idee chiare riguardo quello che fuori comunicare allo spettatore
– La coerenza di Larrain con tutti i film precedenti
– Il sense of humour che in alcune scene strappa più di una fragorosa risata
– Poesia, letteratura, cinema, vita, biografia si uniscono in maniera incredibile. Tutto è al suo posto.
FLOP
– La scarsa distribuzione di un titolo importante come questo
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