Magistratura e politica: un rapporto complicato
In Italia lo scontro fra potere politico e giudiziario ha una lunga storia. Da Craxi a Berlusconi, passando per Tangentopoli, il problema dei confini dell’esercizio del potere fra i vari organi statali ha caratterizzato profondamente la storia politica del nostro paese. Se da una parte molti partiti ed esponenti politici hanno denunciato il tentativo dei magistrati di voler assumere un ruolo politico ipotizzando, in taluni casi, persino la presenza di un vero e proprio disegno eversivo, dall’altra parte molti magistrati lamentano il rischio di violazione dell’indipendenza della magistratura da parte dei governi interessati ad accrescere il loro controllo sulle toghe. L’alto tasso di inchieste giudiziarie legate alla corruzione e al malaffare nel mondo della politica hanno a più riprese esacerbato lo scontro e avuto una grandissima risonanza mediatica.
Nonostante il declino del berlusconismo, continuano a registrarsi notevoli frizioni fra la politica e la magistratura. Solo recentemente la polemica fra l’ex presidente dell’ANM Davigo e il Ministro Olando sembra aver riaperto vecchie ferite mentre è di pochi giorni fa il duro attacco di Salvini nei confronti dei magistrati del Tribunale di Genova che hanno disposto il sequestro cautelativo dei fondi della Lega, misura che il leader leghista interpreta come un tentativo di ostacolare politicamente il Carroccio. Il tutto mentre il caso CONSIP rischia di sollevare l’ennesimo polverone.
C'è un fatto basilare, che dall'abolizione dei Parlamenti francesi (sorta di corti supreme il cui assenso era necessario per rendere esecutivi gli atti della Corona) dovrebbe essere condiviso: la politica dovrebbe prescindere dalle aule dei tribunali. Ciò significa prima di tutto che la politica, il processo legislativo in primis ma anche le vicende dell'esecutivo, dovrebbe prescindere dalle persone dei politici, dalle loro eventuali vicende giudiziarie e dalle loro eventuali personali responsabilità penali. Che significa a sua volta che i partiti dovrebbero esistere come contenitori di ideali ontologicamente più grandi delle persone, non come comitati d'affari di singoli capibastone e conventicole di potere.
Purtroppo, in Italia, un sistema di partiti sano non esisteva più nel periodo in cui Tangentopoli ha travolto la Prima Repubblica né tantomeno esiste oggi. All'imbarbarimento della politica corrisponde un imbarbarimento della società. La retorica della "casta" e delle manette, tra le altre, è stata assorbita da una massa disillusa e a corto di ideali significativi. Il canone della reazione populista è stato popolarizzato e sdoganato da quasi tutti i media, mainstream e di nicchia, come sostanzialmente tutti i partiti - dall'IdV alla Lega all'M5S, dal centrosinistra dei girotondi e dell'antiberlusconismo al PD di Renzi, fino all'estrema sinistra - dell'intero arco parlamentare. Marketing del consenso a basso costo, nel breve periodo. Pronto a trasformarsi in pericolosa involuzione, voltato l'angolo.
Siamo in pre-campagna elettorale e sembra che tutto si muova nella direzione della preparazione del terreno a ciò che avverrà tra pochi mesi. Siamo evidentemente ai colpi bassi giocati nelle segrete stanze del potere.
Che il CONSIP fosse luogo di corruzione penso sia un segreto di pulcinella. I magistrati però svelano il contenuto di intercettazioni e interrogatori, da cui emerge come un certo imprenditore Romeo avrebbe provato a ottenere una serie di appalti da CONSIP corrompendo nientemeno che il padre di Matteo Renzi. Insomma, il PD verrebbe travolto da un nuovo scandalo giudiziario di dimensioni tali da inficiare il progetto politico del PD renziano.
Parallelamente, anche l'altro polo politico non passa indenne questo periodo, anzi. Infatti, uno scandalo nato nei primi mesi del 2012 è giunto ai suoi tragici risvolti proprio in questi ultimi giorni. Belsito, il tesoriere della Lega Nord, venne indagato per la sua gestione dei rimborsi elettorali ricevuti dal partito e trasferiti in alcuni casi all’estero dove erano stati investiti in varie attività, tra cui l’acquisto di diamanti. La storia era di una tale gravità da aver portato alle dimissioni di Bossi dalla carica di segretario. Questa storia oggi viene riesumata e dopo che a luglio il tribunale di Genova aveva condannato per truffa ai danni dello Stato il fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, suo figlio e l’ex tesoriere del partito Francesco Belsito si è giunti al sequestro preventivo e provvisorio di diversi conti correnti del partito.
Nulla di nuovo, siamo un paese corrotto, ma l'orologio del conto alla rovescia alle elezioni inizia a ticchettare in modo insistente e le forze politiche si trovano al centro di scandali tutt'altro che sorprendenti. Nessuno mette in dubbio la legittimità di tali procedimenti, ci mancherebbe, è però certo che vi sia in atto uno scontro di potere di non poco conto tra due blocchi pronti ad attivare ogni risorsa pur di risultare vincenti. Il M5S cercherà di trarre giovamento da queste nuove turbolenze giudiziarie e staremo a vedere se riuscirà realmente a raccogliere i voti di un elettorato sempre più apatico e sfiduciato anche nei suoi confronti.
Esistono le categorie ed i processi reali. Le seconde servono a garantire un minimo di oggettività al contesto sociale in cui si è chiamati a muoversi. L'idea di eleggere direttamente i giudici "con il popolo" è devastante, in linea con il delirio pronunciato da Matteo Salvini a Pontida. Anche se tra una cultura politica che promuove di lasciare "mano libera alla Polizia" (eleggiamo anche i vertici delle forze dell'ordine) ed una figlia del "legalitarismo alla Mani Pulite" non c'è grande differenza.
Il migrante tiene ancora larga distanza rispetto al politico corrotto, nella classifica delle figure più invise all'opinione pubblica, ma non è detto che la Lega Nord paghi lo scandalo in cui si ritrova. In secondo piano è passata la marginalizzazione di Umberto Bossi, impensabile fino a qualche anno fa, che invece molto dice di un tentativo identitario da destra lepenista in cerca di spazio in una terra sempre più "riciclata" dal/nel Movimento 5 Stelle.
In fondo della legalità, nella cultura italiana, non frega poi molto a nessuno. Si ammette con tranquillità che i giudici in materia di lavoro si esprimono anche a seconda dei rapporti di forza attorno a loro, così come la Corte Costituzionale tiene conto di elementi concreti rispetto al contesto in cui deve esprimersi. Piace l'idea di poter dare la colpa ad altri. Ma la Lega Nord è in una fase (forse conclusiva) di massima colpevolizzazione di altri, difficile che il suo elettorato ed il suo tessuto militante non viva questa nuova difficoltà come una conferma del complotto ai loro danni.
Anche perchè, contrariamente a quanto pensavano molte e molti, non è con il Movimento 5 Stelle che si è recuperata l'astensione degli ultimi anni. La delusione, la rabbia che gira a vuoto, spesso, finisce per creare delusione e disinteresse. Meglio così, se l'alternativa è andare a destra. Manca, come spesso capita, una sinistra di classe in grado di saper distinguere la giustizia dalla legalità, aprendo un ragionamento sull'interlocuzione tra il sistema di cose presenti e quello da affermare con il suo superamento.
Certamente una tale analisi difficilmente potrà essere letta sul Fatto Quotidiano...
Il sequestro di alcuni conti correnti della Lega a sei mesi dalle elezioni non può non rievocare altre due vicende. Una, per prossimità temporale, è il proscioglimento di Giorgio Orsoni che nel giugno 2014 si dimise da sindaco di Venezia perché arrestato, con altre trentaquattro (!) persone, in una maxi-operazione condotta tra primo e secondo turno delle elezioni amministrative. L’altra, per affinità di vicende, è l’inchiesta sui fondi neri leghisti che a marzo 2012 azzoppò il consenso del partito, l’unico a non aver votato la fiducia iniziale al Governo Monti (l’Italia dei Valori, che pure avrebbe ceduto sotto simili colpi di “Report”, passò all’opposizione dopo la fiducia iniziale). Il Movimento 5 Stelle fu proiettato da questo colpo oltre la soglia del 3%, dando inizio all’ascesa che lo avrebbe portato in primavera ad affermarsi come rilevante forza politica.
La neutralità politica degli organi di Stato è apparsa messa in discussione anche dalle rivelazioni riguardanti le finalità antidemocratiche che avrebbero ispirato alcuni piloti dell’inchiesta Consip. Del resto proprio la Lega ha beneficiato, nell’autunno 2014, di un’intensa grancassa di propaganda gentilmente concessa dalle reti televisive (Rai, perché Mediaset sosteneva la concorrenza berlusconiana!) basata sull’istigazione dell’odio razziale contro i rom. Il M5s era ammaccato dopo la batosta delle europee e la Lega, che aveva superato di poco il 6%, fu il nuovo coniglio reazionario dal cilindro.
Non stupisce, ovviamente, la disposizione della Procura di Genova. Né stupiscono le ruberie fameliche di un partito che ha accozzato la melma di una società civile anarcoide e gretta, idiosincratica verso lo Stato e le regole sociali (non per niente Salvini a Pontida ha ancora difeso l’ideologia fascista, incluse le teorie sulla razza).
Desta semmai perplessità la tempistica, utile alle scadenze elettorali del principale beneficiario di un nuovo scandalo-Lega: il M5s. Davigo chiese ironicamente a Renzi un calendario di giorni fasti e nefasti per celebrare i processi, ma gli ultimi anni sono densi di inchieste eccellenti poi finite nel nulla – non prima di aver aizzato la folla che, ovviamente, crede a ciò che conferma l’idea malvagia dei “politici disonesti” (un avviso di garanzia vale per costoro ben più di un’assoluzione). Si ricordi l’inchiesta Tempa Rossa durante la campagna referendaria contro lo “Sblocca Italia”.
La campagna elettorale è ai blocchi di partenza, e non è dato sapere se gli “anticorpi” evocati da Gentiloni basteranno a garantirne uno svolgimento ordinato e democratico.
La magistratura non ha quasi mai svolto in Italia un ruolo progressista. Essa si configura piuttosto, dal punto di vista sistemico e al di là delle concezioni del singolo giudice, come strumento nelle mani delle classi dominanti. Come ricorda Livio Pepino, in Italia gli interscambi fra ordine giudiziario, parlamento e governo sono sempre stati frequenti. Almeno fino agli settanta, i confini fra potere politico e giudiziario erano molto più sfumati di oggi. La forte politicizzazione dei magistrati era considerata normale poiché questi esprimevano una giustizia di classe, a favore cioè della élite borghese. Senza bisogno di scomodare Marx, anche solo la repressione degli ultimi anni da parte della magistratura nei confronti di movimenti della sinistra, a partire dal NO TAV, la dice lunga sulla reale natura del potere giudiziario.
Si dovrebbe interpretare Mani Pulite e tutti i grandi processi per corruzione non come il tentativo da parte della magistratura di scardinare il sistema bensì di estirpare gli elementi nocivi all’interno di quella che si vorrebbe una sana società liberale a economia capitalista. Eppure c’è chi è riuscito a far passare l’idea che questo paese sia in balia del potere delle “toghe rosse”, espressione berlusconiana ripresa anche da Salvini per apostrofare i magistrati rei, a suo dire, di aver preso la sacrosanta e dovuta decisione di bloccare i conti della Lega. Quando si tratta di reprimere il dissenso i magistrati politicizzati non costituiscono mai un problema, quando però non rispecchiano e non si piegano agli interessi egemonici di qualcuno, allora sono “toghe rosse” di una magistratura comunista che vuole sovvertire lo stato di diritto.
Immagine liberamente tratta www.meltwater.com
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