Indipendensa! – il referendum e la presunta identità Veneta (parte 2)
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Cattolicesimo, Federalismo e Conservatorismo
Per comprendere la “questione veneta” è fondamentale guardare all’intreccio tra la storia e la struttura economica e politica del territorio. Come noto, il Veneto è conservatore e localista, sempre sospettoso del governo centrale; infatti fin dagli albori del Regno d’Italia si sono riscontrati movimenti anti-statisti. Sembra che già da prima della nascita dello Stato italiano, ai tempi della tanto rimpianta Serenissima, vi fosse una diffidenza tra l'entroterra della repubblica e il governo Centrale, situato a Venezia. Questa diffidenza si è poi trasformata al momento dell’annessione all’Italia, spostando il nemico verso Roma. Non appare casuale quindi, che sia proprio l’entroterra Veneto, tra le campagne delle province di Treviso, Vicenza e Padova, il territorio in cui gli autonomisti hanno sempre riscontrato un maggior numero di consensi.
Con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, il Clero inizia a essere il protettore degli interessi locali. In questo modo la gestione del potere e dell’ordine del territorio (soprattutto nelle campagne Venete più lontane dalle istituzioni) inizia a basarsi sull’influenza della chiesa e della famiglia. Quest’importanza dell’elemento familistico e spirituale riesce a perpetuarsi anche durante il ventennio fascista nonostante le sue politiche patriottiche. Alla nascita della Repubblica italiana, nonostante i compromessi tra il regime fascista e la Chiesa, quest’ultima rimane il vero collante sociale tra i cittadini e le istituzioni, e non perde il suo ruolo di riferimento nel territorio euganeo. Questa concezione è perseguita nel corso degli anni, tanto da far diventare il Veneto una roccaforte della Democrazia Cristiana. Nonostante la DC proteggesse gli interessi locali, riusciva a garantire un controllo politico e istituzionale della regione a livello nazionale. A fianco della DC erano però presenti molte voci critiche, che richiedevano un maggior distacco da Roma.
L’idea che il Veneto dovesse aspirare a una maggiore autonomia, o addirittura che non fosse Italia, si ritrova nei discorsi politici già dagli anni ’20, quando iniziavano a circolare le prime idee indipendentiste tra i partiti politici e i giornali, sia a destra che la sinistra. Con il fascismo queste sono forzatamente messe a tacere, per poi rinascere verso gli anni ’70, dopo il boom economico, quando i movimenti autonomisti e indipendentisti iniziano a istituzionalizzarsi. Questo periodo coincide con il cosiddetto “miracolo del Nord-Est”, quando, grazie al passaggio da uno sviluppo basato sull’agricoltura ad uno sviluppo industriale basato sulle piccole-medie industrie, questo territorio riesce a sollevarsi dalla povertà e dalla depressione. Il Veneto diviene l’emblema di quella che viene definita “Terza Italia”, che contrappone l’Italia dei distretti industriali al triangolo industriale (Milano-Genova-Torino, la prima Italia) al Sud Italia (con un economia di industrializzazione assistita). Da questo periodo è incominciata la fioritura di diversi distretti industriali ad alto potenziale, caratterizzati da un capitale sociale estremamente forte, improntati su una subcultura bianca (di area cattolica) che permetteva stretti rapporti tra le imprese, il territorio e la comunità.
La Terza Italia (che comprende oltre al Nord-Est, anche Toscana, Emilia Romagna e Marche), divenne un modello di sviluppo a cui guardava tutto il mondo, e viene considerato uno degli esempi più eclatanti di passaggio da un sistema fordista a uno postfordista. Grazie a questa struttura economica, in poche generazioni il Nord-Est ha visto la sua popolazione trasformarsi da contadina - afflitta da carestie e dalla piaga della pellagra, costretta a cercare fortuna in Brasile, Svizzera, Argentina e addirittura in Romania - a piccolo borghese, trascinatrice dell’economia, locomotiva d’Italia. La maggior parte dei protagonisti di questa rinascita erano contadini, proprietari di piccoli pezzi di terra, che hanno iniziato a creare micro imprese, in genere a carattere familiare e artigianale, che a stento raggiungevano i 10 dipendenti. Nasce così il mito del Veneto gran lavoratore, che con le proprie forze è riuscito a rinascere dalle proprie ceneri e ottenere ricchezza e benessere. Un benessere che per molti veniva “minacciato” dallo stato centrale, e in particolar modo dai fondi utilizzati per risanare il mezzogiorno. Negli anni '70 e '80 è stata infatti l'improvvisa ricchezza che ha portato la classe media a diventare protagonista di rivendicazioni di tipo indipendentistico soprattutto per motivi fiscali (per mantenere la ricchezza dove la si è prodotta). Iniziano così a formarsi dei veri e propri partiti autonomisti, tra cui la Liga Veneta, nel 1979.
Con l’ingrandirsi della Liga Veneta e il processo di secolarizzazione della chiesa, inizia a nascere una nuova concezione della politica locale più laica della DC, che riesce a catalizzare meglio il malcontento popolare, unendo le questioni dell'autonomia a quelle del federalismo fiscale. Alla fine degli anni '80 la Liga Veneta formerà la Lega Nord, e con l’inizio della seconda repubblica il Veneto diventa una roccaforte del Carroccio. La Chiesa non ha comunque mai perso del tutto la sua influenza nella regione, e in molti comuni si è ritrovata ad essere il principale rivale della Lega. Essa continua tutt’oggi a interessarsi delle vicende politiche locali, basti pensare che alcuni giornali cattolici hanno invitato i fedeli a votare sì per quest’ultimo referendum, un consiglio che sembra aver poco a che fare con le questioni spirituali.
Nell'ultimo decennio, a ridare forza agli indipendentismi ci ha pensato la Crisi Economica: le piccole imprese, che sono rimaste le protagoniste dell'economia Veneta, sono passate da un periodo di benessere a uno di depressione. In questo modo si è iniziato a diffondere un malcontento generale, in quanto il ceto medio si è ritrovato a sprofondare verso il basso da una posizione privilegiata, duramente conquistata, che sino a poco tempo fa risultava tra le più eminenti nel panorama industriale europeo. Inizia quindi a diffondersi una visione distorta di questa situazione: le persone devono subire la crisi economica causata dalle grandi banche estere, dall'Euro ed altri fattori, una crisi che viene dall'esterno e che si contrappone al precedente miracolo economico che viene visto come un successo interno, il risultato degli instancabili lavoratori veneti, che da povera realtà contadina sono diventati il motore economico d’Europa. Questa concezione ignora però che lo sviluppo dell’Italia del dopoguerra è stato influenzato soprattutto da “fattori esterni” alla regione, in primis i fondi del piano Marshall.
Che la questione della struttura economica sia strettamente legata al sentimento autonomista è evidente anche dai risultati del referendum in Lombardia. Dai dati si evince come tra i territori Lombardi che hanno partecipato più attivamente al referendum dell’autonomia sono quelli di Bergamo e Brescia. Queste province sono anch’esse caratterizzate da una struttura economica simile a quella del Nord-Est, fatta di distretti Industriali diffusi. Invece a Milano, vera locomotiva d’Italia e centro della grande industria italiana, il malessere per una fiscalizzazione troppo alta è meno presente, e ciò si è tradotto in una bassissima affluenza alle urne. Un altro fattore di malcontento derivante dalla situazione politica ed economica è il differente status del Veneto con le realtà circostanti: le altre due Venezie storiche sono infatti state dichiarate per ragioni differenti “a Statuto Speciale”, e godono quindi di maggiori privilegi. La questione delle regioni a Statuto Speciale è delicata e a mio avviso in parte anacronistica: attualmente sono venute a mancare alcune delle ragioni storiche che motivavano la scelta di considerare i territori del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia meritevoli questi privilegi.
Il Trentino Alto Adige, composto dalle province autonome di Bolzano e Trento, è diventato a statuto speciale nel 1946, dopo i trattati di pace del dopoguerra, in risposta alle richieste di autonomia e alle proteste della popolazione di lingua tedesca. Lo Statuto in questo caso è stato utilizzato come garanzia di tutela per la popolazione di lingua tedesca, compensando così i danni del ventennio fascista, che aveva attuato politiche di italianizzazione forzata. Il Friuli Venezia Giulia è invece stata l’ultima regione a divenire a statuto Speciale, nel 1963, non tanto per la presenza di una minoranza Slovena all’interno del territorio, quanto per l’importanza strategica e politica della regione, che si trovava in una zona di confine tra la Jugoslavia di Tito e il blocco occidentale.
Questo ultimo punto, “l’invidia” dello Statuto Speciale, è uno dei fattori principali che ha portato la gente a votare al Referendum. Lo stesso Zaia, forte del risultato della consultazione, ha dichiarato di voler trattare con lo stato proprio l’ottenimento di un Veneto a Statuto Speciale.
Identità, politica e cultura
Quella Veneta è un’identità che non si fonda su una reale cultura condivisa, ma rappresenta una narrazione, spesso enfatizzata per motivi politici. Esistono effettivamente somiglianze culturali nei territori delle Venezie, tradizioni, usi e costumi tipici della regione storica, che accomunano la popolazione di questi luoghi. Ma regioni con tradizioni comuni sono presenti anche nel restante territorio italiano: perché non esiste un forte sentimento indipendentista anche in Piemonte, nelle Marche o in Basilicata? Nel caso del Veneto ogni localismo è stato gonfiato, enfatizzato e portato all’estremo. Si elogia un presunto “popolo Veneto”, che sembra più unito dalla tendenza al conservatorismo e dall’ostentata difesa del proprio territorio e dei propri interessi più che da una tradizione degna di essere perpetuata e conservata. Nella costruzione di una “venecità autentica” sono infatti in gioco interessi storici ed economici, che però hanno ben poco da spartire con il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Ma d’altronde l’utilizzo dell’identità come mezzo politico è uno dei capisaldi di moltissimi movimenti, partiti e rivendicazioni a partire dagli anni ’60 fino ad oggi. In questo caso però non si tratta di una rivendicazione di un’identità subalterna negata o di una cultura di minoranza, ma di un’invenzione identitaria, costituita su miti ben precisi, e tesa al mantenimento dei propri privilegi e il proprio status quo.
L’identità Veneta viene così gonfiata, creando un tradizionalismo enfatizzato, che tende a imputare a cause esterne i problemi e i mali che ci circondano. Eppure la Mafia del Brenta, il fallimento della banca di Vicenza e Veneto Banca, il Mose i Pfas nell’acqua …. Sono tutti “disastri nostrani”, Veneti DOC.
INDIPENDENSA! - il referendum e la (presunta) identità Veneta – parte uno
Il 24 aprile 2017 Luca Zaia ha emanato un decreto per chiamare i veneti alle urne, con lo scopo di far scegliere ai cittadini se approvare o meno una maggiore autonomia regionale rispetto allo stato centrale. Nello stesso giorno anche nella Regione Lombardia si è tenuto un referendum non dissimile, che però è stato meno partecipato rispetto a quello del vicino orientale: l’affluenza in Veneto ha raggiunto quasi il 57,2%, mentre in Lombardia hanno votato solo il 38,2%. In tutti e due i referendum, la vittoria del sì è stata schiacciante.
Alla luce dei risultati dei due Referendum appare chiaro, anche per chi in Veneto non ha mai vissuto, che pur proponendo un quesito simile ed essendo accorpati in un’unica data, le due consultazioni nascevano da bisogni e sentimenti diversi, e sono stati vissuti dalla popolazione delle due regioni in maniera molto differente.
In particolare, il divario tra i risultati del referendum tra Lombardia e Veneto sono indicativi della differente storia politica e sociale dei due territori, in quanto rende evidente un sentimento “identitario venetista”, derivante da molteplici fattori economici e sociali, che ha pervaso la storia politica del Nord-Est negli ultimi decenni, e che in Lombardia è assente. Se si vuole capire a fondo il successo di questa consultazione, si deve quindi tenere in considerazione non solo ragioni politiche e finanziare, ma anche le narrazioni separatiste che da anni pervadono il nord Italia, in particolare il Nord-Est.
La stessa data del referendum è indicativa degli intenti degli enti promotori, ed è stata scelta per “fomentare” gli animi degli autonomisti. Questa è stata fissata in un giorno che per molti è altamente simbolico: il 22 ottobre 2017, nel giorno del 151° anniversario del plebiscito del Veneto (tenutosi il 21 e 22 ottobre 1866) che sancì la fine della terza guerra d'indipendenza e l'unificazione delle province venete e di quella di Mantova al Regno d'Italia. Annessione che per alcuni revisionisti storici sarebbe illegittima.
Un secondo dato da considerare è che questo referendum, oltre ad essersi svolto in una data particolarmente significativa, si inserisce in un periodo storico particolare, in cui la questione delle autonomie diventa sempre più importante a livello europeo. Dal referendum Scozzese alla Catalogna fino alla Brexit, lo scontro tra una società sempre più sovranazionale e le resistenze dei localismi sta trovando sempre più spazio nelle cronache internazionali. Queste tematiche non sono mancate durante la campagna elettorale, e a livello di società civile non sono mancate le manifestazioni di sostegno ai localismi, in primis alla Catalogna, in quanto “popolo oppresso (quello Veneto) solidale con un altro popolo oppresso (quello catalano)”.
Questo sentimento del Veneto come “stato occupato” dall’Italia non è una novità: in Veneto questo referendum ha cavalcato decenni di rivendicazioni indipendentiste, non tutte legate alla lega. Seppur questi movimenti siano solitamente legati a idee di Destra, essi hanno una storia che inizia molto prima degli anni ’90 e hanno poco da spartire col Carroccio. Per comprendere quanto la “voglia” di autonomia sia trasversale è eloquente un documento del 2012, quando il consiglio regionale del Veneto presentò la risoluzione n°44 per “il diritto del popolo Veneto alla compiuta attuazione della propria autodeterminazione”, firmata non solo da esponenti leghisti, promotori dell’iniziativa, ma anche da consiglieri di Forza Italia e di Rifondazione Comunista. A livello locale, importanti sindaci del PD come quelli dei capoluoghi di Treviso e Vicenza, si sono schierati apertamente per il sì. Il risultato del referendum in Veneto non è quindi da vedere come un successo della Lega, ma è un dato che oltrepassa i confini del partito in quanto va ad intaccare un movimento che esiste da più di cinquant'anni.
Chi vede in questo referendum la sconfitta del PD e del M5s non ha a mio avviso compreso che sono molte le forze politiche in campo che sostengono l’autonomia, o che aspirano a un Veneto a Statuto Speciale, come le altre regioni del Triveneto. L'abilità della Lega è stata quella di sfruttare al meglio un periodo favorevole e un risentimento nei confronti dello stato Italiano che esisteva ormai da anni, convogliando questi movimenti e questi bisogni identitari sotto la sua bandiera.
Da una parte, è vero che questo referendum non porterà probabilmente a nulla di concreto a livello politico (il caso dell’Emilia Romagna, che ha iniziato le pratiche dell’autonomia senza voto popolare è stato citato da tutti coloro che ne hanno criticato l'utilità); dal punto di vista simbolico, esso ha avuto un significato molto potente perché ha rafforzato il potere contrattuale tra il Veneto e Roma consacrando Zaia come uomo di punta della Lega. In secondo luogo, la consultazione ha messo in luce tutta una serie di sentimenti indipendentisti e identitari, di cui si preferiva ignorare l’esistenza, e che in genere venivano messi a tacere dalle tendenze “assimilazioniste” dello stato centrale. In questo modo ha anche ridato vigore a una serie di movimenti, spesso visti come “elementi folkloristici” pronti a utilizzare questo referendum per aumentare la propria forza.
Questa non è stata l'unica volta che è stato proposto un referendum per promuovere l'autonomia o addirittura l'indipendenza del Veneto. Infatti, nel corso degli anni diverse fazioni e gruppi politici hanno più volte cercato di ottenere il via libera per una consultazione popolare. L’ultimo di questi tentativi è avvenuto nel 2014, quando il partito “plebiscito.eu” tentò di cancellare l’annessione del Veneto al Regno d’Italia con un malriuscito referendum digitale nel 2014. Questo referendum costituiva un’azione simbolica, nata dopo una serie di tentativi fallimentari a livello istituzionale, quasi sempre bocciati in quanto in contrasto con la Costituzione.
Indipendentismo nella cultura popolare
Come accennato in precedenza, il 22 ottobre 1866 si è svolto il plebiscito del Veneto per sancire l'annessione al Regno d'Italia le terre cedute alla Francia dall'Impero austriaco a seguito della terza guerra di indipendenza. Si tratta di un fatto storico dibattuto, visto da alcuni storici come il primo atto di “colonialismo” verso la regione Veneta. Il plebiscito del 1866 è stato più volte messo in discussione da molteplici tentativi di revisionismo storico, che vedono nell’annessione all’Italia del Veneto un atto illegale, un inganno frutto di una truffa architettata dal Regno d’Italia. Questa visione venne ripresa da un gruppo di otto persone della campagna padovana denominato “Veneta Serenissima Armata”, più famosi come “i Serenissimi” (appellativo dato loro dai mass media), considerati come terroristi dallo Stato italiano, che occuparono simbolicamente tra l’8 e il 9 Maggio 1997 il campanile di san Marco dichiarando illegittima l’annessione del Veneto al Regno d’Italia.
Il gruppo era armato di alcuni fucili e un “Tanko artigianale”, un autocarro travestito da carro armato. Nonostante non avessero grandi mezzi e la loro impresa sia durata poche ore, i Serenissimi ebbero un grosso impatto mediatico, portando la questione veneta anche sulla Cnn e diventarono un simbolo per tutta una serie di partiti e movimenti autonomisti. Nel 2014 si è tentato di ripetere l’impresa, ma è stata sventata dalle forze dell’ordine prima che il mezzo blindato venisse assemblato. Circa una quarantina di persone tra indipendentisti veneti e bresciani sono state arrestate, tra cui due ex-serenissimi. Da allora il “Tanko” è entrato nell’immaginario collettivo “Veneto”, protagonista di magliette e meme.
Oltre a queste azioni ad impatto, in molti sono stati gli episodi di singoli cittadini o movimenti che hanno cercato di mostrare la loro lontananza dallo Stato italiano, da sindaci che hanno esposto gigantesche bandiere del leone di san Marco, ai numerosi graffiti che inneggiano al Veneto stato. Numerosi sono i partiti che già dal nome presentano programmi politici improntati sull'indipendentismo o sull'autonomia dall'Italia, come Progetto Nord-Est (che mira alla costruzione di una Macro-Regione che comprenda tutte le tre Venezie), Indipendenza Veneta e Liga Veneta Repubblica. Ironia della sorte, dove non sono riusciti i vari referendum e gruppi eversivi è arrivato un errore della Lega: attualmente il tanto agognato Regio Decreto che sanciva l’annessione al Veneto non esiste più, in quanto Calderoli, durante il suo mandato come Ministro delle semplificazioni, ha dato alle fiamme – con un'azione dimostrativa - numerose norme, tra le quali quella dell’annessione del Veneto all’Italia.
Cos’è l’identità veneta?
“Tre millenni di civiltà hanno fatto del Veneto una regione ricca di arte, di tradizioni e di memoria e hanno consolidato una cultura locale, un insieme di parlate e unodo di “essere nel mondo” chiaramente determinato”. Questa descrizione viene dal sito della Regione Veneto, che presenta una sezione sull’identità e la lingua veneta al fine di mostrare “l’impegno della Regione nel favorire iniziative di ricerca, di divulgazione e di valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico su cui trova fondamento l’identità veneta”. Quest’impegno viene promosso tramite una serie di iniziative e finanziamenti tesi a diffondere la cultura e l’identità del territorio ai propri abitanti. Si tratta di una concezione dell’identità che l’antropologo Aime definisce come «istituzionale», come se l’identità di un popolo “fosse un elemento strutturale, in grado di essere gestito e organizzato dall’alto come scuola, industria, sanità, e non un valore che dovrebbe nascere dal basso ed essere continuamente rinegoziato”.
Ma in cosa consiste quest’identità veneta tanto decantata dai leghisti e dagli altri movimenti autonomisti/indipendentisti? Esiste una reale Identità Veneta tra la popolazione del Nord-Est?
In genere per comprendere il sentimento identitario di un popolo si guarda dapprima alla sua storia, alla sua lingua, alle sue tradizioni, ai suoi usi e costumi. Il Veneto storico si componeva della Venezia Euganea (attuale Regione Veneto), della Venezia Giulia (attuali province di Trieste e di Gorizia, l'Istria) e della Venezia Tridentina (attuale Provincia di Trento). Nonostante questi territori siano stati unificati per più di mille anni, la nostalgia per la Serenissima non fa parte dei discorsi identitari e politici di tutto il Nord-Est e attualmente a livello politico nessun trentino o friulano o istriano si è mai mosso a favore di un indipendentismo Veneto, né si sente legato a una cosiddetta “Identità Veneta”.
Da un punto di vista storico e culturale non si può parlare di un'identità veneta vera e propria, ma piuttosto si possono ritrovare delle analogie culturali e linguistiche tra i residenti nelle tre Venezie. D’altronde è difficile pensare al “popolo Veneto” come unitario: i modi di vivere e la stessa “łéngua vèneta” differiscono notevolmente, variando a seconda dei comuni e dei territori. Basti pensare alle enormi differenze che passano tra il Cadore - territorio di montagna con molti luoghi che rischiano lo spopolamento e l’abbandono - dove il dialetto non è una variante del veneto ma deriva dal Ladino e la Laguna veneziana - zona industriale densamente popolata affacciata sull’Adriatico - caratterizzata da stili di vita e necessità completamente diverse da quelle dei Cadorini e dove si parla il dialetto Veneziano (che presenta molteplici varianti al suo interno).
Dal punto di vista politico e amministrativo “i veneti” non si amano troppo tra di loro. Non è un caso che in quest’ultimo referendum fosse previsto per la sola Provincia di Belluno un ulteriore quesito, per chiedere una maggiore autonomia dalla Regione Veneto per il territorio bellunese. Questa Provincia è infatti completamente montuosa, ed ha bisogno di attenzioni specifiche, che non sempre Venezia riconosce; per questo motivo negli anni si è creato un malcontento contro l’amministrazione regionale, e da tempo molti partiti richiedono l’autonomia dal Veneto. Per motivi non dissimili nel corso degli ultimi anni sono stati ben 31 i referendum di comuni di confine, tra cui la stessa Cortina D’Ampezzo, che hanno richiesto l’annessione (motivandola spesso non solo per motivi fiscali, ma anche storico-culturali) al Trentino Alto-Adige o al Friuli Venezia Giulia. Nessun Comune ha mai sentito la necessità di passare alla Lombardia o all'Emilia Romagna.
Anche la narrazione politica della Lega palesa iper-localismi, che usano come punto di riferimento non la regione, ma i singoli territori: basti pensare che si è arrivati a farneticazioni deliranti quali quelle del fu sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini sull’esistenza di una fantomatica “Razza Piave”, priva di impurità.
Alla luce di queste riflessioni sembra difficile riuscire ad immaginare un’identità forte e compatta, tale da poter definire i veneti come popolo a sé stante, in perenne lotta con il potere centrale.
Guerra Civile e violenza nella storia contemporanea italiana
Lo scorso 22 Ottobre in Veneto e Lombardia si è tenuto un referendum consultivo sull'autonomia regionale promosso dagli esponenti della Lega Zaia e Maroni. Se il primo ha ottenuto un risultato ragguardevole portando alle urne quasi il 60% degli aventi diritto, il secondo è riuscito a convincere meno del 40% dei lombardi. Il carattere disomogeneo dell' esito referendario si riflette anche sulle rivendicazioni di fondo che sono state sollevate già a poche ore di distanza dalla votazione.
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