Una guerra, in Medio Oriente, che non si chiude anzi si allarga

Considero per primi i passaggi subiti dai conflitti armati mediorientali in corso che precedono il cambiamento di presidenza negli Stati Uniti; poi ricapitolerò quelli successivi. Da quando ci ho provato l’ultima volta i cambiamenti di prospettiva di buona parte degli attori in campo sono stati enormi, sino a delineare un quadro generale molto diverso, quello precedente essendo determinato dalla centralità di Daesh – dal suo uso turco, dal contrasto portatogli da regime siriano, Russia, Stati Uniti e loro alleati, Iran e forze a esso legate – mentre Daesh ormai sta per essere sconfitto sia in Iraq che in Siria.

Ricapitolando fino a “prima” rispetto al quadro attuale

Esso era venuto assumendo la forma di un’instabile o ridotta, a seconda dei momenti, alleanza tra Russia e Stati Uniti, unita dall’obiettivo di far fuori Daesh. L’intervento russo aveva consentito di sbloccare un conflitto che durava da cinque anni e che stava portando al totale disfacimento della Siria, al consolidamento della forma semistatale assunta da Daesh, all’espansione parallela di al-Nusra (l’al-Qaeda siriana), a quella della coalizione Ahrar al-Sham nonché di una miriade di altri gruppi islamisti minori, a volte solo sigle di copertura delle due realtà maggiori, a volte loro alleati, a volte in conflitto con uno di essi o con tutt’e due, a volte su base etnica (soprattutto turcomanna), ecc. La Giordania, incaricata dall’ONU del censimento di queste forze, ne conterà 65.

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I curdi che quasi unici combattono in Medio Oriente contro l'ISIS sono per gli USA al tempo stesso alleati e terroristi

La citta curdo-siriana di Kobanê, attaccata improvvisamente nei giorni scorsi dai miliziani dell’ISIS, è stata liberata dalle milizie curde YPG e YPJ del PYD. Si è trattato da parte dell’ISIS, in tutta evidenza, di un’operazione diversiva, di alleggerimento della sua situazione diventata precaria nell’area centrale siriana da esso da tempo controllata e nella quale è la “capitale” siriana dell’ISIS Raqqa. Come sappiamo, nelle settimane scorse le milizie curde hanno conquistato l’area che divideva il cantone curdo-siriano di Kobanê dal cantone curdo-siriano orientale: in questo modo le milizie curde si sono garantite l’afflusso di armi e di rinforzi dal territorio curdo-iracheno di fatto indipendente, al tempo stesso hanno liberato quel tratto di frontiera con la Turchia attraverso il quale l’ISIS riceve rinforzi oppure manda a curarsi negli ospedali turchi i propri feriti. La sostanziale totalità dei rinforzi dall’Europa l’ISIS li riceveva attraverso la Turchia. Le forze dell’ISIS avevano la possibilità di andare avanti e indietro con la Turchia, di usarla per spostarsi da una parte all’altra della Siria, mentre la frontiera turca era bloccata quanto a possibilità che vi passassero rinforzi alle milizie curdo-siriane, inoltre avveniva che i curdi in fuga dall’ISIS dovessero accalcarsi sulla frontiera turca per settimane.

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Notiziole fasulle e notizie vere dal Kurdistan siriano

La Stampa è il solo tra i grandi quotidiani a dare spazio in questi giorni alle notizie che vengono dal nord della Siria, dove lo Stato Islamico sta subendo una batosta militare da parte delle Milizie Curde di Autodifesa (YPG) e da un gruppo di soldati dell’Esercito Siriano Libero, una delle poche formazioni non fondamentaliste rimaste a combattere contro il regime di Assad. L’offensiva curda potrebbe addirittura liberare Rakka, la capitale in Siria dello Stato Islamico. I combattenti curdi siriani sono diventati beniamini mondiali, e la Stampa non è da meno tra quanti nell’universo mediatico li appoggiano. Le Milizie Femminili di Autodifesa (YPJ) del PYD sono state, in tutta evidenza, il migliore strumento di propaganda e di chiarificazione agli occhi del mondo di quel che la militanza politica e militare curda è nella sua interezza – un faro di massima civiltà in uno dei teatri più barbarici e micidiali del pianeta. Viene ora a incrementare il riconoscimento mondiale della realtà curda Selahattin Demirtaş, presidente dell’HDP, quel partito curdo di Turchia che non solo nelle recenti elezioni politiche ha più che raddoppiato i voti alle formazioni curde che l’hanno preceduto, ma che ha pure saputo unire a sé la frastagliata sinistra turca e aprire le sue liste alla totalità delle minoranze etniche e religiose della Turchia, alle persone omosessuali, ai giovani e alle donne protagoniste delle rivolte a Istanbul, alle associazioni per i diritti umani, assegnando così un colpo politico micidiale alla feccia fondamentalista e autoritaria guidata dal presidente-canaglia turco Erdoĝan.

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