Dalla speranza nel centrosinistra al rancore diffuso? Un tentativo di storia politico-passionale

Aprile, di Nanni Moretti, costruisce un finale purtroppo debole – in quella che rimane una pellicola godibile – ma evidentemente molto sentito dal regista/attore attorno alla vittoria del centrosinistra capitanato da Romano Prodi alle elezioni politiche del 1996, la cui onda lunga emozionale sblocca la vita altrimenti insoddisfacente del protagonista del film. Su una t-shirt propagandistica prodotta da Rifondazione Comunista dieci anni dopo (2006) campeggia a caratteri cubitali uno slogan motivante ed ottimista: “vuoi vedere che l'Italia cambia davvero”. Ora faccio fatica anche solo ad immaginare chi possa avere il coraggio di indossarla, e infatti la conservo come un reperto archeologico.

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Scissioni e soldi, politica e patrimonio, quel patrimonio necessario a svolgere l'attività politica, sono indissolubilmente legati: anche in epoca di “partiti liquidi” (che poi una volta si chiamavano “comitati elettorali”) e “movimenti” (parola salvifica per designare i partiti togliendoli quella che viene da molti percepita come la “puzza” del '900).
In questi giorni di frenetica attività dentro e fuori il PD, proprio per approfondire nello specifico questo tema e mettere qualche elemento di certezza, abbiamo sentito Gabriele Maestri, cultore del diritto dei partiti, collaboratore dell'Università di Parma, giornalista pubblicista (cura il blog isimbolidelladiscordia.it) nonché autore di due testi per “drogati” di politica: I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti (Giuffrè, 2012) e Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male (Aracne, 2014)

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