Si è parlato e si parla ancora tanto di gestazione per altri (chiamata anche, nel gergo comune, per quanto a mio avviso in maniera non pertinente, pratica dell’“utero in affitto”), ma forse mai con seria cognizione di causa. La polemica è esplosa durante la proposta e l’iter del ddl Cirinnà, che, inizialmente, includeva la cosiddetta stepchild adoption, ovvero la possibilità di adottare il figlio biologico del partner. Ciò ha scatenato un panico assurdo negli ambienti cattolici, leghisti, di destra e democristiani (anche all’interno dello stesso pd), adducendo come motivazione principale (oltre al presunto sacrosanto dritto di un bambino di avere sia una madre che un e non due madri o due padri!) il rischio (per altro neanche troppo immediato) che una clausola simile avrebbe spalancato ancor di più le porte al ricorso alla gestazione per altri, vietata in Italia ma più o meno regolarizzata in altri paesi esteri. Alla fine cattolici, destroidi, democristiani piddini hanno avuto la meglio, anche “grazie” alla “libertà di coscienza” invocata dai grillini e alla loro bocciatura del “canguro” e, tutte queste forze insieme, hanno affossato il ddl originale facendo decadere il punto considerato critico. La legge Cirinnà fortunatamente è passata, per quanto ancor più parziale e svilita nei contenuti – altro punto che ha creato un po’il panico, per quanto argomento meno mainstream rispetto alla stepchild è ed era la pensione di reversibilità: non sia mai che coppie di fatto abbiano diritto alla pensione di reversibilità! – , ma sicuramente essa è un primo (e spero non l’ultimo) passo di apertura verso imprescindibili diritti civili.
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