Il "manifesto Calenda": la proposta che non salverà il Paese
Dopo il voto del 4 marzo 2018, le forze politiche sconfitte presenti in Parlamento hanno provato a fare opposizione; essa si è tradotta, sostanzialmente, da un lato nella denuncia dei provvedimenti e delle dichiarazioni di Salvini e dall’altro nell’apprezzamento dell’osservazione dell’inconcludenza del Movimento 5 stelle.
Ombre della sinistra europea in Italia
Mentre si avvicina il voto del 4 marzo, Daniela Preziosi, su il manifesto ha scritto un articolo da titolo «Le figurine della sinistra europea nella sfida italiana». Le elezioni nazionali non hanno chiaramente al centro la dimensione continentale, ma più che in passato c'è un certo imbarazzo - trasversale - a rapportarsi con i vicini dell'Unione (Europea!).
Le sinistre italiane si confermano contenitore di grande confusione. La visita di Grasso a Corbyn, l'iniziativa di Fratoianni con una esponente della Linke, le relazioni di Potere al Popolo con il GUE appaiono come timidi echi di pratiche del recente passato.
Proviamo a concentrare le nostre dieci mani a partire da due notizie di attualità.
A fine gennaio Mélenchon ha chiesto l'esclusione di Syriza dal Partito della sinistra europea, con una dura replica di Tsipars ("noi non siamo una sinistra sola a parole"). L'allarme frattura pare essere rientrato ma certo la tensione rimane e appaiono lontani i tempi dell'asse greco-francese in chiave solidaristica.
Il PSE non se la passa meglio. Schulz pareva dover rafforzare il vento di Sanders e Corbyn, con una campagna di rilancio della SPD (eletto come candidato con il 100% dei voti del partito) incentrata sul rifiuto delle grandi coalizioni. Ha dovuto fare passi indietro su numerose questioni di principio e infine ritirarsi anche dal ruolo concordato con la CDU di Ministro degli Esteri. Le sue dimissioni dalla presidenza del partito ricordano più la disfatta di Hollande che il successo narrativo del Labour.
Di tramonto delle sinistre europee abbiamo sempre scritto sul Becco, queste Dieci Mani provano ad aggiornare la riflessione.
Il nesso tra la concezione occidentale del mutamento sociale radicale (quello che ora chiameremmo “rivoluzione”) e l’escatologia cristiana non è un mistero per nessuno: storicamente le troviamo fuse in più di un’occasione.
Dall’istante in cui si realizza il fatto della venuta del Regno nulla nel mondo è più ciò che era, tutto è santificato o condannato per sempre. Similmente, si pensa che, conquistato “il potere”, che purtroppo è perlopiù concepito come il controllo dell’apparato statale, una realtà umana come un leader o un partito possa fare tabula rasa del vecchio stato di cose e instaurarne uno nuovo radicalmente diverso. Se ciò non accade è per il tradimento (vecchio refrain stalinista) o per la pusillanimità di chi di dovere, oppure per la malvagità del vecchio mondo che non accetta di perire.
È facile comprendere come una simile concezione abnorme dell’essere umano non possa non essere frustrata dalla realtà. È infatti un’ovvietà assoluta che la storia vada avanti per processi, e non per salti repentini, così come dovrebbe essere un’ovvietà che qualunque mutamento sociale ed istituzionale, proprio in quanto è oggetto della storia umana, tenda ad essere marcatamente path-dependent: fatti e decisioni del passato vincolano il presente, riducendo il campo del fattibile.
Ciò non significa che il mutamento, anche radicale, di istituzioni, modelli economici e costrutti socioculturali sia da escludere; significa però che avviare un processo storico di lunghissimo periodo è cruciale, che nel breve e medio periodo è d’uopo darsi obiettivi realistici e non investire gli strumenti del potere di una mistica che non gli appartiene.
Lo stato sociale non è un’invenzione del Messia Roosevelt o del Messia Attlee, è un punto in un processo storico iniziato quasi un secolo prima in Prussia, a sua volta parte del più ampio processo storico del capitalismo; così come la controrivoluzione thatcherian-reaganiana di fine anni ‘70-inizio anni ‘80 che ha profondamente modificato quel sistema ha radici nell’Europa dilaniata dalla Seconda guerra mondiale, per esempio. Nell’immediato dopoguerra, nei dipartimenti di economia delle università più prestigiose del Vecchio e del Nuovo mondo gli studiosi istituzionalisti o keynesiani erano l’assoluta maggioranza; oggi ciò che non si basa su una matematizzazione estrema ed esasperata e/o sulla fede nel pallido mainstream propinato dai 2-3 manuali di macroeconomia “ufficiali” o nelle teorie neomonetariste rischia di passare per pseudoscienza: l’importanza assoluta di conquistare e tenere casematte.
Ultimo a fare le spese della confusione tra storia ed escatologia il premier greco Tsipras. Su SYRIZA la sinistra europea ha investito un enorme carico emotivo, ma purtroppo poche energie intellettuali. L’errore di Tsipras (che comunque nei sondaggi viaggia intorno al 20% stabile, perdendo non contro forze antiausterity ma contro la destra di ND) non sta in qualche fantomatico “tradimento”, vale a dire nell’aver voluto governare una situazione reale, già gravemente compromessa e condizionata da decenni di scelte sbagliate che non si possono realisticamente cancellare con un colpo di spugna, ma nell’aver pensato che bastasse vincere, che il potere potesse destrutturare e ristrutturare a piacimento la realtà, che il vecchio contesto si sarebbe arreso di fronte al nuovo che viene.
Un errore replicato da tutti coloro che, in giro per l’Europa, continuano a sostenerlo o al contrario lo denigrano, come Mélenchon. “Fare qualcosa” e “cambiamo tutto” continuano ad alimentare investimenti emotivi ed entusiasmi, mentre si trascura completamente la preparazione necessaria per quando il momento di fare qualcosa arriverà davvero e si vive di belle idee astratte e belle intenzioni. Al contrario di molti, ho sempre preso molto seriamente (e in parte condivido) l’idea che al governo non ci si debba andare, che sia meglio costruire contropotere che prendere il potere.
Se si decide altrimenti, però, al potere è utile arrivarci solo alla fine di un processo consapevole.
Il tradimento verso il popolo greco del governo Syriza-Anel deve aver screditato ciò che resta della sinistra europea se lo stesso Melenchon è arrivato al punto di chiedere l'espulsione di Syriza dal Partito della Sinistra Europea.
La risposta di Syriza sembra un bieco tentativo di arrampicarsi sugli specchi accusando di antidemocraticità e di irresponsabilità chi si è quantomeno indignato per la macelleria sociale del governo Tsipras.
L'unica sensata accusa che si sarebbe potuta muovere a chi ora punta l'indice contro Syriza è cosa avrebbero fatto al loro posto, dovendo mantenere l'appartenenza all'Unione Europa.
Con quale linearità e coerenza si sarebbe potuto mantenere l'ideale di un'altra Europa in un contesto dove è risultato evidente che di Europa ne esiste una sola e non è certamente disposta a farsi riformare da qualsiasi movimento di sinistra alternativa continentale?
Insomma, Melenchon pensa di avere un Piano B e va in giro con Varoufakis a spiegarcelo da quel maledetto 5 luglio 2015. L'unico pulpito da cui proviene la predica è basato su quello striminzito Piano B che pensa di donarci un'altra Europa dal volto umano.
L'unica base di una politica economica neokeynesiana per formare un'altra UE è basata su politiche di redistribuzione della ricchezza con creazione di opportunità di lavoro dignitoso e transizione ecologica in opposizione al modello neoliberista su cui è storicamente fondata l'UE.
La sola partecipazione democratica dovrebbe magicamente donarci questa nuova prospettiva idilliaca, anche se abbiamo già visto il totale fallimento di questo percorso.
Le perplessità non mancano neanche verso Melenchon e la sua voglia di rilanciare la Sinistra Europea all'interno delle istituzioni ordoliberali.
La nascita del GUE e del Partito della Sinistra Europea sono una diretta responsabilità della cultura politica italiana. Abbiamo già avuto modo di sottolinearlo sul Becco già qualche anno fa ormai, ma alcuni nodi di fondo dei problemi europei rimangono non affrontati. Certo le analisi devono essere aggiornate ma l'atteggiamento generale pare essere ossessivamente "cerchiamo qualcosa che funzioni per aggrapparci da una zattera all'altra".
Sabina Guzzanti non è una politica, ma il suo documentario Viva Zapatero!, collegato al recente sostengo per Potere al Popolo (con una convergenza dell'ex socialista Mélenchon) potrebbe interrogarci su quali sono i percorsi di maturazione delle varie narrazioni, spesso estemporanee e prive di processi stratificati, che dovrebbero portare a robuste sedimentazioni organizzative.
Il livello delle sinistre sul piano continentale è un disastro. È stato Renzi a portare il Partito Democratico nel PSE, mentre questa famiglia continua a registrare numerosi insuccessi, con l'informazione schierata a sostenere il fenomeno Corbyn, il cui profilo non entusiasma i dirigenti dei vari partiti europei.
L'isolamento della Grecia ben si conferma con l'attenzione di Tsipras a ciò che avviene in Germania (con tanto di invito a creare un nuovo governo di grande coalizione, scavalcando la linea ufficiale di Schulz da destra).
La replica di Syriza ("noi non siamo di sinistra solo a parole") non è che una ferita già aperta in Italia, se uno ripensa al dibattito interno a Rifondazione per il sostegno all'Unione (intesa come coalizione del "secondo Prodi").
Quale è la cultura di governo della sinistra socialista? E quale quella della sinistra di alternativa?
C'è qualcosa di male ad ammettere di non avere ancora elaborato una complessiva capacità di governare ma voler rappresentare la difesa degli interessi di chi subisce questo sistema? Il potere e il governo sono categorie collegate ma distinte, far finta che esista un obbligo storico perché continuino a esistere "destre" e "sinistre" non farà che rafforzare i sostenitori del superamento di queste categorie.
Per chi è convinto della necessità di una sinistra di classe si tratta di non rassegnarsi ai tempi brevi, alla tattica e allo scoraggiamento, pur insistendo nella ricerca di equilibrio per agire nel presente.
La scorsa settimana è stato diffuso il primo sondaggio che evidenzia in Germania un sorpasso di AfD sulla SPD (16% contro 15,5%). Molti sono stati così impegnati ad allarmarsi da non prendersi la briga di ricercare quel sondaggio e consultarlo nella sua interezza. Se lo avessero fatto, avrebbero scoperto che la somma di SPD, Linke (11%) e Grünen (13%) porta la sinistra complessivamente al 39,5: un vantaggio di fatto abissale su AfD e quasi appaiato alla coppia CDU-CSU (32) e FDP (9). Inoltre, la somma di queste somme porta a un oltre 80% per le forze politiche democratiche.
La crisi della SPD è vecchia di molti anni, ma non è stato possibile sinora affrontarla per la doppia sordità delle sue due anime. La dirigenza e i giovani movimentisti, infatti, condividono la medesima radicalità anticomunista che impedisce l’unità delle sinistre e, sebbene si dichiarino antifascisti, continuano ancora ad accettare, a ventisette anni dall’unificazione, l’assenza di una Costituzione tedesca e la permanenza della provvisoria “Legge fondamentale” creata nel 1949 per la zona occidentale sotto tutela anglo-franco-americana. La disconnessione con la realtà rasenta a tratti l’inverosimile: nei sondaggi Schulz aveva inizialmente agguantato la parità con la CDU, ma che il suo faccione rassicurante non bastasse era diventato noto fin dalle prime occasioni di voto reale (e non demoscopico) per i parlamenti regionali a maggio 2017. Nonostante questo, la SPD ha continuato su una linea politica schizofrenica, che rifiutava la Grosse Koalition e neppure considerava una politica unitaria a sinistra.
Questa linea suicida è la medesima battuta anche in Francia da Mélenchon e in Italia da alcune sparute forze di sinistra. Il primo, invece di accettare la sfida di Macron sulla «societé du travail», si è limitato a contestarlo sulla memoria storica negando le responsabilità della Francia nei rastrellamenti e deportazioni degli ebrei. In Italia i paradossi sono esemplificati da Fratoianni che invoca il fronte democratico per battere il fascismo (quindi per questo se ne sta fuori dal centrosinistra e inveisce contro il fronte democratico Pd-Forza Italia) e da Rizzo che invece di lottare per un governo comunista europeo vuol far precipitare l’Italia nel baratro dell’isolamento (per la serie: amo così tanto Serbia e Transnistria che voglio essere come loro).
Nessuno, in tutto questo, si è fermato a riflettere sulla svolta politica post-elettorale di Corbyn, che ha riconosciuto la necessità per i partiti socialisti di essere al centro della società (leggasi: Partito della Nazione). Grasso era troppo occupato a tradurre dall’inglese lo slogan elettorale “For the many, not the few” per documentarsi su cosa è successo dopo.
La sinistra, almeno in Occidente, sta facendo di tutto per rendere il celebre ammonimento reazionario di Margaret Thatcher, "There is no Alternative" (non c'è alternativa al neoliberismo), una vera e propria profezia.
In crisi di egemonia e di legittimità, la sinistra europea lavora duramente per ottenere un minimo di visibilità, di credibilità e di consenso in un campo dominato dal realismo capitalista. Le poche energie vengono necessariamente mobilitate nel breve periodo: si guarda alle prossime elezioni, ci si organizza come si può per provare a fermare la prossima legge che precarizza (ulteriormente) il mercato del lavoro, e così via. La debolezza cronica della sinistra ha così necessariamente spinto in secondo piano il fondamentale problema del "che fare?" una volta vinte le elezioni e preso il potere politico.
Il neoliberismo è un modo di governare l'economia e la società che ha una sua logica intrinseca.
Esistono ovviamente delle varianti nazionali e geopolitiche nella sua governance ma queste condividono tutte una serie di ricette e di modi di organizzare la realtà specifici.
Nell'apparante caos dell'ordine globalizzato e post-westfaliano attuale, il neoliberismo segue una sua cinica ma coerente logica.
Forse ha torto Foucault quando afferma che al socialismo è sempre mancata una sua specifica governamentalità ma è evidente che in questa fase storica, manca un modo coerente e complessivo di pensare l'alternativa politica. Come vogliamo che sia l'economia? Come deve essere la società? Come vogliamo che sia l'individuo all'interno di questa società?
Il neoliberismo sa benissimo ciò che vuole mentre mi pare che manchi una visione d'insieme a sinistra sulla società del futuro da costruire (non si è nemmeno d'accordo su come deve essere pensata la coppia sovranità/globalizzazione).
In questa fase storica l'ammonimento di Foucault va dunque preso sul serio: manca un progetto politico reale e ci si appoggia su governamentalità già esistenti: forze come Podemos, Linke, La France Insoumise sembra che facciano molta fatica a proporre qualcosa di più che non sia la solita ricetta socialdemocratica e keynesiana.
Ma che succede quando queste ricette sono sostanzialmente inapplicabili? Vincoli di bilancio, creditori internazionali, trattati di libero scambio, accordi europei non rendono quasi mai possibile mettere in atto reali misure redistributive (se stai all'interno delle regole del gioco la coperta è sempre cortissima).
Quello che è accaduto a Syriza in Grecia è paradigmatico. Una volta vinte le elezioni, tutte le promesse elettorali fatte si sono dimostrate immediatamente irrealizzabili. Restavano due strade: una rottura drastica resa proibitiva proprio dalla mancanza di un progetto politico e di una logica di organizzazione dell'economia e della società nuovi e diversi oppure una gestione politica nella cornice delle logiche neoliberiste, non difformemente da quanto fatto da tutte le altre forze politiche.
Syriza, in mancanza di una realistica alternativa, ha optato fin da subito per la seconda ipotesi e sarebbe ingenuo pensare che se vincesse l'estrema sinistra in Francia, Spagna o Italia sarebbe diverso. Conta poco il potere istituzionale se poi non si ha un' arte di governo in grado di trasformare la realtà.
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.wikipedia.org
False notizie, libertà di informazione ed elezioni
Tra le domande del sondaggio Facebook in cui può capitare una persona iscritta al social network, in questi giorni, c'è anche quella legata a quanto si ritiene affidabile la qualità delle informazioni che vi si trovano.
Mark Zuckerberg si affida (almeno nelle dichiarazioni) agli utenti per avviare un meccanismo di selezione delle fonti web per le notizie, dopo aver già dato priorità alle relazioni familiari e amicali. Il grande clamore suscitato da queste scelte contribuisce a percepire Facebook come il principale luogo in cui il cittadino occidentale mediamente forma le proprie opinioni. Così non è, nonostante Ministero dell'Interno e Polizia di stato abbiano contribuito a questa idea diffusa nell'opinione pubblica. A poche settimane dal voto è stato presentato un sistema che permetterà la segnalazione di false notizie sul web alle forze dell'ordine.
Nella serata di venerdì 12 gennaio scorso l’assemblea lombarda degli aderenti a Libere/i e Uguali ha votato quasi all’unanimità (notabene) in quel di Cinisello Balsamo una partecipazione alle elezioni regionali separata dal PD. Molto opportunamente nei giorni precedenti erano venute meno le pressioni dal lato nazionale orientate invece all’accordo, ovviamente sulla base di una convergenza dei programmi. Tra i motivi dell’unanimità c’è stato anche, palesemente, il fastidio di compagne e compagni per il modo di queste pressioni, avendo esse sistematicamente evitato un confronto aperto a Milano o altrove in Lombardia tra figure nazionali e l’assemblea degli iscritti lombardi, o i loro delegati, benché continuamente da essi sollecitato. Non è vero quel che scrive il quotidiano del PD renziano e liberal-liberista la Repubblica, che dal lato nazionale non siano state assunte rivolte critiche e sollecitazioni ai lombardi, dato il loro evidente rifiuto dell’alleanza con Gori: tutt’altro. Accenno a tutto questo non per motivi polemici, oggi non solo inutili ma suscettibili di immettere code sgradevoli nel terreno più che necessario del riconsolidamento di reciproci rapporti di fiducia: ma perché è necessaria una discussione su cosa debba validamente comportare il ruolo dirigente. Nessuno, che io sappia, in Lombardia intende contestare quello attuale: anzi richiede che esso sia effettivamente dirigente, nei modi di esercizio di tale ruolo, inoltre perché allargato a quadri locali, a giovani, a donne, a figure di lavoratori dipendenti, ecc. È chiaro che tra i difetti che abbiamo vissuto c’è che il gruppo dirigente è tuttora, sostanzialmente, maschile e costituito da parlamentari.
Il Partito Radicale e il suo ruolo nella politica italiana
Nato nel 1956 da una scissione interna al Partito Liberale Italiano, il Partito Radicale si è assiduamente impegnato nella promozione e nella lotta per affermare i diritti civili e politici in una Italia percepita come tradizionalista, conservatrice ed eccessivamente legata all'influenza della Chiesa Cattolica e alla sua gerarchia clericale. Unendo a una concezione liberale e liberista una forte propensione libertaria e antiautoritaria, i Radicali, nei loro oltre sessanta anni di attività, pur non godendo di una grande forza elettorale, hanno però molto spesso avuto un certo peso e una discreta attenzione mediatica quando si è trattato di combattere le loro numerose battaglie politiche che hanno spaziato dall'aborto, al divorzio, all'eutanasia, all'antiproibizionismo, alle libertà sessuali, al problema del sovraffollamento delle carceri, senza rinunciare a impegnarsi entro una più ampia dimensione internazionale.
Sull'affossamento dello ius soli
Sabato 23 dicembre il Senato ha registrato la mancanza del numero legale sullo ius soli e si è aggiornato al 9 gennaio. Se, come probabile, il Presidente della Repubblica scioglierà le Camere entro la fine dell’anno, la proposta di legge non sarà mai dibattuta a Palazzo Madama e per una riforma del diritto di cittadinanza si dovrà attendere eventualmente la prossima legislatura. Le assenze massive dei partiti di destra (M5s, Lega, Forza Italia) e quelle sparse nel centrosinistra (Pd, A1-Mdp) hanno riacceso la polemica già attizzata tre settimane fa dalla tarda calendarizzazione del provvedimento.
Incredibile il livello di vigliaccheria che caratterizza il dibattito politico italiano, specchio fedele di un Paese in cui minoranze di invasati (nel silenzio e grazie al menefreghismo della maggioranza) si sentono in diritto di alzare barricate per impedire a qualche sparuta famiglia straniera di entrare in casa o di fruire di servizi pubblici. Sulla pelle di esseri umani reali le istituzioni rappresentative della repubblica si sono coperte di ignominia ancora una volta, tra mandatari del potere sovrano del popolo che disertano le aule per affossare la blandissima legge che avrebbe conferito la cittadinanza ad un pugno di persone nate e cresciute in Italia e rappresentanti del potere popolare che gongolano sulla stampa del danno arrecato all'iter della legge con migliaia di emendamenti "fuffa".
Meglio stendere poi un velo pietoso sui peggiori "partiti" - se si può abusare di un termine nobile usandolo per designare l'attuale magma informe - della storia unitaria, a sinistra ridotti a simulacri pseudo-liberaldemocratici a corto di idee e di forza politica, assolutamente incapaci di assolvere alla funzione che spetterebbe loro da costituzione, e a destra (m5s compreso) più vicini alle consorterie della destra eversiva sudamericana che al conservatorismo europeo. La costituzione, il parlamento e la democrazia trasformate in un teatrino da libera repubblica di Bananas.
Una reazione di civiltà minimamente progressista non può e non deve partire dall'accettazione, nemmeno tattica, del presente. Non ci possono essere compromessi, costasse pure un decennio di traversata del deserto. L'idea di trovare scorciatoie populistiche per le stanze del potere (ma poi, per fare cosa?), è una pia illusione. È invece necessario e irrinunciabile ricostruire dal nulla spazi in cui la solidarietà umana, i legami costruiti dalla partecipazione ad un progetto emancipatorio ed il valore nobile della politica possano esistere e dare un volto al socialismo del nostro secolo. Tutto il resto è abbandonarsi al male.
E così mentre il premier non eletto annuncia da una portaerei militare il rilancio delle missioni militari all'estero a scopo umanitario, con la costruzione di ponti umanitari addirittura dal Niger, si scatenano gli alti lai di chi lamenta l'affossamento dello ius soli come gesto di inciviltà. La costruzione di mercati sulle migrazioni globali invece resta un gesto di umanitarismo da preservare e rafforzare, secondo molti.
In realtà, ad aver determinato l'affossamento dello ius soli è un puro calcolo utilitaristico da parte di chi ha incrementato l'integrazione forzata in questi anni. Infatti, una legge che allarga la platea dei nuovi cittadini, favorendo l'integrazione, concedendo la cittadinanza ai nuovi nati sul suolo italiano, andava a destrutturare tutta l'architettura che fino ad oggi ha portato a costruire profitti sulle vite di chi è in fuga dal proprio paese e cerca un rifugio altrove.
Insomma a determinare l'impossibilità degli stranieri nati in Italia di acquisire la cittadinanza alla nascita è un calcolo rivolto a preservare gli interessi di chi ha speculato sull'integrazione forzata. Il vero paradosso è che una forza come il PD considerata pro-immigrati dall'opinione pubblica abbia preferito mantenere norme sulla cittadinanza basate sullo ius sanguinis, pur di preservare e garantire rendite determinate dall'afflusso di chi cerca di accedere ad uno status tanto agognato. La difficoltà di accesso alla cittadinanza resta quindi un criterio da preservare per non erodere le quote di interessi costruite in questi anni, nonostante i bei discorsi dei liberali sull'eguaglianza di diritto per tutti alla nascita.
Antonio Socci sostiene che Papa Francesco è ossessionato dai migranti. Tralasciando i dibattiti surreali all'interno del mondo cattolico, non si può ignorare come l'odio per chi si occupa dei "diversi" abbia un radicamento, almeno apparentemente, più forte che in passato.
Si tende a confondere i piani da ormai un decennio a questa parte. Quello umanitario, spazzato via nel senso comune dall'eccesso di "politicamente corretto" in tempi di crisi economica, riesce a essere con fatica recuperato in chiave ironica e dissacrante, a esempio, dallo spot dei The Jackal per ActionAid (vedi qui), ma si ferma alla comunicazione dei buoni sentimenti per il volontariato. Esiste poi il livello politico, che dovrebbe fondarsi su lettura della società e dei processi produttivi/economici. Da tempo però l'analisi della sinistra di classe (ma anche di quella di governo) si è abbandonato alle parole da vuote trasmissioni televisive in prima serata.
Lo Ius Soli era diventato merce di scambio tra Renzi e Pisapia, poi magari avrebbe convinto la Boldrini a non candidarsi con Grasso. Adesso ci si concentra di nuovo sul Movimento 5 Stelle, che avrebbe fatto mancare i numeri per l'approvazione di una legge, accusata dai suoi detrattori di giungere in momento meramente elettorale.
Ci sono due battaglie da condurre: una culturale, che riguarda il disarmo della guerra tra poveri fomentata dal sistema di informazione (dove il pietismo non fa che aizzare chi vive in difficoltà contro il proprio vicino, perché i buoni sentimenti e l'educazione sono ormai associati all'idea di lusso), l'altra politica, che sia capace di riaffrontare i problemi reali del sistema economico e sociale.
Lo Ius Soli rischia di essere un tema da "chiacchiere e distintivo" per l'imminente campagna elettorale, sulla pelle di esseri umani. Magari riflettere anche sul diritto di voto di chi paga le passe in questo Paese potrebbe innervosire, ma sarebbe funzionale a una corretta discussione.
L’ora sembra dunque scaduta per lo ius soli in questa XVII legislatura, a meno di un colpo di scena che prorogando a metà gennaio lo scioglimento delle Camere consenta un’approvazione lampo – del tutto improbabile visto il costo politico che comporterebbe elettoralmente per il centrosinistra e vista anche la volontà di Mattarella di andare alle elezioni con Gentiloni non sfiduciato.
Questa legislatura è stata in realtà ricca di buoni esiti nel campo dei diritti civili: divorzio breve, introduzione del reato di tortura, “dopo di noi”, unioni civili, testamento biologico. Il fatto che lo ius soli sia rimasto vittima illustre di un fuoco di fila, mentre sugli altri temi non vi sia stata una opposizione sostanziale se non da parte di frange integraliste, è indice dell’importanza che le pulsioni egoiste hanno nella società italiana: da un lato si vogliono estendere i confini della libertà per chi ne gode, dall’altro si vuole recintare la platea di questi soggetti. Non sono mancati ovviamente i falsi di propaganda come ad esempio la “cittadinanza automatica” evocata immediatamente da Giorgia Meloni a mezzo Facebook.
Un altro dato su cui riflettere è il crescente declino della presa ideologica della Chiesa cattolica: la quale, pur essendo lontani i tempi delle crociate del cardinale Ruini, ha promosso con forza l’approvazione dello ius soli mentre non ha certo appoggiato le unioni civili o il biotestamento. Non sono certo casuali le parole rese dal papa nell’omelia della notte di Natale, in cui ha indicato Gesù come «Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza»: un riferimento non soltanto alla situazione italiana ma anche alla politica xenofoba dei Paesi cattolici dell’Est Europa, ai quali ha rinfacciato anche lo «spalancate le porte a Cristo!» con cui nella Messa di insediamento al soglio Giovanni Paolo II chiamava all’attacco al blocco comunista.
Infine merita attenzione l’opinione popolare sul tema. In primo luogo è da evidenziare che, ferme restando le convinzioni personali in materia di cittadinanza, sbalordisce il toccare con mano come molte persone siano realmente convinte della propaganda fascista secondo cui con lo ius soli si dà la cittadinanza a chiunque metta piede sul territorio italiano. Chi ha una conoscenza minima, che solitamente ci veniva insegnata a geografia in prima media, sa che anche la forma più radicale di ius soli riguarda semmai i nuovi nati e non gli immigranti. In secondo luogo, lo ius soli è impopolare anche presso gli elettori di sinistra: è sufficiente frequentare i luoghi di ritrovo e gli esercizi di una qualsiasi periferia “rossa” per averne la prova. L’avvertimento di Alfano (considerare i costi politici dell’approvare o non approvare la riforma) è, più che ignavia, una lezione di realismo pur se cinico.
Il crollo della socialdemocrazia in quasi tutti i Paesi occidentali ha portato all'emergere di una serie di partiti di centrosinistra quasi tutti caratterizzati da una politica economica e sociale del tutto in sintonia con le logiche neoliberiste: si vuole gestire e rafforzare l'economia di mercato piuttosto che contrastarne le distorsioni. L'unica differenza con la destra è spesso costituita da una maggiore attenzione ai diritti civili, secondo la strada indicata e intrapresa da Blair.
Il PD si è dimostrato per lo più in sintonia con questo modello e in effetti Renzi e Gentiloni verranno ricordati per l'approvazione di riforme inequivocabilmente neoliberiste come il Jobs Act e La Buona Scuola e per alcune conquiste di civiltà importanti come le unioni civili e il reato di tortura. In questo contesto il fallimento nell'approvazione dello Ius Soli resta una macchia indelebile di questa legislatura che ha messo tutta la sua forza riformista e ha puntato tutto ciò che resta della sua identità di sinistra su questi aspetti politico-sociali. La defezione anche di parlamentari del Pd e le discussioni surreali nella "società civile" (ormai ridotta a talk show patinati e teatrali e a sfoghi social), dimostra, al di là di tutto, che, anche in quella che dovrebbe essere la sinistra, c'è una diffusa attrazione nei confronti della retorica sempre più aggressiva dei vari Salvini e Meloni. La disorganizzazione patologica della sinistra di classe rafforza l'amara convinzione che di Ius Soli non ne sentiremo parlare più per molti anni e che ci attendono tempi molto bui.
Immagine liberamente tratta da www.fanpage.it
L’urne de' forti si sono incrinate
Il pomeriggio della domenica delle primarie del Pd mi sono trovato per caso a passare da un circolo Arci in cui era stato allestito un seggio, nell’occasione ho ritrovato alcuni vecchi compagni del PCI, tutti ultrasettantenni, con i quali mi sono intrattenuto. Com’era ovvio l’argomento della conversazione sono state le primarie, che intanto si stavano svolgendo in una sala attigua al bar dove eravamo.
"La situazione è difficile ma siamo tutti impegnati perchè il partito ne esca bene"
Questa affermazione è targata Massimo D'Alema, e data 12 aprile 2013, in un contesto cioè estremamente problematico per gli italiani, in ogni campo (sociale, economico, politico, ecc.).
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