Sabato, 20 Gennaio 2018 00:00

I fatti insegnano

Nella serata di venerdì 12 gennaio scorso l’assemblea lombarda degli aderenti a Libere/i e Uguali ha votato quasi all’unanimità (notabene) in quel di Cinisello Balsamo una partecipazione alle elezioni regionali separata dal PD. Molto opportunamente nei giorni precedenti erano venute meno le pressioni dal lato nazionale orientate invece all’accordo, ovviamente sulla base di una convergenza dei programmi. Tra i motivi dell’unanimità c’è stato anche, palesemente, il fastidio di compagne e compagni per il modo di queste pressioni, avendo esse sistematicamente evitato un confronto aperto a Milano o altrove in Lombardia tra figure nazionali e l’assemblea degli iscritti lombardi, o i loro delegati, benché continuamente da essi sollecitato. Non è vero quel che scrive il quotidiano del PD renziano e liberal-liberista la Repubblica, che dal lato nazionale non siano state assunte rivolte critiche e sollecitazioni ai lombardi, dato il loro evidente rifiuto dell’alleanza con Gori: tutt’altro. Accenno a tutto questo non per motivi polemici, oggi non solo inutili ma suscettibili di immettere code sgradevoli nel terreno più che necessario del riconsolidamento di reciproci rapporti di fiducia: ma perché è necessaria una discussione su cosa debba validamente comportare il ruolo dirigente. Nessuno, che io sappia, in Lombardia intende contestare quello attuale: anzi richiede che esso sia effettivamente dirigente, nei modi di esercizio di tale ruolo, inoltre perché allargato a quadri locali, a giovani, a donne, a figure di lavoratori dipendenti, ecc. È chiaro che tra i difetti che abbiamo vissuto c’è che il gruppo dirigente è tuttora, sostanzialmente, maschile e costituito da parlamentari.

Pubblicato in Società
Martedì, 31 Ottobre 2017 00:00

Di referendum e Lega (forse non più Nord)

Guerra Civile e violenza nella storia contemporanea italiana

Lo scorso 22 Ottobre in Veneto e Lombardia si è tenuto un referendum consultivo sull'autonomia regionale promosso dagli esponenti della Lega Zaia e Maroni. Se il primo ha ottenuto un risultato ragguardevole portando alle urne quasi il 60% degli aventi diritto, il secondo è riuscito a convincere meno del 40% dei lombardi. Il carattere disomogeneo dell' esito referendario si riflette anche sulle rivendicazioni di fondo che sono state sollevate già a poche ore di distanza dalla votazione.

Pubblicato in A Dieci Mani

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