Da oltre un mese il fenomeno Blue whale, l’ormai celeberrimo gioco partorito dalla mente di Philipp Budeikin, che sembra abbia spinto molti adolescenti al suicidio, ha posto una nuova problematica sui potenziali rischi in cui ci si può imbattere nel web. La pericolosità del gioco e le sue conseguenze hanno scavalcato persino la delicata questione del cyber bullismo, sebbene anche quest’ultima resti una delle tematiche di discussione che più ha animato il dibattito pubblico relativo ai social network. Blue Whale ha portato alla luce il tema del suicidio – in particolare giovanile – ancora oggi considerato uno degli argomenti tabù della nostra società, tema che non va semplificato né minimizzato ma semmai affrontato nella sua complessità scandagliandone le cause di malessere più profonde.
Suicide: ristampato il primo disco dei geni della new wave
Non poteva nascere sotto circostanze più luttuose la ristampa dell'omonimo primo disco dei Suicide. Il capolavoro del duo vede infatti nuova luce pochi giorni prima di quel sedici luglio scorso, quando Alan Vega, all'età di 78 anni, viene trovato morto nel sonno. Dei suicide ora resta solo l'altra metà, il sempre attivo e prolifico Martin Rev. I suicide appartengono definitivamente al passato, ma la loro influenza perdura tutt'ora.
Il duo è stato uno dei progetti allo stesso tempo più sperimentali e più stimolanti della fine degli anni settanta. In un epoca di forti turbolenze e agitazioni musicali, con la travolgente comparsa del punk e i primi vagiti di quella rivoluzione epocale che fu la new wave, i Suicide hanno saputo cogliere lo spirito nichilista, nervoso, iconoclasta dell'epoca per contribuire in maniera determinante a definire le coordinate della musica del futuro, dando un impulso decisivo a generi come l'industrial, la techno e la new wave stessa.
Nell'anno della piena consacrazione della prima ondata del punk, con la pubblicazione di Nevermind the Bollocks dei Sex Pistols, dell'omonimo disco dei Clash e del devastante Rocket to Russia dei Ramones, tutti targati 1977, si muoveva in parallelo un movimento di musicisti più oscuri e sotterranei ma non meno ambiziosi e visionari. Epicentro di questa scuola di artisti che vedeva il punk come evento di rottura epocale ma già guardava oltre, era New York, dove vi gravitavano artisti estremamente raffinati ed incredibilmente avanti coi tempi. Oltre alla poetessa Patti Smith e all'irresistibile combo dei Blondie, si muovevano nella giungla urbana della Grande Mela, gravitando spesso attorno al locale CBGB, gruppi destinati a cambiare completamente il modo di fare e intendere la musica.
Fra questi, i Talking Heads, fin dal loro esordio discografico del 1977, presero il nichilismo punk e lo impregnarono di un concentrato di ritmi funky sbilenchi e ossessivi, di sonorità elettroniche plastiche e tese, per un rock psicotico e allucinato. Decisivo fu anche il contributo dei Television che su Marquee Moon, trasfigurarono il punk in un baccanale di ricchissime soluzioni chitarristiche anni sessanta, in un capolavoro di suoni nevrotici e viscerali. Non ultimi, proprio i Suicide, rappresentavano all'interno di questo calderone di creatività dirompente, la componente più estrema e la proposta più radicale dell'intera scena.
Il loro album d'esordio, sempre del 1977, era l'omonimo Suicide per l'etichetta indipendente Red Star, album che all'epoca riscosse una tiepida risposta di pubblico e critica ma che col passare degli anni ottenne tutto quel riconoscimento che merita. Si tratta di un disco fondato su una proposta musicale minimalista: tastiere (Rev) più voce (Vega) per un rock destrutturato e nichilista che li fece accostare alla componente più radicale, iconoclasta e autodistruttiva della new wave, ovvero quella No-Wave magistralmente immortalata nella compilation "No New York" prodotta da Brian Eno nel 1978.
Ma i Suicide non erano dei demolitori musicali fini a se stessi: nelle loro composizioni trapela piuttosto il tentativo di rappresentare tutto il disagio e i turbamenti di una generazione in subbuglio, schiacciata fra gli ultimi sogni idealisti di trasformazione sociale e l'alienazione individualista metropolitana, che stava risucchiando la contestazione in un oceano di edonismo e rassegnazione.
Suicide contiene sonorità mai sentite fino a quel momento. Tutte le tracce sono assalti frontali alla normalità e alla convenzione. Innocue ballate anni cinquanta, banali ritmi disco, vengono lacerati e rovesciati in un incubo perpetuo. I personaggi che popolano i testi di Vega e Rev sono fantasmi persi in qualche anfratto di un ospedale psichiatrico in abbandono. Tutto diventa un atroce e spasmodico lamento che non trova risposta. Come afferma il critico Piero Scaruffi, che considera Suicide uno dei dischi più importanti della storia del rock, "i loro brani sono deliri di suicidi volontari nei labirinti metropolitani, sono esercizi di auto-flagellazione che raggiungono un pathos paranoico attraverso una monolitica catalessi esistenziale".
Ossessivi e pungenti, minimali e martellanti, i synth di Rev si pongono al servizio del cantato spasmodico e affannoso di un Vega invasato. Le urla demoniache e i frenetici mantra vocali rendono il dittico iniziale "Ghost Rider"/"Rocket USA" un vero e proprio esercizio di perversione e angoscia. L'inquietudine domina anche gli episodi più rilassati e melodici, come la dolce "Cheree", una versione ansiogena e depravata di Sunday Morning dei Velvet Underground o la conclusiva "Che", un concentrato di pulsioni funeree. L'incubo continua con "Johnny", un rockabilly per menti schizzate su un giro di tastiere ipnotico e inquietante e con il desolante mantra psichedelico di "Girl", figlio di una tensione nervosa perpetua ed estenuante. L'angoscia raggiunge però il suo climax con la lacerante "Frankie Teardrop", storia di un operaio depauperato dai processi di deindustrializzazione che per disperazione finisce per sterminare la propria famiglia prima di rivolgere la medesima violenza contro se stesso. Gli oltre dieci minuti di questo raccapricciante canto di morte, che rende universale la deprivazione morale e materiale di un proletariato urbano inghiottito in un vortice di alienazione e smarrimento ("We're all Frankies/ We're all lying in hell", recita l'ultimo verso), rappresenta uno degli episodi più agghiaccianti di tutta la storia della musica rock.
Il contributo dei Suicide alla musica alternativa è difficilmente quantificabile. Le loro ossessioni e perversioni musicali hanno creato un fantasma destinato a riapparire in molte delle produzioni new wave successive e non solo (Joy Division, Killing Joke, Einstürzende Neubauten,ecc..). Il loro album d'esordio ha costruito delle atmosfere ansiogene e nervose destinate a fare scuola e ha rappresentato una delle più fedeli rappresentazioni del disagio e delle angosce di quel periodo storico.
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