“Ella giammai m'amo”, un verso semplice e potente, talmente potente che potrebbe essere recitato anche senza musica. E' nell'orrore di questa constatazione, nell'eternità di questa constatazione che ha accompagnato l'homo sapiens da quando intagliava cortecce e che sempre lo accompagnerà, che si esprime il Don Carlo. Poco importa ai fini del libretto che a pronunciarla sia un re. Egli in quel momento, nel fulmine di quella sentenza, è un uomo: solo e di fronte al proprio dramma.
Ma non c'è solo l'amore nel Don Carlo che dopo 16 anni torna ad essere rappresentato al Carlo Felice: c'è la ragion di Stato, c'è un intrigo di potere capace di colpire con furia la famiglia reale e su tutto c'è il genio di Verdi che ha reso musica i sentimenti.
La prima di ieri sera (repliche fino al 2 maggio) aperta con un ricordo del Sovrintendente Maurizio Roi della soprano Daniela Dessì, ha reso perfettamente la travagliata vicenda dell'erede al trono di Spagna che ispirò Friedrich Schiller (e da cui è preso il soggetto verdiano) per il suo “Don Karlos, Infant von Spanien”.
I fatti storici sono molto diversi dalla versione romanzata da Schiller (ma anche dell'Alfieri) - resa nella prima versione francese dai librettisti Mery e Du Locle (in cinque atti) e poi rimaneggiata in italiano da Achille de Lauzières e da Angelo Zanardini che la portarono a quattro atti nella versione del 1884 andata in scena ieri - ma poco importa ai fini del dramma umano dei protagonisti e del dramma politico vissuto dai fiamminghi in lotta per libertà.
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