Il sarcofago nero di Alessandria e la maledizione del cattivo giornalismo
Quando si lavora in una disciplina come l'archeologia ci si abitua in fretta al fatto che soltanto le scoperte eccezionali o eclatanti raggiungeranno le prime pagine dei giornali, o, di questi tempi, la circolazione di massa su internet. Per questo motivo, è stata in un certo senso una sorpresa, sulle prime, che una scoperta singolare, ma certamente non rivoluzionaria, avvenuta di recente ad Alessandria in Egitto stesse facendo un certo scalpore tra il grande pubblico.
35 chilometri di nuovo canale, allargamento ed approfondimento di altri 37 chilometri, meno di 12 mesi per la sua realizzazione, oltre 43.000 lavoratori impiegati, 250 milioni di metri cubi di terre da scavo, 258 milioni di metri cubi di materiale dragato, più di 8 miliardi di dollari di costo di realizzazione, raccolti interamente - ed in pochissimo tempo - tra la popolazione egiziana, mediante speciali, ed estremamente convenienti, buoni del tesoro.
Questo caldo agosto vede gli occhi di tutti gli italiani puntati verso un luogo dove il clima è ancora più rovente. Noi, da tempo pubblicamente disabituati a trattare di politica estera, ci stiamo appassionando alle sorti dei vicini egiziani, ad un tiro di schioppo oltre il mare Mediterraneo. Premettendo che la situazione in Egitto è molto più complicata, per tutta una serie di motivi storici e sociali, di quello che si possa credere, proviamo a dare un po' di ordine alla questione.
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