Il 2017 della Scienza
Onde gravitazionali, intelligenza artificiale, terapie geniche e la nuova corsa allo spazio; questa è stata la scienza in questo anno ormai arrivato al capolinea
Visto che anche il 2017 sta approcciando la sua conclusione, anche questa rubrica scientifica non può evitare di fare il più classico dei resoconti sugli avvenimenti dell’anno! Anche se sicuramente (e giustamente) quest’anno verrà ricordato principalmente per l’osservazione delle onde gravitazionali generate dalla fusione di due stelle a neutroni, ciò non vuol dire che non sia successo nient’altro di interessante! In questo veloce riassunto di Nature si possono vedere i tanti articoli pubblicati nel 2017 divisi per trimestri e si può leggere una carrellata sulle principali tematiche di studio di quest’anno, ormai prossimo alla conclusione. Principalmente il 2017 verrà ricordato come un anno della fisica e dell’astronomia, come un anno di grande impatto dei cambiamenti climatici e come l’anno in cui la genomica e l’intelligenza artificiale hanno fatto enormi passi avanti. Oltre che come l’anno in cui la scienza ha dovuto combattere contro l’ignoranza e le false credenze.
Einstein sarebbe raggiante
«Signore e signori, abbiamo rilevato delle onde gravitazionali; ce l’abbiamo fatta!»
Con queste parole David Reitze, fisico e direttore del progetto LIGO presso il California Institute of Technology (Caltech), in conferenza stampa dalla statunitense National Science Foundation giovedì ha annunciato al mondo quella che la comunità scientifica internazionale considera, senza mezzi termini, la scoperta del secolo.
Un’idea centenaria
Ipotizzate per la prima volta nel 1916 da Einstein, come corollario alla sua teoria della relatività generale pubblicata l’anno precedente, le onde gravitazionali sono increspature nel tessuto dell’universo: una massa accelerata interagisce con il campo gravitazionale deformando lo spazio-tempo al punto da emettere una radiazione, l’onda gravitazionale, che si propaga nell’universo alla velocità della luce. Si può immaginare il fenomeno come le onde concentriche che infrangono la superficie dell’acqua quando ci tiriamo un sasso.
Malgrado l’eleganza della teoria, però, rilevare fisicamente queste onde è stato un problema per tutto il secolo successivo: si tratta di fenomeni relativamente molto deboli (troppo, ad esempio, per riprodurne in laboratorio di significativi); d’altra parte, quando un evento particolarmente violento che coinvolge masse imponenti, come la collisione tra due stelle, producesse delle onde di intensità interessante, al loro passaggio la deformazione investirebbe anche gli ipotetici strumenti di misura. Negli scorsi decenni non sono tuttavia mancate osservazioni che ne suggerissero indirettamente l’esistenza, ad esempio nello studio degli effetti del movimento di sistemi stellari binari – coppie di stelle che orbitano attorno ad un centro di massa comune.
Raggi laser e specchi
La prima intuizione di un sistema ottico per rilevare onde gravitazionali fu proposta nel 1962 dai fisici sovietici Gertsenshtein e Pustovoit, la cui pubblicazione non ebbe però alcuna risonanza. Dieci anni dopo, lo scienziato del MIT Rainer Weiss propose indipendentemente un metodo ottico, basato sull’interferometro di Michelson noto fin dalla fine dell’800, per il rilevamento delle onde; pochi anni dopo la National Science Foundation incaricò il Caltech di realizzare l’idea progettando LIGO (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory), un sistema di interferometri laser in diversi impianti (uno a Livingston, Louisiana, e il suo gemello a Hanford, Washington) entrato in funzione nel 2004. Contemporaneamente altri impianti simili sono stati realizzati nel resto del mondo, tra cui il progetto italo-francese Virgo nei pressi di Cascina (PI).
L’impianto è costituito da due bracci, lunghi 4 chilometri ciascuno nel caso di LIGO, disposti ad angolo retto, con specchi sospesi ad ogni estremità; un raggio laser sdoppiato tra i bracci percorre la lunghezza, rimbalza sugli specchi e torna a incrociarsi nel punto d’incontro tra i bracci, generando un’interferenza registrata da un interferometro laser. Al passaggio di un’onda gravitazionale, i due bracci vengono deformati alternativamente – uno compresso, l’altro dilatato – variando il tempo di percorrenza del raggio laser, così che i raggi nei due bracci risultano fuori fase e si registra un diverso pattern d’interferenza. La differenza di lunghezza tra i due bracci, proporzionale alla forza dell’onda gravitazionale, è dell’ordine di un decimillesimo del raggio di un protone nel caso delle onde attese al LIGO. È evidente come la precisione necessaria alla rilevazione possa essere minata da una varietà di fattori, dall’ambiente circostante allo stato degli strumenti.
La fusione di due buchi neri
Così, al segnale registrato il 14 settembre 2015 alle 9:50:45 UTC da entrambi gli interferometri LIGO sono seguiti mesi di verifiche di tutti i dati, per escludere che l’interferenza fosse stata generata da un disturbo delle strumentazioni. Intanto iniziavano a circolare le prime voci del rilevamento di un’onda gravitazionale, alimentando l’attesa di un annuncio ufficiale. Infine l’annuncio è arrivato [leggi qui]: solo un’onda gravitazionale poteva aver generato pattern d’interferenza congruenti in entrambi gli interferometri, inoltre perfettamente aderenti al modello calcolato, secondo le equazioni di Einstein, per l’onda gravitazionale generata dal collassare di due buchi neri. In altre parole, la prima diretta rilevazione di un’onda gravitazionale ha coinciso con la prima diretta osservazione della collisione di due buchi neri.
Un’onda gravitazionale fornisce infatti molte informazioni sull’evento che l’ha generata: dall’onda gravitazionale GW150914 rilevata lo scorso settembre, è stato possibile ricavare la massa dei due buchi neri che collassando l’hanno generata, così come la distanza di questo evento da noi e la direzione da cui proviene. GW150914 ci ha quindi “raccontato” che ad oltre un miliardo di anni luce da noi due buchi neri, con masse 29 e 36 volte quella del Sole, hanno orbitato attorno ad uno stesso centro di massa fino a fondersi in un unico buco nero dalla massa 62 volte quella del Sole. La differenza di massa rispetto ai due buchi neri originari, pari a tre volte la massa del Sole, si è convertita in una radiazione gravitazionale abbastanza forte da permetterci di rilevarla [Leggi qui].
«Per la prima volta l’universo ci parla attraverso onde gravitazionali – eravamo sordi alle onde gravitazionali, ora possiamo sentirle» ha commentato Reitze, tradendo un po’ di commozione. E possiamo letteralmente sentirle: la frequenza del segnale, tradotta in onde sonore, è nello spettro dell’udibile ad orecchio umano. [Ascolta qui]
Il futuro
Alla scoperta, che prova ulteriormente la correttezza della teoria della relatività generale di Einstein a cento anni dalla sua formulazione, hanno contribuito scienziati da tutto il mondo, sia partecipando direttamente alle rilevazioni di LIGO, sia da altre strutture con cui LIGO da anni si scambia dati e analisi. Tra queste anche Virgo, il cui impianto nel corso di quest’anno sarà ristrutturato fino a portarlo all’attuale sensibilità di LIGO; lo stesso LIGO sarà perfezionato per raggiungere la sensibilità a onde tre volte più deboli di GW150914, mentre un ulteriore impianto in Giappone, KAGRA, sarà completato nei prossimi anni. La rete di osservatori a interferometri laser per rilevare onde gravitazionali è uno dei principali investimenti scientifici a livello globale per i prossimi decenni.
Fino a ieri i buchi neri erano solo un modello, benché molto accreditato, visualizzabile solo in simulazioni digitali basate sulle equazioni di Einstein (incluse le straordinarie immagini del film Interstellar); oggi le informazioni portateci da GW150914 ne provano definitivamente l’esistenza. Dopo il telescopio ottico, il radiotelescopio, il telescopio a raggi X, le onde gravitazionali offrono un ulteriore modo di “fotografare” l’universo ed i suoi eventi, aprendo nuove vie all’osservazione e alla ricerca astronomica: dalla rivelazione di oggetti astrofisici finora invisibili, fino ad ulteriori verifiche della teoria della relatività generale attraverso lo studio della gravità.
«Einstein sarebbe raggiante, non credete?» scherza France Córdova, presidente della National Science Foundation, alla fine della conferenza stampa.
L’articolo relativo alla scoperta è pubblicato qui.
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