Il moltiplicarsi di serie tv sulla mafia - malgrado l’impiego di una raffigurazione eccessivamente caricaturale - ha permesso di conoscere meglio l’enigmatico bagaglio di gesti e parole che caratterizzano il modo di comunicare degli affiliati a Cosa Nostra, ma, più in generale, dei siciliani tutti. La premessa su parole, gesti o più semplicemente sguardi capaci di trasmettere messaggi ben precisi, è resa necessaria per comprendere per quale ragione per più di 50 anni la provincia di Enna, ombelico della Sicilia, è stata definita la “provincia babba”, espressione la cui traduzione più immediata ci riporta a babbeo o sciocco. Perché babba? “Storicamente l’attività della criminalità organizzata nella provincia di Enna è stata influenzata dalle organizzazioni mafiose dei centri limitrofi, che per via della centralità del territorio ennese, hanno sempre preferito sfruttarla non per le azioni criminali, quanto per la necessità di “un’area cuscinetto”, una zona franca da sfruttare per questioni logistiche.” Ad offrirci questo excursus storico è Giovanni Cuciti, vicequestore aggiunto di Enna, che ha curato l’introduzione di “mafia balorda” (Lancillotto e Ginevra, p. 219, euro 15), il nuovo libro di Josè Trovato, giornalista già salito agli onori della cronaca per il primo libro sulla criminalità organizzata nella provincia di Enna (La mafia in provincia di Enna. Una storia negata, Lancillotto e Ginevra, p. 219, euro 16) e per le continue inchieste sul fenomeno criminale che gli sono costate molteplici minacce da parte di malavitosi locali.

Pubblicato in Umanistica e sociale

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