Il giornalista ennese ricostruisce l’architettura dell’atipico potere mafioso nella provincia di Enna, tracciando i ritratti dei boss capaci di collocarsi al vertice dell’inconsueta piramide mafiosa del Belvedere di Sicilia. Attraverso uno studio dettagliato delle carte processuali, l’autore traccia gli equilibri geo-criminali all’interno delle varie realtà della provincia ennese: ora influenzate dalle cosche della Sicilia occidentale, ora da quelle della Sicilia orientale. Partendo dai numeri degli arresti per mafia (circa 159) e dalle operazioni delle forze dell’ordine (15 negli ultimi anni), accostate al numero di abitanti della provincia (poco meno di 180 mila), Trovato pone l’accento sulle contraddizioni di chi nega l’esistenza della mafia nella provincia di Enna e città per città, tra cani sciolti, vecchi gregari, balordi e boss di vario tipo, compone una mappa empirica della mafia della provincia della Urbs Inexpugnabilis (per i romani, non certo per i mafiosi)
Esplorando le sentenze che parlano di una struttura criminale articolata in cinque famiglie (Enna, Barrafranca, Pietraperzia, Villarosa, Calascibetta) e i fatti di cronaca che raccontano l’incrementarsi del fenomeno delle estorsioni e dello spaccio di stupefacenti, Trovato smentisce il pensiero buonista – e ahimè dominante – dell’assenza della mafia nella provincia di Enna.
Per tale ragione l’opera di Trovato rappresenta un contributo prezioso per lo studio della fenomenologia criminale nell’entroterra siciliano poiché mediante l’analisi minuziosa dell’evoluzione dei processi e dei fatti di cronaca legati all’attività criminale, l’autore confuta il falso storico che parla di una provincia diversa dalle altre, libera dalla mafia: babba insomma. E se babba dunque non è, anche a questo pezzo di Sicilia occorre l’esempio della gente perbene, ed è per questo che Josè Trovato dedica il libro alle forze dell’ordine, ai magistrati e agli imprenditori coraggiosi, perché “chi paga il pizzo – conclude l'autore – adora un Dio minore che lo guiderà all’inferno.”
Per la foto ringraziamo Francesca Abbate