Scrive André Gorz, filosofo e giornalista francese, nel suo “L’ecologia politica, un’etica della liberazione”:
“Se si parte […] dall’imperativo ecologico, si può arrivare tanto ad un anticapitalismo radicale quanto […] a un comunitarismo naturalista. L’ecologia non ha tutta la sua carica critica ed etica se le devastazioni della terra, la distruzione di un modo di vita non sono comprese come le conseguenze di un modo di produzione; se non si comprende che questo modo di produzione esige la massimizzazione dei rendimenti e ricorre a delle tecniche che violano gli equilibri biologici. Ritengo dunque che la critica delle tecniche nelle quali si incarna il dominio sugli uomini e sulla natura sia una delle dimensioni essenziali di un’etica della liberazione” [1].
Il mondo in cui oggi viviamo è sempre più “inquinato” (in tutti i sensi!) da un capitalismo sfrenato che risucchia entro la sua sfera inglobante qualsiasi dimensione umana. La tecnica, il consumismo, il denaro elevato a potenza quasi mitica che fa girare il mondo, l’individuo ridotto a pedina o spettatore assente di fronte a una società che sempre più può essere caratterizzata come “società dello spettacolo”, riprendendo l’omonimo titolo di Debord.
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