Sette note in rosso
Fra tutte le arti, la musica, è quella che occupa un maggior spazio nostra vita. C’è sempre una canzone, un brano strumentale, una voce stonata che canticchia per gioia o rabbia, sotto la doccia o per strada. Un mondo senza suoni, canzoni, musica, è pressoché impossibile solo immaginarlo, figuriamoci sopportarlo! Per questo penso sia fondamentale porsi il seguente quesito: la musica può spiegare la Storia? Può, attraverso il suo linguaggio, far chiarezza su parti poco conosciute, taciute, rendere onore ai dimenticati? E se questo fosse possibile, in che modo potremmo pensare che abbia la stessa validità di una lunga ricerca da parte degli storici di professione?
VOGLIOOO IL PAPATOOO!
Questa rubrica di archeologia cinematografica ha lo scopo di riportare alla luce, come in un vero e proprio scavo, o quantomeno all’attenzione dei lettori, opere cinematografiche, anche di serie non eccelsa, che a suo tempo hanno descritto in maniera efficace storie, costumi e abitudini, … e talvolta, sia pure non consapevolmente, hanno contribuito a formare un minimo di coscienza civile nel pubblico.
In questo caso si potrebbe parlare di modernariato più che di archeocinema, l’opera è del 1973, e per essere opera è opera davvero trattandosi di LA TOSCA di Luigi Magni.
Il regista romano si ispira direttamente a Victorien Sardou ancor più che a Giacomo Puccini, dando maggiore spazio all’ambientazione politica e sociale dell’epoca, la vicenda si svolge il 14 giugno 1800 la giornata di Marengo, rispetto al tormentato rapporto sentimentale fra la cantante Floria Tosca e il pittore Mario Cavaradossi centrale nel melodramma di Puccini che in ogni caso era una riduzione del dramma teatrale di Sardou.
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