Tre i femminismi dei nostri giorni
La fase acuta di crisi del sistema neoliberista e il disintegrarsi dell'utopia di una società globale caratterizzata da benessere materiale e dall'accrescersi di spazi di democrazia e libertà, stanno profondamente mutando anche gli atteggiamenti intellettuali e le analisi politiche condotte all'interno dei movimenti femministi. Si percepisce un sempre maggiore disagio rispetto a una variante del femminismo, egemone dagli anni settanta, che ha messo al centro delle rivendicazioni l'aspetto individuale e l'elemento della differenza. La centralità dell'identità e del corpo, l'enfasi sul privato e sui molteplici significati che può avere il concetto di autodeterminazione hanno permesso trasformazioni sostanziali nella vita delle donne, agendo in profondità sulle dinamiche di potere e sulla percezione culturale diffusa, contribuendo a smorzare la soffocante presa del patriarcato che le voleva relegate entro le mura domestiche.
Lo smantellamento del welfare e dei diritti lavorativi, nonché la crescita globale delle disuguaglianze economiche hanno però obbligato molte influenti femministe contemporanee, come Nancy Frazer, Jessa Crispin o Andrea Iris D'Atri a interrogarsi sulla necessità di ricomporre quella frattura che si era venuta a creare fra diritti delle donne e diritti sociali. In sintonia con le analisi di Boltanski e Chapiello sul nuovo spirito del capitalismo, si comincia a denunciare un femminismo geneticamente modificato che persa la sua vocazione solidaristica e redistributiva, tende a sposarsi con una cultura liberista che esalta l’individuo e l'autonomia personale. A questo femminismo mainstream e glamour che promuove il carrierismo, la competizione, il self-empowerment e la meritocrazia e che è diventato parte integrante dei dispositivi di potere neoliberali occorre opporre, a detta di alcune femministe critiche, un approccio maggiormente solidaristico rimettendo al centro l'aspetto radicale e sistematico della critica al capitalismo.
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