Nella serata di venerdì 12 gennaio scorso l’assemblea lombarda degli aderenti a Libere/i e Uguali ha votato quasi all’unanimità (notabene) in quel di Cinisello Balsamo una partecipazione alle elezioni regionali separata dal PD. Molto opportunamente nei giorni precedenti erano venute meno le pressioni dal lato nazionale orientate invece all’accordo, ovviamente sulla base di una convergenza dei programmi. Tra i motivi dell’unanimità c’è stato anche, palesemente, il fastidio di compagne e compagni per il modo di queste pressioni, avendo esse sistematicamente evitato un confronto aperto a Milano o altrove in Lombardia tra figure nazionali e l’assemblea degli iscritti lombardi, o i loro delegati, benché continuamente da essi sollecitato. Non è vero quel che scrive il quotidiano del PD renziano e liberal-liberista la Repubblica, che dal lato nazionale non siano state assunte rivolte critiche e sollecitazioni ai lombardi, dato il loro evidente rifiuto dell’alleanza con Gori: tutt’altro. Accenno a tutto questo non per motivi polemici, oggi non solo inutili ma suscettibili di immettere code sgradevoli nel terreno più che necessario del riconsolidamento di reciproci rapporti di fiducia: ma perché è necessaria una discussione su cosa debba validamente comportare il ruolo dirigente. Nessuno, che io sappia, in Lombardia intende contestare quello attuale: anzi richiede che esso sia effettivamente dirigente, nei modi di esercizio di tale ruolo, inoltre perché allargato a quadri locali, a giovani, a donne, a figure di lavoratori dipendenti, ecc. È chiaro che tra i difetti che abbiamo vissuto c’è che il gruppo dirigente è tuttora, sostanzialmente, maschile e costituito da parlamentari.
È in avvio, basta dare una scorsa ai massimi quotidiani o ascoltare la RAI, una campagna orientata in più sensi: a fare di Pisapia il martire unitario di una sinistra settaria e tutta orientata a fare fuori il povero Renzi; a fare quindi della rottura operata da Pisapia nei confronti di questa sinistra un atto di legittima difesa; a espungere le posizioni politiche e gli obiettivi politici che hanno portato Pisapia alla rottura; a espungere il fatto che Pisapia ha tentato per tre mesi l’appropriazione di Articolo 1, il pensionamento politico delle sue figure fondamentali, la costruzione di un organismo centrale alle sue strette dipendenze, l’esclusione (altro che “insieme”) dal riaccorpamento a sinistra di referendari, Sinistra Italiana, Possibile. Passerà.
Ci siamo permessi di riprendere questa riflessione, pubblicata su www.articolo1mdpfi.it, con l'idea di provare a riprendere questo ragionamento sul nostro sito nelle prossime settimane.
L’attuale fase del capitalismo ci consegna il sogno infranto della crescita inclusiva, che ha costituito la base materiale dello sviluppo postbellico e delle socialdemocrazie occidentali e ci pone davanti ad uno scenario incerto dove i capricci e le priorità dei mercati finanziari prevalgono sul bisogno di rilanciare l’economia reale, e con essa, la promessa realizzabile di un benessere più diffuso e inclusivo, al punto tale da colpire nella sostanza la tenuta democratica del nostro paese.
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