Al di là del risultato sorprendente ottenuto dal redivivo Berlusconi, e della “vittoria di Pirro” della coalizione di centro-sinistra guidata da Bersani, il dato che salta maggiormente all’occhio in questa confusionaria tornata elettorale è il successo senza precedenti del Movimento 5 Stelle. Fino a qualche giorno fa, ben pochi avrebbero scommesso su Beppe Grillo leader del primo partito italiano, e senza dubbio è da registrare un grave errore di valutazione da parte dei suoi avversari in fase di campagna elettorale.
Fortunatamente anche questa tornata elettorale è passata. Certo, il risultato non è roseo per chi aveva creduto nella necessità di una rappresentanza parlamentare con un programma e delle aspirazioni compiutamente di sinistra. Ma troppe erano le criticità insite in Rivoluzione Civile e gli italiani hanno deciso che fosse giusto non sostenerne il progetto. Criticità per le quali non serve nemmeno un'analisi post-voto, talmente erano evidenti fin dall'inizio. Comunque un tentativo generoso da parte dei tanti militanti impegnati fattivamente nella campagna elettorale e persino dei dirigenti ora dimissionari. Come nel calcio, a volte è giusto che paghi soltanto l'allenatore.
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Negli ultimi tempi, una nuova moda sembra essersi imposta sul linguaggio ordinario, giornalistico e della pratica politica. Il termine “populismo” appare ormai con frequenza costante su tutti i canali di comunicazione, e non c’è esponente politico, di qualsiasi schieramento, che non l’abbia utilizzato almeno una volta in senso dispregiativo in riferimento a un avversario. Abbiamo sentito più volte Casini e Vendola tuonare contro la “minaccia populista” rappresentata dal Movimento 5 Stelle di Grillo. Formisano ha motivato la sua decisione di lasciare Italia dei Valori con la “deriva radical populista” impressa al partito da Di Pietro, e Bersani si è opposto all’ipotesi di un ritorno di Berlusconi alla guida del Pdl dichiarando che “di populismo ne abbiamo avuto già un bel po’”.
Gli esempi potrebbero continuare. L’aggettivo “populista“ è comunemente usato come sinonimo di “demagogo”, “qualunquista”, e persino “fascista”, in riferimento a soggetti e fenomeni molto diversi tra di loro, con una facilità che spesso nasconde la totale ignoranza del reale significato del termine.
In effetti, il populismo è sempre stato un concetto estremamente volatile e mutevole, difficile da inquadrare in una categoria specifica. Il primo tentativo, risoltosi in un insuccesso, di formulare una teoria generale, risale alla conferenza sul populismo tenuta alla London School of Economics nel 1967. Da allora, non si è ancora giunti a un accordo neppure sulla classificazione del populismo come ideologia, mentalità, o stile politico. Nell’analisi del fenomeno, tuttavia, è possibile almeno circoscrivere una serie di elementi chiave che ne rappresentano le caratteristiche salienti, e sui quali è possibile registrare un certo grado di accordo tra gli studiosi.
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