Giovedì, 09 Aprile 2015 00:00

Ampliamento del Canale di Suez, tra opportunità e minacce

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L’ampliamento del Canale di Suez tra opportunità economica e minaccia alla biodiversità

Intervista a Bella S. Galil, a cura di Joachim Langeneck

Bella S. Galil è ricercatore capo presso l’Istituto Nazionale di Oceanografia di Haifa, Israele. La sua ricerca riguarda principalmente cambiamenti antropogenici nell’ecologia del benthos in acque costiere e profonde, dinamiche e conservazione della biodiversità marina, invasioni biologiche in ambiente marino e tassonomia e biologia dei crostacei decapodi. È stata presidente del comitato esecutivo della Società Zoologica di Israele dal 1993 al 1997; editore amministrativo dell’Israel Journal of Zoology dal 1992 al 1998; membro fondatore dell’Associazione Israeliana per le Scienze Acquatiche (Israeli Association for Aquatic Sciences, IAAS) e membro del suo primo comitato esecutivo dal 2003 al 2005.

È stata inoltre co-presidente del comitato scientifico Risorse viventi ed ecosistemi marini della CIESM (Commissione Internazionale per l’Esplorazione Scientifica del Mediterraneo) dal 2001 al 2007, e membro del consiglio direttivo, nonché presidente del comitato scientifico della Israeli Nature and Parks Authority dal 2007 al 2012. È autrice di oltre 250 articoli scientifici, co-editrice di tre libri e fa parte del comitato editoriale di tre riviste internazionali.

Abbiamo deciso di intervistarla in quanto promotrice di un importante appello volto a richiamare l’attenzione sulle conseguenze ambientali del progetto di ampliamento del Canale di Suez, che ha ricevuto un forte supporto da parte della comunità scientifica internazionale.

1) Professoressa Galil, lei è una scienziata preminente nell’ambito delle invasioni biologiche. Nel corso degli ultimi decenni questo argomento ha acquisito una notevole importanza nella comunità scientifica, ma è ancora poco considerato da parte della pubblica opinione. Perché le invasioni biologiche dovrebbero interessare anche i non addetti ai lavori?

Numerose specie non native ed invasive sono in mezzo a noi. Patogeni umani come il virus del Nilo occidentale sono implicati in epidemie fin dal 2008 nella Pianura Padana, nelle Marche e in Sardegna. La zanzara tigre asiatica, Aedes albopictus, è un importante vettore di numerosi patogeni virali, incluso il virus responsabile della febbre chikungunya, di cui nell’estate 2007 ha causato un’epidemia nella provincia di Ravenna, nel corso della quale sono state infettate oltre 200 persone.

Il gambero rosso della Louisiana, Procambarus clarkii, una specie prolifera e aggressiva introdotta in Italia per uso commerciale negli anni ’80, ha causato sin da allora gravi danni a risaie, fiumi e laghi, destabilizzandone le sponde attraverso la sua attività di scavo, ed è un importante fattore nella scomparsa di specie di gambero endemiche.

L’ambrosia, Ambrosia artemisiifolia, ampiamente diffusa in tutta l’Italia settentrionale in aree antropizzate come i bordi stradali, è ben nota per il suo polline fortemente allergenico e il suo forte impatto sull’agricoltura.

Mentre molte specie invasive sono innocue, o hanno persino delle ricadute positive, le specie più dannose danneggiano la biodiversità, devastano l’agricoltura e la pesca, diffondono malattie dolorose e talvolta letali, e in ogni caso diminuiscono la qualità della nostra vita.

2) Un’importante sorgente di specie alloctone nel Mar Mediterraneo è il Canale di Suez. Quali impatti ha determinato la costruzione del Canale sugli ecosistemi mediterranei e sulle attività umane?

Noi riconosciamo che il commercio globale e il trasporto navale sono fondamentali per la società, e che il Canale di Suez è una delle più importanti vie d’acqua al mondo, in grado di ridurre le emissioni e far risparmiare tempo e costi operativi alle compagnie di navigazione. Tuttavia è altrettanto consolidato il fatto che il Canale di Suez sia una delle principali vie per l’invasione da parte di organismi marini a livello globale, e il suo impatto negativo sugli ambienti marini del Mediterraneo è stato particolarmente grave. Ad oggi si ritiene che 443 specie di alghe, invertebrati e pesci siano giunte nel Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, e 89 di esse sono state segnalate nelle acque di cinque o più stati.

Alcune di queste specie hanno avuto un significativo impatto sugli ecosistemi marini e sui beni e sui servizi che essi offrono all’essere umano. Ad esempio, la medusa Rhopilema nomadica, segnalata nel Mar Mediterraneo fin dai tardi anni ’70, ogni estate forma enormi banchi lungo la costa levantina e in Tunisia, danneggiando il turismo, la pesca e gli impianti costieri. Il pesce palla argentato, Lagocephalus sceleratus, è entrato nel Mediterraneo orientale attraverso il Canale nel 2003 e recentemente è stato segnalato dal Mar Nero fino alla Spagna (in Italia è stato segnalato a Lampedusa, in Sicilia e in Puglia). Questa specie è responsabile di un grave rischio sanitario in quanto i suoi organi interni contengono una forte neurotossina ad azione paralitica, che determina in chi la ingerisce vomito, arresto respiratorio, attacco cardiaco, coma e talvolta morte. Inoltre questa specie danneggia anche reti e lenze da pesca, determinando perdite economiche per i pescatori.

Infine, due pesci coniglio erbivori, Siganus luridus (segnalato in Italia presso le isole di Linosa e Lampedusa, in Sicilia e fino al Golfo di Trieste) e Siganus rivulatus, lungo le coste rocciose del bacino levantino sono responsabili di una fortissima alterazione ambientale che da comunità dominate da numerose specie di alghe conduce ad ampi tratti di fondale privi di vegetazione, con una drastica diminuzione nella complessità dell’habitat, nella biodiversità e nella biomassa prodotta.

Pesce palla argentato (Lagocephalus sceleratus) - Foto di Francesco Tiralongo

Pesce coniglio scuro (Siganus luridus) - Foto di Roberto Pillon

3) Nel corso dell’ultimo anno è stato varato un progetto di ampliamento del Canale di Suez, al fine di aumentare la sua portata e conseguentemente il traffico navale. In cosa consiste questo progetto? Come ci si può aspettare che alteri l’impatto del Canale di Suez sugli ambienti mediterranei?

Il canale, completato nel 1869, aveva una profondità di 8 m e una sezione di 304 m². Approfondito e allargato ripetutamente, ad oggi ha una profondità di 22 m e una sezione di 5,200 m². Il canale è già stato doppiato, con sei tratti alternativi per una lunghezza totale di 80,5 km. Tuttavia alla fine dell’anno scorso l’Egitto ha annunciato un ulteriore, significativo ampliamento, “per creare un nuovo canale, parallelo a quello esistente […], raddoppiare la parte più lunga possibile della via d’acqua […]. Il volume del lavoro di scavo a secco assomma a 258 milioni di metri cubi […], il lavoro di dragaggio assommerà a circa 250 milioni di metri cubi […] [inoltre] verranno approfonditi i tratti alternativi già esistenti per un totale di 37 km fino a raggiungere una profondità di 24 m. […] Gli argini saranno estesi lungo il Canale per una lunghezza di 100 km […] la lunghezza totale del progetto è di 72 km” (si veda qui).

Tale ampliamento del Canale di Suez, attualmente in corso, aumenterà il numero di propaguli (fasi dispersive degli organismi, n.d.r.) trasportati dal Mar Rosso al Mar Mediterraneo. L’impatto individuale e cumulativo di queste specie influenzerà la conservazione di specie native ed habitat particolarmente sensibili, così come la struttura e il funzionamento degli ecosistemi e la disponibilità delle risorse naturali, e potrebbe aumentare il numero di introduzioni attraverso il Canale di specie dannose, velenose o tossiche, e minacciare conseguentemente la salute umana.

Negli anni ’70 si riteneva che le popolazioni di specie introdotte attraverso il Canale di Suez sarebbero rimaste confinate al bacino levantino sud-orientale. Oggi non possiamo più perseverare in questa ostinata cecità – molte delle specie introdotte attraverso il Canale si sono diffuse in tutto il Mediterraneo orientale, ed alcune sono giunte molto più distante: il pesce palla Lagocephalus sceleratus, che può essere mortalmente velenoso, è stato segnalato nel 2014 sia a Sebastopoli, nel Mar Nero nord-orientale, sia in Spagna.

4) Lei è l’organizzatrice di una petizione firmata da numerosi scienziati in tutto il mondo al fine di informare le organizzazioni ambientaliste e la società del rischio ambientale legato all’ampliamento del Canale di Suez. Come è stata recepita questa iniziativa da parte della comunità scientifica? Qual è stato il successo di questa campagna per quanto riguarda l’opinione pubblica?

Noi stiamo manifestando la nostra preoccupazione come scienziati la cui ricerca si occupa degli effetti dell’introduzione incontrollata di specie alloctone invasive. Questa è un’opportunità per prevenire, o comunque minimizzare un potenziale, forte impatto sulla biodiversità e sugli ecosistemi del Mar Mediterraneo e non dobbiamo mancarla. Abbiamo già espresso la nostra preoccupazione in lettere aperte, firmate da scienziati provenienti da 39 Paesi, mandate alle organizzazioni intergovernative e ai funzionari competenti nella Commissione Europea. Una lettera all’editor di Biological Invasions riporta la preoccupazione che condividiamo riguardo a questo progetto dello stato egiziano (disponibile come risorsa open access qui). Inoltre sono stati pubblicati articoli sul New York Times, sul Guardian, su Conversation e su Nature, più un buon numero di articoli su giornali a diffusione nazionale. [The New York Times (November 12, 2014); The New York Times (March 5, 2015), The Guardian (November 30, 2014), The Conversation (December 8, 2014), Nature (January 1, 2015).

5) La vostra protesta ha ottenuto reazioni da parte di istituzioni politiche? Come si potrebbe modificare il progetto in modo da minimizzare l’impatto ambientale?

Pur riconoscendo l’importante ruolo del Canale di Suez nel commercio globale, noi siamo preoccupati per la scarsa attenzione agli accordi internazionali e l’abbandono di pratiche sostenibili che potrebbero essere impiegate per minimizzare impatti ambientali dannosi con conseguenze a lungo termine.

Un progetto di questa imponenza, con conseguenze potenzialmente negative sull’ambiente, richiede una Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) trasparente e scientificamente fondata. La Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo (1992) stabilisce degli importanti principi per la legislazione ambientale internazionale: ogni stato è tenuto ad assicurarsi che le attività sotto la sua giurisdizione non danneggino l’ambiente di altri stati, e la VIA deve essere impiegata come strumento per valutare proposte di attività che potrebbero determinare un significativo impatto negativo sull’ambiente. Una VIA faciliterebbe la valutazione e la scelta di strategie e infrastrutture economicamente vantaggiose che riducano l’impatto ambientale. Per quanto ne sappiamo, nessuna VIA relativa all’introduzione di specie alloctone attraverso il Canale è stata messa a disposizione del pubblico, ammesso che esista.

Professoressa Galil, grazie mille per la sua disponibilità, e buona fortuna per la continuazione di questa importante campagna di sensibilizzazione ed informazione.

Ultima modifica il Domenica, 24 Maggio 2015 22:30
Joachim Langeneck

Joachim Langeneck, dottorando in biologia presso l'Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell'ambito dell'etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.

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