Una domanda che per gran parte dell’estate e dell’autunno ha interrogato i commentatori della politica Usa è stata: Trump trascinerà a fondo con sé anche i candidati repubblicani al Congresso? È accaduto, come ora sappiamo, il contrario: Trump ha trainato dietro di sé anche candidati repubblicani dati per spacciati o comunque molto in pericolo (Johnson in Wisconsin, Toomey in Pennsylvania, Young in Indiana, Blunt in Missouri).
Elezioni statunitensi: declino e stallo? (A dieci mani)
Quando ci si riferisce agli Stati Uniti lo si fa spesso in termini altisonanti quali “la più longeva democrazia del mondo”, la quale troverebbe le ragioni della sua sopravvivenza proprio nella sua capacità di autorigenerarsi spontaneamente con la sola forza della dialettica.
Questa narrazione si scontra con tutte le analisi di coloro che hanno intravisto una decadenza dell’Impero americano che, come ogni altro impero del passato, è destinato a fare il proprio tempo, lasciando spazio a nuove potenze. Le ultime elezioni presidenziali del post-Obama sono un esempio della difficoltà di questo impero nell’esercitare le proprie capacità di autorigenerazione. La crisi economica e sociale ininterrotta, riducendo all’osso i margini di scelta elettorale, ha messo in crisi intellettuale anche il fior fiore della cultura antagonista. Gli esempi portati da un Noam Chomsky adeguatosi al voto per Hillary Rodham Clinton come voto antifascista e di Slavoj Žižek che in una delle sue celebri giravolte postmoderniste è riuscito ad appoggiare Trump, potrebbero essere sintomatici di uno stallo nel pensiero occidentale che, anche nei suoi elementi più radicali, fatica a metabolizzare l’idea di un’effettiva lacuna democratica nel paese che continua a costituire il riferimento culturale imprescindibile.
Le elezioni presidenziali 2008-2012-2016 presentavano alcune affinità con quelle 1932-1936-1940. Nella prima consultazione un Presidente democratico veniva eletto per reazione a una grave crisi economica prodotta sotto un’amministrazione repubblicana; il nuovo Presidente nel primo mandato provvedeva a invasive riforme finanziarie e sociali e veniva rieletto contro ogni aspettativa dei repubblicani, che lo consideravano un sovvertitore della libertà individuale. Infine, per il terzo mandato, il Presidente si ricandidava (Obama per interposta persona, non potendo farlo personalmente: ma il legame ereditario era chiaro) mentre il Partito repubblicano, piombato nel caos, nominava un imprenditore invece di un politico. Nel 1940 Roosevelt stravinse ancora; nel 2016, invece, ha vinto il fascismo.
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