Era il 2007 quando Stéphane Lissner, Sovrintendente del Teatro alla Scala, commissionò al compositore Giorgio Battistelli un’opera per l’occasione dell’Esposizione Universale. Un lavoro teatrale e musicale che riguardasse il tema di Expo 2015, “nutrire il pianeta - energia per la vita”, e che fosse nuovo, moderno, attuale.

I lavori di scrittura del libretto e degli spartiti furono travagliati fin dall’inizio, con tensioni tra compositore, librettista e i registi che si sono susseguiti nel ruolo. Quando infine si approdò alla scelta di Robert Carsen alla regia e il libretto era completato, mancavano ancora numerose pagine di partitura. Il Teatro alla Scala, nel frattempo, scelse di inaugurare l’Expo con la Turandot di Puccini, diretta da Chailly, e il finale inedito di Luciano Berio.

Il maestro Battistelli ha lavorato all’orchestrazione di "CO2", titolo che riprende la formula chimica dell’anidride carbonica, fino agli ultimissimi giorni di prova, a qualche giorno di distanza dalla prima esecuzione, riducendo, allargando, tagliando e riscrivendo numerosi fogli. Il prodotto scaturito da una gestazione tanto lunga è senza dubbio, e non poteva non esserlo, di notevole qualità e pregio artistico.

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Una Turandot che farà storia quella diretta da Chailly, col finale di Luciano Berio, in scena al Teatro alla Scala per l'apertura di Expo. Un Puccini insolito, nuovissimo, rivisitato, che sfonda i confini del melodramma italiano e dirompe nell’espressionismo musicale, nella politonalità che strizza l’occhio alla dodecafonia.

Non è forse un allestimento eccezionale, ed è presumibile che il giudizio complessivo della critica non sarà granché positivo, ma senza dubbio lascerà il segno nella filologia pucciniana e nell’esecuzione del Puccini maturo il lavoro di ricerca intima, misura per misura, che Riccardo Chailly ha operato sulla partitura della Turandot dalla prima all’ultima nota, fino a congiungerla con il recentissimo spartito conclusivo di Berio.

Lo spettacolo è la riedizione aggiornata di quello che andò in scena ad Amsterdam nel 2002, con la regia di Nikolaus Lehnhoff, cui sovrintese lo stesso Berio, scomparso soltanto l’anno successivo.

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