Domenica, 24 Maggio 2015 00:00

CO2 di Giorgio Battistelli debutta alla Scala in prima assoluta mondiale

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Era il 2007 quando Stéphane Lissner, Sovrintendente del Teatro alla Scala, commissionò al compositore Giorgio Battistelli un’opera per l’occasione dell’Esposizione Universale. Un lavoro teatrale e musicale che riguardasse il tema di Expo 2015, “nutrire il pianeta - energia per la vita”, e che fosse nuovo, moderno, attuale.

I lavori di scrittura del libretto e degli spartiti furono travagliati fin dall’inizio, con tensioni tra compositore, librettista e i registi che si sono susseguiti nel ruolo. Quando infine si approdò alla scelta di Robert Carsen alla regia e il libretto era completato, mancavano ancora numerose pagine di partitura. Il Teatro alla Scala, nel frattempo, scelse di inaugurare l’Expo con la Turandot di Puccini, diretta da Chailly, e il finale inedito di Luciano Berio.

Il maestro Battistelli ha lavorato all’orchestrazione di "CO2", titolo che riprende la formula chimica dell’anidride carbonica, fino agli ultimissimi giorni di prova, a qualche giorno di distanza dalla prima esecuzione, riducendo, allargando, tagliando e riscrivendo numerosi fogli. Il prodotto scaturito da una gestazione tanto lunga è senza dubbio, e non poteva non esserlo, di notevole qualità e pregio artistico.

È assai complicato definire "CO2" un’opera vera e propria dal momento che mancano una struttura narrativa classica e un tessuto musicale omogeneo. In effetti sembra piuttosto un dramma musicale, con un soggetto costituito da una conferenza scientifico-divulgativa e musiche di scena che accompagnano una dopo l’altra le varie “diapositive”.

Ad ispirare il contenuto di questo esperimento operistico inedito è il libro-denuncia “Una scomoda verità” di Al Gore, il noto miliardario e politico democratico statunitense, da tempo legato al mondo dell’economica verde. Il libretto è di Ian Burton, che ha costruito una linea narrativa surreale e simbolica, costituita da un prologo, 9 scene e un epilogo. Interessante il fatto che si sia scelto di non esaltare ossequiosamente l’Esposizione Universale, ma invece di porre all’attenzione le gravi contraddizioni del modello di sviluppo occidentale consumistico. Deludente che lo si sia fatto prendendo spunto da un magnate statunitense.

La trama è assai sottile: il conferenziere Adamson (“figlio di Adamo”) illustra lo stato febbrile e moribondo del pianeta Terra per colpa dei comportamenti irrispettosi, dannosi e pestiferi, sociali e individuali dell’umanità. La sua predica, a tratti paternalistica e moraleggiante, è supportata da visioni oniriche che si susseguono o per sua introduzione o spontaneamente. Cornice e novelle, come un Decameron apocalittico.

L’intento di un libretto del genere pare più educativo che artistico, e non è semplice riuscire a capire quali sensazioni voglia produrre sull’ascoltatore: attenzione, disperazione, angoscia, speranza, buonismo, ribellione, rassegnazione? L’unica morale estraibile sembrerebbe di tipo “decrescista”.

L’interazione regia-musica è in continua tensione. Tanto Battistelli quanto Carsen hanno prodotto due lavori eccezionali, pieni di intuito, genialità e comunicatività, ma poco simbiotici e in armonia stridente fra loro: non deve essere stato semplice per le maestranze del Teatro alla Scala riuscire a mantenere il passo di due artisti del genere.

La partitura di Battistelli è un colossale lavoro sinfonico eclettico e poliedrico. Le citazioni sono molte e accurate, l’immane sforzo innovativo riesce a dialogare alla perfezione con la tradizione. Le sue pagine trovano legittimamente casa alla Scala che ha appena ospitato i suoni di Bernd Alois Zimmermann  e di Luciano Berio e che in autunno porterà in scena Alban Berg.

Le linee melodiche che si rintracciano ci parlano di un’angoscia intima e corrosiva, fatta di esplosioni trattenute e inseguimenti senza fine. Percussioni in fuga ostinata e cori angelici di voci bianche in monodia, serie dodecafoniche stridenti e frasi ariose e luminose, rumori concreti e musica acustica, registrazioni e belcanto: una costellazione di tante strutture precise, che gioca con le aspettative del pubblico e ricrea quella molteplicità di significati che è il mondo della percezione estetica.

Intervistato da Gaston Fournier Battistelli ha detto “La musica per me è un veicolo attraverso mondi del tutto diversificati.” Dal punto di vista di una totalità aleatoria, il lavoro di questo compositore è senza dubbio notevole: talmente affezionato al manoscritto a matita egli cerca, e trova, soluzioni creative in itinere, sfida le impurità ed esalta la bellezza delle imperfezioni. Elude, ed allude, la codificazione tradizionale e pretende nuove soluzioni formali: ciò che vuole ricreare è un labirinto di suggestioni, visioni e imitazioni. Un percorso simbolico, polidimensionale, che si rende consapevolmente interessante e che vuole suggerire al fruitore campi proiettivi soggettivi.

Una poetica della complessità che mette in relazione il genio creativo autocentrato, e autoreferenziale, con la dimensione sociale, universale e collettiva. Se è vero che la musica può liberarci dal particolare attraverso il particolare, l’ossessione per la produzione artistica ha un potenziale infinito.

La tematica politica, impegnata, sembrerebbe essere il terreno di prova privilegiato per un artista del genere (candidato a Sindaco nel suo comune natale, Albano Laziale), e "CO2" è un clamoroso banco di prova. A dire il vero il tema politico l’aveva già trattato con il Riccardo III, ma anche, se vogliamo, con il suo capolavoro internazionale Experimentum mundi.

In "CO2" tuttavia egli è costretto a distruggere il discorso in piccoli e brevi segmenti e ad inanellarli l’un l’altro con artificiosità: la soluzione di continuità è spesso brusca, altre volte assente o, addirittura, muta. Quasi una forma sonata, o meglio una suite, articolata in una linea spezzata, eppure straordinariamente coerente.

A dirigere l’orchestra della Scala il giovane maestro Cornelius Meister, figlio d’arte e avvezzo a musiche di ogni genere, specialmente sinfoniche e cameristiche. È parso del tutto a suo agio con la partitura di Battistelli e sotto la sua bacchetta l’orchestra ha dimostrato grande qualità: l’attenzione espressa per le linee di canto e per l’interazione tra armonia e melodia ha ammorbidito le sonorità abituali di Battistelli, probabilmente secondo la stessa volontà dell’autore, forse per avvicinarsi agli ascoltatori più intransigenti e meno disponibili.

Geniale la regia di Robert Carsen, artista affermato e sempre all’avanguardia, intramontabile nella sua produzione sempre azzeccata.

Il suo lavoro insegue e “normalizza” il percorso a ostacoli di Battistelli: solo la creatività di Carsen poteva mettere in scena una prima assoluta mondiale così audace con tanto garbo e raffinatezza. L’allestimento prende le mosse da una suggestione iperrealistica: la conferenza di Adamson non è rappresentata, ma inscenata proprio come se si stesse tenendo qui ed ora, sul palco del teatro, rivolta agli spettatori. Alle spalle del conferenziere/narratore un grande schermo a guisa di modernissimo tablet, che subito scopriamo essere un portale vivente per una dimensione spaziotemporale trascendente.

Lo schermo gigante è un computer vero e proprio, con tanto di puntatore mouse che seleziona sua sponte di volta in volta le cartelle, cioè le scene, che stanno per “andare in onda”. Il contorno bianco si trasforma a seconda della diapositiva raccontata, come una cornice che si adatta al contenuto, e alle sue spalle si illumina un secondo spazio scenico, dove si svolge l’azione.

L’intuizione di Carsen, che tenta di ricollocare sulla terra le musiche di Battistelli onde dare ragione dell’intento educativo dell’opera, è un capolavoro di una poetica non perfettamente aderente a quella del musicista laziale. Si potrebbe quasi dire che i due lavori hanno una vita parallela e disgiunta, il cui trait d’union è un non-libretto di una non-opera: la conferenza ideata da Ian Burton, la cui comunicatività non è in rapporto di dipendenza biunivoca con musica e regia.

Le scene di Paul Steinberg sono semplici e pulite, pochi oggetti che aggiungono elementi narrativi in aderenza alla vicenda. Il vero colpo di genio sono i video di Fin Ross e le luci di Peter van Praet. È soprattutto attraverso le proiezioni video e i giochi di luce che il colossale tablet alle spalle di Adamson assume la terza dimensione e si trasfigura completamente negli ambienti evocati dalle diverse scene: Creazione, Aeroporto, Kyoto, Uragani, Eden, Supermarket, Tsunami, Gaia, Apocalisse. Tra le proiezioni anche alcune immagini tratte da fotografie di paesaggi industriali di Edward Burtynsky, in carrellata.

Un poco banali i costumi di Petra Reinhardt, fin troppo quotidiani nelle scene contemporanee, e quasi eccessivi in quelle fantastiche, mancando sia di provocazione sia di favolosità. Ugualmente scialbe le coreografie di Marco Berriel, peraltro male eseguite dal corpo di ballo.

Nel prologo e nell’epilogo David Adamson interloquisce direttamente con il pubblico parlando e cantando da una pedana trasparente, che sale e scende dal palco, con tanto di fogli e microfono. Nel suo parlare e cantare egli introduce alcune scene, mentre altre si susseguono spontaneamente, ed enuncia alcuni dubbi moralistici o vere e proprie condanne etiche, oltre a vere e proprie dimostrazioni scientifiche. La sala è illuminata e il legame con il pubblico è forte.

Il prologo è una sorta di manifesto politico: Adamson dichiara i danni irreversibili causati dallo sviluppo industriale e chiarisce che la diminuzione drastica di emissioni inquinanti può favorire un risanamento delle condizioni ambientali, tuttavia egli attribuisce ai governi nazionali l’incapacità di farsi carico delle questioni globali. La tesi scientifica è forte e autorevole, quella politica è piuttosto banale e semplicistica: come si possono mettere sullo stesso piano tutti i governi nazionali, dal primo al terzo mondo, e non citare invece il modello di sviluppo capitalistico e le grandi multinazionali? L’introduzione è chiusa da un lamento in sottofondo di un sacerdote di Shiva.

La prima scena è dedicata alla Creazione. A rischiarare le tenebre un coro invisibile dietro le quinte, mistico e ieratico, che canta un salmo latino. Quattro arcangeli, due scienziati e due ecologisti enunciano in Sprechgesang (cioè una sorta di recitazione cantata, di suono parlato) le teorie creazionistiche scientifica e religiosa. Si rende chiaro il titolo dell’opera, i quattro arcangeli intonano “La fisica è piuttosto chiara: se quel che fanno e il loro stile di vita raddoppia la quantità di carbonio nell’aria, il loro pianeta si riscalderà nella stessa misura!”

Mentre sullo schermo del grande tablet le proiezioni ci informano di quanta anidride carbonica producano gli spostamenti aerei, si passa alla seconda scena. Il via vai di passeggeri viene progressivamente interrotto dalla soppressione di tutti i voli, annunciata da un enorme tabellone che fa da secondo sfondo. Non è chiaro perché i voli siano stati tutti cancellati e persino Adamson è rimasto a piedi, mentre cercava di raggiungere Kyoto su un inquinantissimo Boeing 747.

La terza scena è dedicata alla conferenza di Kyoto. Una piccola arena parlamentare è allestita dietro lo schermo. I delegati sono litigiosi e inconcludenti, alla fine, dopo gli interventi di alcuni rappresentanti, una rissa mette fine al dibattimento. Adamson conclude spiegando benefici e limiti del Protocollo di Kyoto, con affermazioni però controverse. Il libretto dice infatti che insieme agli Usa anche Canada, Russia e Cina non hanno sottoscritto i patti, il che è falso: gli USA non hanno ratificato il patto, il Canada ne è uscito, mentre Russia e Cina sono regolari firmatari. Sarebbe corretto se il libretto, che ha un intento divulgativo, venisse urgentemente rettificato.

Si passa ora alla quarta scena, Uragani. Adamson spiega come l’accumulo di CO2 possa causare fenomeni meteorologici straordinari, come gli uragani, che negli ultimi anni hanno assunto frequenza e dimensioni sempre maggiori. Mentre il coro enumera i nomi degli uragani, i ballerini, come tanti dervisci, trottolano in costumi etnici attorno ad una danzatrice rivestita di ariosi e scuri veli che, ruotando, generano un vortice seducente e terribile.

Ma il carbonio non genera solo mostruosità, è infatti all’origine della vita. Si passa ora alla scena dell’Eden. Adamo ed Eva, nudi in un gigantesco vivaio, insieme al Serpente rievocano la scena biblica, mentre un coro dietro le quinte intona un mantra sanscrito. Mentre Eva morde la mela, si cambia scena.

Supermercato. Il passaggio dall’Eden, così ben ricostruito, ai corridoi di un market affollatissimo scompagina le carte. La situazione è grottesca e surreale, i carrelli della spesa sono stracolmi, le massaie, alcune impersonate da voci maschili, si rubano la merce a vicenda. Le donne si compiacciono a piena voce della remota provenienza dei prodotti comperati ed esaltano le prodezze del libero mercato.

Ancora bruscamente si passa alla settima scena, sulle spiagge della Thailandia. Una madre piange le spoglie del cognato deceduto a causa dello tsunami del 2004. Viene evocata la possibilità che sia stato causato dall’aumento della temperatura delle acque oceaniche.

Rientra in scena Adamson per presentare l’ottava diapositiva, dedicata a Gaia. Il conferenziere ci introduce alla teoria di “pianeta vivente” secondo l’accezione olistica dello scienziato James Lovelock. Mentre dalle tenebre il coro canta un inno omerico, nello schermo gigante appare Gaia, che denuncia le scelleratezze dell’uomo, la cui arroganza ha corrotto e compromesso un equilibrio universale che durava fin dalla creazione.

Buio e immagini delle devastazioni umane introducono e accompagnano la nona scena, Apocalisse. Gli arcangeli, gli scienziati e altri interpreti si affollano attorno ad Adamson sgomenti: l’universo spazza via l’uomo che, come aveva predetto Gaia, si è condannato all’autodistruzione disprezzando le leggi naturali.

Torna l’atmosfera da conferenza per la conclusione serafica. Prima che le luci dissolvano, Adamson chiede al pubblico: “Se questo non è il mio pianeta, di chi è? Se questa non è la mia responsabilità, di chi è? Se sono io la causa, non sono allora anche la cura?”. Non è chiaro se questo esame di coscienza si riferisca all’umanità astratta, ad ogni singolo individuo, oppure ai principali responsabili dell’inquinamento globale.

In ottima forma quasi tutti gli interpreti. Lodevole il coro, sotto la guida di Bruno Casoni, eccellenti tutti i cantanti dell’Accademia del Teatro alla Scala, alcuni dei quali abbiamo già ammirato nel cartellone degli scorsi mesi: Fatma Said, Sehoon Moon, Aya Wakizono, Azer Rza-Zada, Petro Ostapenko, Kwanghyun Kim, Davide Giangregorio.

Altalenanti le esibizioni di Dennis Wilgenhof e di Ta'u Pupu'a, impegnati in doppi ruoli dato il numero considerevole di voci impiegate nella partitura. Sempre in scena con doppia identità i bravissimi Alain Coulombe, Orla Boylan, Alessandro Spina, Nathan Berg e Miklos Sebestyén.

Bella voce (e bella presenza) per Adamo, Sean Panikkar, ed Eva, Pumeza Matshikiza, nudi sulla scena, sebbene coperti dalla vegetazione fino alla vita.

Eccezionale l’interpretazione di David DQ Lee, nel ruolo del serpente, che ha utilizzato la sua voce in tutte le sfumature possibili, compreso il falsetto.

Brava, anche se dalle maggiori potenzialità, Jennifer Johnston, nel ruolo di Gaia.

Sul palco dall’inizio alla fine, sempre preciso, intonato e potente, il bravo e convincente attore e ottimo cantante Anthony Michaels-Moore, nel ruolo di David Adamson.

Un’opera che fa la storia della musica, sia per il risultato artistico, sia per le controversie che può suscitare, in particolare per quanto riguarda il libretto e il soggetto. Oltre al contenuto specifico, che in alcune parti abbiamo evidenziato essere incoerente e semplicistico, non ci si può non chiedere se abbia senso impegnare politicamente l’arte in assenza di politica: non è l’ideologia stessa sovrastruttura necessaria alla produzione artistica? E quale ideologia propone "CO2", che sia radicalmente alternativa a quella che pretende di denunciare? Il rischio è di impregnarsi di un facile costume benpensante, perfettamente adatto al pubblico del Teatro alla Scala, ma poco adeguato alle pretese dichiarate di virtuosismo ecologista. Se il progetto in sé è certamente apprezzabile, le idee messe in campo sono davvero misere.

Preferiamo apprezzare lo straordinario lavoro musicale di Battistelli e il geniale allestimento di Carsen come opere di puro gusto estetico, con la consapevolezza, peraltro, dell’unicità dello spettacolo: "CO2" è infatti un lavoro difficilmente replicabile e molto dispendioso nella sua realizzazione scenica, poco adattabile a teatri di provincia e palcoscenici di piccole dimensioni, e che potrebbe invece essere valorizzato in forma concerto, come una tragica sinfonia polisemantica

 

 

 

Ultima modifica il Venerdì, 22 Maggio 2015 19:56
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