Una delle eredità meno piacevoli del positivismo ottocentesco, che ha avuto un revival nelle impostazioni riduzionistiche conseguenti allo sviluppo novecentesco della biologia molecolare, e ancora oggi sperimenta periodici e più o meno transitori ritorni di fiamma, è rappresentata dall’applicazione acritica di modelli evolutivi biologici al comportamento e alla cultura umana. Se non è stato difficile confutare, a livello intellettuale ma soprattutto politico, la prima, piuttosto rozza versione di questa proposta intellettuale, rappresentata dal Darwinismo sociale, le numerose ipotesi relative all’idea che lo sviluppo culturale e la posizione sociale siano, almeno parzialmente, determinate da fattori innati risultano in qualche modo più subdole e seducenti.
Le razze umane non esistono
Tra il luglio e l’agosto 1938 appariva, in varie edizioni tra cui il primo numero della rivista La difesa della Razza curata tra gli altri da Giorgio Almirante, il Manifesto degli scienziati razzisti, anche detto Manifesto della razza, sottoscritto da dieci scienziati. Sulla scorta di questa base teorica, entro il novembre successivo sarebbero stati promulgati i regi decreti legge comunemente noti come leggi razziali. Ad ottant’anni da una delle pagine più buie della storia del Paese, miti di “razza” sono ancora accampati nell’immaginario italiano, tra dichiarato razzismo, subdola xenofobia e, immancabilmente, narrazioni pseudoscientifiche.
Non c’è scampo dai gamberi
Una specie invasiva getta luce sull’evoluzione di nuove specie
Quando nei primi anni ’90 il gambero marmorizzato comparve all’improvviso nei negozi di animali di gran parte della Germania, nessuno ne fu particolarmente sorpreso. Sappiamo che molti crostacei, anche di grandi dimensioni, sono ancora sconosciuti alla scienza: alcune specie di granchio terrestre, popolari da decenni tra gli appassionati, sono state descritte soltanto l’anno scorso1.
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