Curdi carne da cannone. Sono i nostri compagni eroici, difendiamoli
Quelle milizie curde e quei loro alleati appartenenti alle varie etnie e religioni della Siria (arabi, siriaci, turcomanni, yazidi, alauiti, ecc.) che hanno per primi sconfitto gli stragisti di Daesh armati e pagati da Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar sono da due giorni sotto attacco, nel loro cantone di Afrin, il più occidentale, da parte dell’aviazione e dell’artiglieria della Turchia. La Turchia inoltre ha dichiarato di voler procedere con l’invasione di terra con suoi carri armati e sue truppe. Inoltre ha dichiarato che suo ulteriore bersaglio è la città di Manbij, liberata a suo tempo dai curdi e da milizie arabe e turcomanne loro alleate e governata da un consiglio democraticamente eletto dalla sua popolazione. Nel frattempo sono già in movimento verso Afrin le milizie delle cosiddette Forze Democratiche Siriane, ostili al governo siriano e alla Russia, composte da tagliagole provenienti dal riciclaggio turco dei vari gruppi islamisti radicali in campo in questi anni, da Daesh ad al-Qaeda ad altri minori. Ad essi viene affidato il compito di rompere la tenuta delle milizie curde e di massacrare la popolazione curda.
La Turchia rivendica la sua azione a nome di un suo diritto a difendersi da minacce lungo le sue frontiere: minacce che non sono mai esistite. In realtà la Turchia occupa un tratto di territorio siriano, spezzando così la continuità del territorio in mano curda. In questo tratto c’è la città di Jarabulus, l’antica Hyerapolis: nella quale ha immediatamente operato a cacciare i curdi, ha portato turchi e turcomanni a essa legati, ha imposto l’insegnamento del turco nelle scuole, la legislazione turca, ecc. Attraverso quest’occupazione le truppe turche risultano collegate al complesso delle formazioni islamiste radicali che occupano l’area della città di Idlib, forniscono a queste sistematicamente armi e mezzi di sostentamento, possono trasportarne i feriti in Turchia ecc. Più in generale, la Turchia guarda alla conquista di Aleppo: la cui realizzabilità dipende dal fatto che la situazione siriana anziché evolvere verso la fine delle sue molteplici guerre ne veda il rilancio massimo possibile. Giova rammentare come il governo turco abbia recentemente dichiarato il ripudio di quel Trattato di Losanna (1923) che ne definì gli attuali confini e come essa ora rivendichi aree in mano greca (alcune isole dell’Egeo, la Tracia greca), in mano siriana (l’area di Aleppo), in mano irachena (l’area di Mosul), nella quale anzi ha recentemente spostato truppe in quattro località.
La Russia dopo l’abbattimento da parte turca di un suo aereo militare aveva collocato suoi soldati nel cantone di Afrin e precisamente sul suo confine turco, ciò che significava l’impossibilità per la Turchia di invaderlo, quindi solo la possibilità (continuamente effettuata) di bombardarlo, soprattutto con l’artiglieria. Appena iniziati i recenti bombardamenti aerei la Russia ha ritirato le sue truppe. Il rapporto con la Turchia, l’intenzione di non riconsegnarla agli Stati Uniti sono evidentemente le cose che per la Russia contano, non già i diritti di una popolazione che ha combattuto anche per conto della stessa Russia. Quanto agli Stati Uniti, una settimana fa avevano formalmente dichiarato ai responsabili curdi di non sentirsi impegnati contro un eventuale attacco turco al cantone di Afrin. Evidentemente la logica statunitense risulta simmetrica a quella russa. La Russia ha dichiarato di considerare gli Stati Uniti responsabili di un disagio della Turchia dinnanzi all’armamento pesante da essi consegnato alle milizie curde, e che ha consentito a queste ultime, ripulita la Siria orientale da Daesh, di costruire un’entità fortemente autonoma nella Siria orientale. Ma la Russia non aveva dichiarato di sentirsi impegnata dalla prospettiva di una Siria confederale, dove ogni etnia o religione fosse in grado di esercitare i suoi diritti, cosa questa che in Medio Oriente necessariamente significa essere armati?
Gli Stati Uniti a loro volta hanno ieri chiesto a Turchia e a milizie curde di “fermarsi” e di “trattare” guardando solo al residuo di lotta a Daesh e compagnia. Sarà dura, dopo aver concesso alla Turchia di avviare l’attacco al cantone di Afrin.
Il Regno Unito ha dichiarato ieri di condividere pienamente l’azione di una Turchia minacciata sui suoi confini da un’entità aggressiva. Evidentemente è in ballo una trattativa commerciale tra Regno Unito e Turchia, oppure è in ballo qualche grossa fornitura d’armi. Come dice il proverbio, pecunia non olet. Giova solo rammentare come il traffico di armi sia il secondo grande business planetario, quindi un fattore di guerra addirittura indipendente dalla politica.
Il silenzio dal lato dell’Unione Europea è semplicemente assordante. La RAI ne parla per circa cinque secondi, in attesa di ordini di governo. Insomma l’attuale canagliaio mondiale grande e piccolo ha mostrato per l’ennesima volta di essere, non la soluzione del disastro mediorientale, ma uno dei suoi fondamentali attori. Agiamo come ci è possibile a difesa dei nostri compagni curdi, sono un faro di civiltà e di umanità in un pianeta che sta sprofondando. Se verranno soppressi il pianeta intero ci andrà di mezzo: tutti stanno riarmando, tutto sta marciando verso l’allargamento e la sinergia tra i conflitti in atto, e le armi usate, continuando così, saranno anche quelle atomiche. Già gli Stati Uniti lo dichiarano.
Perché tutti parlano del terrorismo?
Perché tutti parlano del terrorismo? (Spesso a sproposito).
Ci risiamo: anche a Barcellona è arrivato il terrorismo, un attentato 'firmato' Isis (e pare altri due nelle ultime ore, uno in Germania ed un altro addirittura in Finlandia). Oltre al naturale sgomento per quanto accaduto e al cordoglio per le vittime (e un po' di umana paura) c'è un'altra piaga che ossessiona il 'day after': i discorsi della gente che, da una parte e dall'altra, si susseguono sempre uguali ad ogni occasione.
L’intervista è ripresa dal sito www.arciempolesevaldelsa.it e fa parte della campagna del Comitato Arci Empolese Valdelsa “Kurdi! Una Roccia è forte al suo posto”
Luigi D’Alife è il regista di Binxet – Sotto il confine, un documentario totalmente autoprodotto che racconta, attraverso testimonianze e spiegazioni schematiche ma approfondite, la situazione del popolo curdo sulla linea del confine che separa la Siria dalla Turchia. La striscia di terra che si trova sotto il confine si chiama appunto Binxet. Le persone incontrate qui sono persone comuni con alle spalle storie di lotta, di dolore, di resistenza e di amore toccante. Al documentario, frutto di cinque viaggi fatti dal regista in territorio curdo, ha prestato gratuitamente la propria voce Elio Germano. Abbiamo avuto modo di incontrare D’Alife domenica 16 luglio alla festa di Settembre Rosso -associazione affiliata Arci- in occasione della proiezione del suo documentario.
Come che siano andate le cose, paiono comunque evidenti le reciproche intenzioni, una più pericolosa dell’altra. Quella del regime siriano è di evitare di trovarsi a gestire, come invece tende ad accadere, una ridotta porzione del territorio siriano, rappresentata dalla metà meridionale della sua metà occidentale, dalla striscia costiera e dal suo immediato retroterra (sotto stretto controllo russo), dal corridoio che a nord porta verso Aleppo nonché da questa città (quasi tutto il nord-ovest essendo invece in mano all’ELS, alla Turchia, ecc., e l’est sempre più all’FDS). Una tale prospettiva renderebbe inevitabile, al termine del conflitto o ancor prima, la fine del regime, l’esilio di Assad, ecc., probabilmente anche con il consenso di Russia e Iran. Mentre l’intenzione, quanto a Trump, pare ormai essere il controllo stabile, per il
In questi giorni, precisamente dal 5 al 7 maggio, diversi punti importanti del centro di Prato hanno ospitato il Mediterraneo Downtown Festival, un ciclo di iniziative promosso da Cospe onlus, Libera, Comune di Prato e Regione Toscana in collaborazione con Anci. Il Festival, tristemente, si è concentrato sui temi delle rotte dell’immigrazione, del lavoro delle ONG e dei salvataggi in mare, delle frontiere e delle situazioni geopolitiche di paesi che si affacciano sull’area del Mediterraneo, avvalendosi di ospiti nazionali e internazionali, proiezioni di documentari e concerti.
Erdogan ed UE: una relazione imbarazzante ma stabile
L’approvazione referendaria, seppur con stretto margine, della riforma costituzionale voluta da Erdoğan segna una ulteriore tappa nel processo involutivo del regime turco e nel tentativo di stabilizzazione autoritaria. Le congratulazioni provenute a Erdoğan dalle potenze mondiali (Stati Uniti, Russia, Cina) e dagli attori regionali, non solo sunniti (pensiamo all’Iran), tradiscono l’interesse di Realpolitik al rafforzamento di equilibri che garantiscano la pace, sia pure armata, nell’area.
Il decreto Minniti e la questione della sicurezza
Con le “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” e le “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” torna al centro del dibattito l'ambito del diritto per quanto concerne la repressione dell'illegalità. Mentre le "città ribelli" (i sindaci alternativi al centrosinistra del Partito Democratico) hanno lanciato mobilitazioni lo scorso sabato in tutta Italia, Orlando (il candidato ufficiale della "sinistra" interna alle primarie della forza di Governo) e gli ultimi fuoriusciti ex DS difendono la bontà della legislazione.
Le categorie sociali più deboli accendono sempre gli animi di chi è meno debole, incrociando le pulsioni giustiziaste e confondendo spesso i temi in discussione (in un periodo dove anche la "legittima difesa" occupa larga parte del dibattito televisivo nazionale). Su questo le nostre otto mani.
Bombardamento statunitense in Siria: monito o premessa?
Dopo mesi di combattimenti in cui la fortuna bellica stava gradualmente iniziando a sorridere ad Assad e al suo alleato russo a danno dei ribelli sia "moderati" che islamisti, nella notte fra il 6 e il 7 Aprile gli Stati Uniti hanno lanciato il primo attacco deliberato contro obiettivi militari del governo siriano, rimescolando nuovamente le carte di una crisi regionale sempre più allarmate.
Il pretesto, un bombardamento che si presume condotto dall'aviazione governativa nella provincia di Idlib con armi chimiche e che ha causato la morte di almeno 86 persone, ma le cui dinamiche e responsabilità sono ancora tutte da verificare, ha portato l'amministrazione Trump a spingersi su posizioni interventiste incassando l'immediata approvazione di Ankara e di molti leader europei. Molto dura invece la Russia che parla di violazione illegittima della sovranità nazionale.
Resta da capire se si tratti solo di un attacco dimostrativo oppure se Trump abbia veramente l'intenzione di aprire un fronte militare in una zona delicatissima del pianeta, in un paese martoriato e diviso in cui si scontrano gli interessi geopolitici delle principali potenze mondiali.
Nuova svolta in Medio Oriente (a dieci mani)
La guerra civile siriana ormai giunta al suo quinto anno ha vissuto molti episodi di svolta che apparivano decisivi e si sono poi rivelati quantomeno effimeri. La verità è che il contesto in cui si inserisce vede un quadro geopolitico in cui le principali potenze emergenti del mondo sempre più multipolare si scontrano con l’Impero decadente americano che adotta strategie pericolosamente affini a quelle dell’Isis e delle varie formazioni jihadiste. Questa settimana proponiamo un’analisi dell’ultima svolta dettata dalla riconquista del fronte governativo siriano della città di Aleppo, in concomitanza, o quasi, con l’omicidio in Turchia dell’ambasciatore russo Andrey Karlov.
Martedì 13 dicembre il Presidente della Regione Enrico Rossa ha consegnato, presso il Palazzo della Regione (Palazzo Guadagni Sacrati Strozzi) il Pegaso d’oro a Kosrat Rasul Ali, vicepresidente del governo regionale del Kurdistan iracheno (KRG) e leader storico dell’UPK (Unione Patriottica del Kurdistan), o meglio noto, soprattutto tra i peshmerga che lo considerano una figura quasi leggendaria, come “il Leone del Kurdistan”.
Il Pegaso d’oro è la massima onorificenza che la Regione Toscana conferisce a personalità, nazionali e internazionali, che hanno si sono distinte per il proprio lavoro e/o per il proprio impegno civile e politico. Nei tempi passati il premio è andato a Yasser Arafat, Ingrid Betàncourt, all’ideatore del microcredito moderno Muhammad Yunus, Luis Sepúlveda e a molti altri, e, tra gli italiani, ricordiamo Mario Luzi, Eugenio Garin, i fratelli Taviani, Margherita Hack e Roberto Benigni. Questa volta la Regione Toscana ha voluto premiare Kosrat per lo straordinario coraggio e l’indomita tenacia che da sempre ha dimostrato nella sua lotta contro l’orrore e la barbarie, prima del regime baathiano di Saddam Hussein, e adesso contro il sedicente Stato Islamico.
Il Pegaso simbolicamente va però all’interno popolo curdo che appunto combatte in prima linea le efferatezze del terrorismo islamico, e che si batte per la libertà e la difesa dei diritti umani, a cominciare da quelli di profughi e sfollati. Noi italiani che ci lamentiamo dell’ “invasione dei migranti” dovremmo riflettere sul fatto che il Kurdistan iracheno ha accolto e continua ad accogliere milioni e milioni di rifugiati, sia quelli interni, che fuggono dagli avamposti e le città che sono o erano sotto diretto controllo dell’Isis, sia esterni, in particolare siriani: si pensi che a Erbil, città di un milione e mezzo di persone, nel 2014 sono stati accolti 750.000 profughi che fuggivano dalle terre di Iraq e Siria e oggi sono due milioni accampati intorno a Erbil. Il Governo curdo iracheno, dice il presidente Rossi, “è perciò un rifugio vitale per un enorme numero di profughi e sfollati di ogni etnia e fede e quando in Europa si agita e si cavalca la paura della presunta invasione dei migranti dobbiamo ricordarci sempre che l’area mediorientale è la prima a dare protezione e ospitalità alla stragrande maggioranza delle persone che fuggono dal terrorismo”. Rossi tiene anche a sottolineare che il Pegaso, emblema della Resistenza e del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, non poteva che essere il riconoscimento più adeguato per la resistenza del popolo curdo contro il nuovo nazi-fascismo rappresentato oggi dallo Stato Islamico.
Kosrat è una testimonianza vivente della lotta contro il Califfato e per i diritti del popolo curdo che è il principale argine al terrorismo e al fanatismo. La sua vita è un inno alla resistenza e alla libertà. Nel 1976, dopo gli studi, fondò a Kirkuk l’Associazione degli studenti universitari. L’anno dopo fu arrestato dagli agenti baathisti di Saddam, incarcerato e torturato per molti mesi. Dopo il rilascio si unì al Movimento clandestino. La sua battaglia non è stata fermata neanche dalla perdita dei due figli, di nove e dieci anni, uccisi da un raid aereo del regime di Baghdad mentre stavano cercando di mettersi in salvo. Kosrat, veterano peshmerga e dirigente politico, ha continuato a combattere contro Saddam e nel 1991 fu tra i capi del fronte curdo che liberò la città di Erbil dalle forze del regime baathista e poi guidò la liberazione di Kirkuk. Fu uno dei protagonisti del processo che condusse alle prime elezioni parlamentari, libere e democratiche, della storia del Kurdistan. Dal 1993 al 1996 è stato primo ministro del Governo Regionale curdo, dal 1996 al 2001 primo ministro dell’amministrazione di Sulaymaniyah e nel 2006 è stato eletto all’unanimità vice presidente della Regione del Kurdistan iracheno. “Ha rappresentato”, prosegue Rossi, “una voce autorevole contro le lotte intestine tra i partiti politici curdi, facendosi promotore di un piano che ha garantito la pace, il rispetto dei diritti umani e una buona qualità della vita nella regione del Kurdistan. Più volte ferito nei combattimenti, che hanno lasciate tracce evidenti sul suo corpo, Kosrat è ancora oggi in prima fila nella lotta contro i miliziani del Califfato”. Il suo coraggio e quello dei peshmerga hanno consentito di arrestare l’avanzata del gruppo terroristico, liberando città, villaggi e posizioni vitali.
“Quella del popolo curdo è una lotta per l’autodeterminazione l’autonomia e il riconoscimento della propria identità e dei propri diritti civili e politici. Oggi i curdi nel mondo sono 45 milioni. I governi di Turchia, Iran e Iraq di Saddam Hussein hanno sempre cercato di negare l’esistenza di questo popolo tentando di cancellarne la cultura, la storia, la lingua e talvolta negando anche il diritto di un documento di identità. La repressione a cui sono stati sottoposti in Iraq e a cui oggi sono sottoposti in altri paesi è stata durissima: torture, processi sommari, incarcerazioni, repressione violenta, fanno della storia passata e attuale di questo popolo, che abita un territorio ricco di petrolio (il 70% del petrolio si trova nel Kurdistan iracheno) e risorse naturali, una storia assolutamente unica a cui il popolo curdo non ha intenzione di rinunciare. La ricchezza del territorio è una delle principali ragioni per cui Turchia, Iran, Siria rifiutano a questo popolo il riconoscimento dei più basilari diritti civili e politici, negando di fatto la sua stessa esistenza”. Una negazione che ha esordi che risalgono all’Impero Ottomano e che continua ancora oggi nel quasi totale silenzio, di fatto omertoso e complice, della comunità internazionale. La Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa ha più volte ribadito come in Turchia non siano garantiti ai curdi i fondamentali diritti umani, quali quelli di espressione, di assemblea e associazione.
In questi anni il mondo occidentale ha assistito in maniera troppo passiva e indifferente a genocidi e violenze di ogni tipo, tanto da poter parlare, dice Rossi, “di un comportamento da omissione di soccorso”. Internet e le nuove tecnologie, continua il Presidente, hanno portato la guerra fin dentro i nostri smartphone, ma al contempo ci hanno forse allontanati e distaccati rendendoci più anestetizzati di fronte all’orrore, quasi ci avessimo fatto l’abitudine, e rendendo questa e altre tragedie sempre più familiari ed estranee. Ma questa estraneità non deve tradursi in complicità rispetto alle stragi che si consumano: “L’Europa, gli Stati Uniti e i paesi arabi moderati avrebbero dovuto intervenire con una forza di polizia internazionale e sottrarsi così al complesso della paralisi di chi ritiene che la prima mossa la debbano fare sempre gli altri”. Infine Rossi conclude dicendo che “in quelle terre ancora oggi si muore per mano dei terroristi di Daesh, per quelli che sono oggi i nazifascisti del XXI secolo e che per questo dobbiamo dire grazie a tutti quegli uomini e a tutte quelle donne che si sono messi al servizio della libertà anteponendola alla propria vita. Cosi ha fatto e sta facendo il popolo curdo. La presenza di Kosrat ci riporta forzatamente a una realtà che troppo spesso tendiamo a ignorare o a vedere come distante ed estranea. Quello con il popolo curdo è un legame vero. Noi abbiamo un debito con questo popolo che giustamente oggi sta combattendo per vedere riconosciuto il suo ruolo in prima linea nella lotta che porta avanti per conto della comunità internazionale contro il terrorismo. Il progresso della democrazia nel Kurdistan e l’unità e la solidarietà delle sue forze politiche sono valori preziosi per tutti noi e per chiunque lavori per un mondo di libertà e tolleranza. Per tutto questo la Regione Toscana che nel Kurdistan è variamente presente, desidera dare un segnale forte di gratitudine assegnando il suo principale riconoscimento a un rappresentante del coraggio, dello spirito unitario e dell’apertura di questo popolo”.
Dopo le parole di Rossi la cerimonia è proseguita con la proiezione di un filmato sulla biografia di Konsrat e infine quest’ultimo ha preso parola, ringraziando il presidente per questo premio alla sua persona ma che però in realtà è un premio per il popolo curdo e in particolar modo per i partigiani curdi che stanno lottando per la libertà: “Ringrazio perciò a nome di tutti i peshmerga”, dice Konsrat, “oggi tutto il mondo conosce i peshmerga e la loro battaglia per la libertà e la democrazia. Oggi tutti sanno che la situazione del Kurdistan è una situazione drammatica: stiamo vivendo la crisi economica, siamo perseguitati e siamo in guerra contro il terrorismo. Bisogna fare sapere che lungo un fronte di 1200 km ci sono i nsotri peshmerga a combattere il terrorismo e per la democrazia, la libertà e contro la piaga nera e distruttiva del XXI secolo”.
L’altro riconoscimento della regione Toscana a Konsrat rappresenta quindi un invito a rendere più forte il legame con il popolo curdo, nella consapevolezza che , come afferma Rossi nelle conclusioni finali, “la sua lotta per la libertà è fatta anche in nome e per conto dell’occidente e quindi anche in nome e per conto dei cittadini della Toscana”.
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