Lunedì, 26 Dicembre 2016 00:00

Nuova svolta in Medio Oriente

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Nuova svolta in Medio Oriente (a dieci mani)

La guerra civile siriana ormai giunta al suo quinto anno ha vissuto molti episodi di svolta che apparivano decisivi e si sono poi rivelati quantomeno effimeri. La verità è che il contesto in cui si inserisce vede un quadro geopolitico in cui le principali potenze emergenti del mondo sempre più multipolare si scontrano con l’Impero decadente americano che adotta strategie pericolosamente affini a quelle dell’Isis e delle varie formazioni jihadiste. Questa settimana proponiamo un’analisi dell’ultima svolta dettata dalla riconquista del fronte governativo siriano della città di Aleppo, in concomitanza, o quasi, con l’omicidio in Turchia dell’ambasciatore russo Andrey Karlov.

Roberto Capizzi

Quanto accaduto ad Aleppo, e sul racconto unilaterale che ne è stato fatto saranno necessarie altre riflessioni, rappresenta un punto di svolta fondamentale nella crisi siriana anche se, purtroppo, non definitivo.

Tante sono infatti le incognite sul tavolo. Da un lato la spaccatura presente nella società siriana, esacerbata dalla guerra civile ma preesistente per evidenti storture del sistema, complicherà gli ulteriori tentativi di ricomposizione (anche se dopo la liberazione di Aleppo il Ba'ath tratterà da una posizione di forza).

Dall'altro lato, il fuoco che covava sotto la cenere è stato sospinto da attori regionali ed internazionali che hanno esteso (e forse generato) la crisi ad altri Paesi, in primo luogo l'Iraq. L'insoddisfazione in gran parte prescindente dai rapporti tra etnie (e dentro le etnie) e confessioni religiose ed oggi diventata odio sarà difficile da sedare.

Ci vorrà una grande capacità di mediazione e meno intromissioni da autoproclamati "amici della Siria" per ricostruire non solo le case, ma le relazioni umane, le famiglie, i rapporti tra le comunità. Servirà un Togliatti che nei prossimi anni costruisca edifici ed insieme fiducia e perdono.

A noi da qui, rimane il fastidio e l'imbarazzo per il tifo e l'esigenza di un movimento per la pace non a rimorchio della NATO (e i generici appelli "alla pace" suscitano fastidio per la loro stupidità) ma anche capace di criticare, per il verso opposto, l'Iran o la Russia, ma soprattutto in grado di incidere sulle scelte di politica estera del nostro Paese.


Alex Marsaglia

La guerra è parte fondamentale della strategia del caos adottata dall’imperialismo in questa fase che si è aperta con la caduta dell’Unione Sovietica.

L’imperialismo con questa strategia mira a continuare, stavolta totalmente indisturbato, le politica predatoria di accumulazione per espropriazione. Le forme variano e si rinnovano rispetto a quelle classiche conosciute negli scorsi due secoli, ma nella sostanza continuano a nutrirsi della medesima linfa.

La Libia rappresenta solo l’ultimo esempio eclatante di come si possa esercitare questa nuova accumulazione per espropriazione, con un Paese sovrano letteralmente fatto a pezzi e smembrato per essere diviso in aree ad uso e consumo delle multinazionali con sede nelle potenze neocoloniali occidentali.

La Siria, per fortuna, ha saputo come difendersi e per ora resiste soprattutto grazie all’aiuto esterno degli alleati che in questo caso non è mancato. 

L’ultima strategia per minare la situazione siriana è rappresentata dalla retorica sul presunto olocausto di Aleppo. Intendiamoci, che quella in Siria sia una guerra civile tra le più sanguinose della storia è un fatto. Altrettanto certa è però l’induzione di questa guerra civile, alimentata per precisi interessi economici e politici. Con la riconquista di Aleppo e con il tavolo di pace di Mosca, per saldare quella che ironicamente Il Sole 24 Ore ha definito “la nuova Trojka” (vedi qui), si sta affermando la volontà di chi si impegna ad arginare questa strategia del caos.

E l’imperialismo risponde nell’unico modo che conosce in questa fase, cioè alimentando ulteriore caos nell’anello più debole del nuovo asse russo-turco-iraniano. Ecco che è in questo contesto che si inserisce l’attentato all’ambasciatore russo in Turchia Karlov (ex ambasciatore in Corea del Nord) da parte di Mert Altintas, un ex poliziotto turco che frequentò scuole appartenenti alla rete di Fethullah Gulen.

Infine, oggi è più opportuno che mai ricostruire un movimento pacifista internazionale, ma occorre farlo con cognizione di causa. E per farlo occorre sapere che le guerre sono il principale strumento dell’imperialismo e che si inseriscono in strategie ben precise a cui occorre rispondere con l’internazionalismo. Solo così il pacifismo può diventare un argine indispensabile al dilagare della violenza, altrimenti rischia di divenire sterile o peggio strumentale al potere che muove tali guerre.


Dmitrij Palagi

Rischiamo di apparire imbarazzanti alle prossime generazioni. il movimento pacifista è passato dall'essere "la seconda potenza mondiale" (come veniva chiamata l'opposizione alle guerre promosse da Bush jr) ad una confusa piccola realtà

Le primavere arabe, i premi nobel della pace ad Obama ed Unione Europea, il silenzio durante la distruzione della Libia, le campagne di denuncia del regime sanguinario di Assad, l'imbarazzante propaganda contro l'Iran (smentita clamorosamente dagli accordi recenti), la rimozione di quanto portato avanti dalle destre sioniste ai danni del popolo palestinese.

Siamo tornati indietro di quasi due decenni. Dopo il 2001 era emotivamente più facile accusarci (come facevano Ferrara e Fallaci) di essere "amici dei terroristi" e "dei dittatori". Oggi incredibilmente sono le realtà della sinistra occidentale a riportare acriticamente i bollettini del sistema di informazione atlantico. 

Sembra che ci si debba schierare con un blocco di interessi o con un altro (russo o Nato che sia), anziché ribadire con forza che la violenza e la guerra non sono i giusti strumenti di riscatto (se non in casi estremi come fu la Resistenza italiana). 

Una sola osservazione su Aleppo: i "massacri" russi e del governo di Assad sembrano aver cancellato i crimini statunitensi ed israeliani nell'area. Guantanamo è stata chiusa? I diritti umani vengono rispettati nella nostra guerra globale al terrore? Che credibilità hanno i giornalisti impegnati da una sola città a commentare i fatti di mezzo mondo, basandosi su comunicati stampa e bollettini ufficiali?

Recuperare una capacità di analisi è diventato imprescindibile: siamo già in ritardo.


Jacopo Vannucchi

La campagna mediatica sul presunto olocausto in corso ad Aleppo ha presentato una marea di falle. Non poteva essere altrimenti, visto che si tratta del terzo disperato tentativo dei circoli imperialisti di influenzare l’opinione pubblica occidentale sul tema Siria: in primis provarono a raccontarci che i nemici armati del governo laico e socialista di Assad fossero giovani acculturati genuinamente interessati alla democrazia liberale (più o meno come la generazione Erasmus che poi vota Grillo, insomma); poi, con l’irrompere sulla scena di Daesh e di altre forme di caos, ripiegarono su una interessante distinzione tra terroristi autentici (Daesh) e ribelli “moderati” (al-Qaeda).

Ora, una prima falla nel racconto mediatico è che gli olocausti in atto nella regione sono stati condotti da Daesh contro le minoranze religiose cristiana e yazida, mentre ad Aleppo non è in corso alcun tipo di genocidio. Una seconda falla è che i responsabili degli attacchi mirati ai civili aleppini non sono le forze russo-siriane bensì i terroristi, che bombardano i convogli dei profughi chiedendo un riscatto monetario per lasciare libero il passaggio.

Ma parlare di Aleppo come di una situazione piovuta dal cielo, senza fare riferimento diretto e dettagliato alle singole forze in campo, alla effettiva situazione locale, non è soltanto aberrante dal punto di vista politico e informativo: è invece un punto di forza veementemente rivendicato sulla tv israeliana dalla giornalista Lucy Amarish durante un accorato appello “per Aleppo”: «Non chiedetemi chi ha ragione e chi ha torto, chi sono i buoni e chi i cattivi, perché nessuno lo sa. E francamente, non importa». Fa un certo effetto sapere che dobbiamo versare litri di lacrime su Aleppo senza però curarci dei responsabili; e provate a rileggervi quelle frasi immaginandole riferite alle stragi europee del 1944-45: cui prodest? Chiaramente agli effettivi responsabili di queste stragi, ossia a chi da sei anni lavora per la destabilizzazione del Medio Oriente e del Mediterraneo. 

La questione interessante dal punto di vista sociologico diventa un’altra: stante la xenofobia e l’infatuazione putiniana delle destre europee, l’indistinto e “a prescindere” appello per Aleppo ha trovato sponde in Occidente solo nella sinistra liberal, quella che pensa che la post-verità (ma perché non si può più chiamarla “propaganda” come ai tempi di Goebbels?) sia un amo dei populismi a cui abboccano solo i poco istruiti – con cui loro, la sinistra liberal, chiaramente non hanno a che fare.

Alla luce di tutto ciò – che è soltanto la classica punta dell’iceberg – la guerra di Siria e Iraq denunzia l’assenza di una politica estera europea, tanto più grave in quanto le forze eversive sono invece in grado di articolare una, seppure in una visione estremamente confusa i cui riferimenti si estendono da Assad a Trump.


Alessandro Zabban

L'elezione di Trump portava con sé molte preoccupazioni ma anche qualche flebile speranza di un eventuale miglioramento dei rapporti, finora molto tesi, fra gli Stati Uniti e la Russia. Situazione che rendeva possibile ipotizzare scenari di disgelo nell'ambito della continuazione di una guerra fredda fra potenze imperialiste che sta insanguinando da anni il Medio Oriente.

La realtà è che invece gli interessi economici e politici in gioco nell'area sono così cruciali che le tensioni invece di allentarsi, sembrano inacerbirsi sempre più. A pagarne il prezzo più alto è ovviamente la Siria, lacerata da una guerra che solo ora con la liberazione di Aleppo comincia a intravedere qualche debolissimo spiraglio di luce. Da noi in Europa, gli echi di questo conflitto giungono da un sistema mass-mediatico al limite del ridicolo, confermando una volta di più, se mai ce ne fosse bisogno, l'importanza fondamentale dell'aspetto ideologico nel giustificare i disastri portati avanti dall'imperialismo occidentale.

La battaglia che è infuriata per le strade di Aleppo ha ovviamente portato con sé distruzione e morte ma era inevitabile in un contesto in cui i jihadisti combattano casa per casa e si nascondono in scuole, ospedali, si mischiano insieme ai civili, li usano come scudi umani. Sull'altro fronte, quello che vede impegnato l'esercito iracheno coadiuvato dagli USA, le vittime fra i civili non si contano e appare ormai evidente che quando si decideranno a riprendere Mosul dall'ISIS si andrà incontro a un'altra terribile carneficina.

Ma a quanto pare per la stampa occidentale gli unici a commettere atrocità sono Assad e Putin. Del resto il materiale per gli articoli che leggiamo ogni giorno sui principali quotidiani nazionali proviene dal rigorosissimo Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, diretto dall'oppositore al regime siriano Rami Abdel Rahman dalla sua residenza nella campagna inglese e finanziato dall'Unione Europea. Il discredito di cui gode questo presunto istituto è cosa assai nota, ma ciò non ha impedito affatto di usarlo per rigirare la realtà per il proprio tornaconto, senza alcun filtro. Normale che poi molte persone finiscano per simpatizzare per Putin e i suoi alleati. Ma anche questo è un errore perché si cade vittima della stessa fallacia: pensare che ci siano i buoni da una parte e i cattivi dall'altra. Purtroppo la realtà è molto più complessa e occorre analizzarla a partire dagli interessi imperialisti contrapposti fra le grandi potenze mondiali.

Immagine liberamente ripresa da www.nena-news.it

Ultima modifica il Domenica, 25 Dicembre 2016 22:21
Dieci Mani

Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al "tema della settimana". Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).

A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.

www.ilbecco.it/diecimani.html
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