Una democrazia d’ancien régime
Maître à penser d’annata e giornalisti di fama più o meno larga hanno espresso la loro autorevole opinione sull’esito delle elezioni presidenziali americane. La vittoria di Donald Trump – secondo costoro - è dovuta in gran parte, se non esclusivamente, al voto degli operai bianchi della cosiddetta rust belt (cintura della ruggine), ovvero le città e le contee un tempo sedi di grandi industrie – per lo più siderurgiche e meccaniche - che dagli anni ottanta hanno subito un drastico processo di deindustrializzazione.
Stati Uniti: catastrofe post Obama? (a dieci mani)
Il 10 gennaio, a quasi dieci anni dall’annuncio della candidatura alle primarie (10 febbraio 2007), Obama ha tenuto a Chicago il discorso di commiato alla nazione. Alla porta della Casa Bianca lo accompagnano 75 mesi di espansione occupazionale, un tasso di approvazione che sfiora il 60% e lo colloca al medesimo gradimento di fine mandato di altri popolari Presidenti (Eisenhower, Reagan e Clinton) e la convinzione – espressa poche settimane fa – che se la Costituzione gli avesse consentito un terzo mandato avrebbe potuto ottenerlo battendo Trump.
Questa convinzione è riecheggiata nel grido «Four more years» scandito a Chicago una folla ben più vasta di quella radunata in campagna elettorale da Hillary Clinton.
Ancora una volta il Presidente uscente ha tentato di salvaguardare il rispetto istituzionale ed evitato qualsiasi polemica verso il suo successore, cui ha assicurato «una transizione il più agevole possibile, proprio come il Presidente Bush fece per me», nonostante decine di parlamentari democratici stiano contestando la legittimità di Trump come Presidente.
Ma in effetti, oltre a difendere la propria eredità, Obama ha messo in guardia contro i quattro pericoli che a suo avviso minacciano la democrazia: l’iniquità sociale, il razzismo, il fanatismo politico e, soprattutto, la separazione tra cittadini e partecipazione politica.
Il 16 agosto uno degli amministratori della pagina condivideva sulla bacheca di “Being Liberal”, comunità Facebook con un milione e mezzo di seguaci e tra i punti di riferimento web della sinistra statunitense, un articolo di Salon (rivista web anch’essa di orientamento liberal) dal titolo “Perché i sostenitori di Sanders non possono appoggiare Gary Johnson: il suo libertarismo è antitetico al socialismo democratico del senatore”.
A introduzione del link, l’amministratore – identificato semplicemente come (W) – citava un passo dell’articolo stesso:
«Il libertarismo può suonare bene sulla carta – promuovere l’individualismo e la massima libertà; ma nella pratica le sue dottrine laissez faire porterebbero alla tirannia delle grandi imprese, l’esatto contrario della libertà (i libertari sono così ossessionati dalla minaccia della tirannia governativa da sembrare incapaci persino di prendere in considerazione la ben reale minaccia della tirannia privata, o, come l’ha definita Noam Chomsky, “tirannia di concentrazioni private di ricchezza non responsabili di fronte ai cittadini”)».
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