Sul reddito di cittadinanza (dopo le elezioni)
La vittoria del M5S al Sud ha fatto grande scalpore, essendo riuscito a sbaragliare tutte le alternative.
La maggioranza dei commentatori ha attribuito la capacità di attirare consensi alla promessa di un reddito di cittadinanza. Questa promessa in un territorio dalla disoccupazione altissima e in cui si è tornati all'emigrazione di massa, secondo molti, è risultata determinante per la vittoria.
Reddito di Cittadinanza: Emancipazione dal lavoro o lavoro coatto?
In tempi di crisi sociale e stentata fuoriuscita dalla recessione il dibattito sul reddito di cittadinanza diventa un nodo centrale da affrontare. Soprattutto se non si dimenticano i dati che fotografano una realtà sociale mai veramente uscita dalla crisi, nonostante si sia tornati a parlare di crescita del PIL e della produzione industriale. I dati sulla povertà lo dimostrano e la diffusione di mini-jobs che seguono alla stucchevole vicenda dei voucher prima aboliti e poi reintrodotti e delle varie forme di lavoro precario, ci ricordano come la crisi economica non abbia fatto altro che scaricarsi sulla società in forme sempre più violente.
Mentre si viaggia a passo spedito verso un’ammucchiata parlamentare in grado di costituire un nuovo governo di larghe intese che si appresterà a calare la scure dell’austerità, il dibattito sull’assenza di lavoro e le crescenti difficoltà economiche continua. Se il M5S si affanna e tenta di promuovere una blanda forma di reddito di cittadinanza, il Papa stesso non manca di dire la sua, ricordando come vi sia «necessità non di un reddito per tutti, ma di un lavoro per tutti».
In difesa della causa persa del reddito di cittadinanza
Mentre il governo va in difficoltà a causa della sentenza della Consulta che stabilisce l'incostituzionalità dello stop alla rivalutazione automatica delle pensioni per gli assegni superiori a tre volte il minimo stabilito dalla riforma Fornero; mentre si parla ormai pacificamente in ambito internazionale di "bombardare i barconi" tra una preghiera di Papa Francesco e un incontro con Ban Ki Moon, arriva quello che non ti aspetti, ossia la proposta di un "reddito di cittadinanza" da parte di un M5S in evidente difficoltà politica. La proposta, scippata alla sinistra e un po' abborracciata, è stata lanciata in grande stile con la marcia Perugia-Assisi del 9 maggio, i banchetti nel week-end e le comparsate televisive nei talk-show, come quella di lunedì di A. Di Battista a Quinta Colonna dove ha sempre spadroneggiato il populismo destroso di Salvini e compagnia, è il sintomo della disperazione che si palesa con una sfida anche nel territorio nemico. Quello che cercherò di chiarire è che purtroppo l'esito di questa sfida temo proprio sia già scritto.
Intervista a Giovanni Mazzetti, il cui ultimo libro è uscito da poco: Dare di più ai Padri per far avere di più ai figli, di cui consigliamo la lettura e su cui contiamo di tornare nelle prossime settimane.
1) A inizio Luglio sei intervenuto per la seconda volta in due settimane nel dibattito avviato su “Sbilanciamoci”, con l’articolo “La torre di Babele della sinistra”, nel quale, eri evidentemente mosso dallo sconforto per l’andamento del dibattito, ma anche fiducioso sulle sue potenzialità; ad oltre due mesi e dopo un'altra decina di contributi che bilancio trai dal tuo “appello”?
Sono convinto che la situazione attuale sia senza speranza. Appena le argomentazioni causano la suscettibilità di qualcuno degli interlocutori tutto finisce su un binario morto. La maggior parte dei compagni ha paura del disorientamento che viene causato dal confrontarsi con argomentazioni critiche che non si riescono ad afferrare immediatamente e chiude i canali di comunicazione. Se tu sostieni apertamente, come ho fatto, che la rivendicazione del “reddito di cittadinanza” – non dell’indennità di disoccupazione che la storia ha dimostrato essere un sacrosanto espediente di fronte all’incapacità di creare il lavoro necessario – rappresenta una forma di parassitismo, scoppia lo scandalo. È indicativo che né il manifesto, né Sbilanciamoci abbiano voluto pubblicare un mio articolo nel quale cercavo di dimostrare che, invece di una cultura alternativa, la sinistra radicale sta producendo una mediocre poltiglia consolatoria. Come ricordava Danilo Dolci citando un vecchio proverbio siciliano “chi gioca solo non perde mai”. Purtroppo però il gioco che c’è nella società va avanti senza di lui,
2) Come continueresti il confronto, presupponendo la chiave che proponevi nell’articolo: L’idea che – i propri progetti - debbono legarsi con il progetto, l’attività, i mattoni e la calce degli altri?
Il problema è che la calce degli altri deve essere disponibile, e cioè deve entrare nel processo di “costruzione” del sapere alternativo. Se gli altri si ritraggono impauriti e non mettono a disposizione la loro calce, cioè non si scontrano con te argomentando in maniera critica, tu resti senza materiale. Se tu ricostruisci il processo di formazione di Marx, dagli scritti giovanili per la Reihnische Zeitung, alla Sacra Famiglia, alla Miseria della filosofia, perfino al Manifesto, troverai ovunque che egli ha svolto un percorso di differenziazione che procedeva proprio perché quelli dai quali dissentiva non avevano timore a manifestare la loro posizione. Per fortuna qualche studioso capace di un’interazione c’è. Marino Badiale, ad esempio, ha fatto una lunga critica alle mie posizioni contro la decrescita che non mi trovano d’accordo, ma che nel tono e nel contenuto sono dirette a generare un confronto. Tutto l’opposto di quello che i sostenitori del “reddito di cittadinanza” hanno fatto fin dalla mia radicale critica del 1997 in Quel pane da spartire.
3) La critica che sviluppi nell’articolo alle posizioni di Bevilacqua e Bascetta, cosa lascia di propositivo nelle loro posizioni che può “legarsi” con le altre che elenchi con precisione ad inizio articolo?
Alcuni sostenitori del “reddito di cittadinanza” partono da un argomento che, formulato in maniera analitica, è condivisibile. Non tutti usano espressioni adeguate, tant’è vero che in molti usano pedissequamente l’argomento rifkiniano de “la file del lavoro”. Ma qualcuno è un po’ meno grossolano e sostiene che è diventato difficile riprodurre il rapporto di lavoro salariato. Lo stesso Bevilacqua muoveva timidamente in questa direzione, anche se poi non ne faceva la struttura portante del discorso. Il perché, a mio avviso, è presto detto: nessuno o quasi nessuno a sinistra vuole non sentirsi “libero”. Cioè accetta di non attribuire alle proprie posizioni l’attributo di scaturire da un atto di libertà. Ma il problema non è quello di agire sulla base delle nostre determinazioni arbitrarie, quando di affrontare le questioni per come si presentano oggettivamente nella dinamica sociale. Per questo non è una questione di libertà scegliere tra “reddito di cittadinanza” e reddito connesso alla partecipazione al lavoro resa possibile dalle sua redistribuzione tra tutti.
4) A conclusione del tuo “Contro i sacrifici Governo di tecnici o congrega di maldestri stregoni?”, elenchi una serie di punti dove prevalgono i termini: recupero della consapevolezza, approfondimento, elaborazione, che definisci come necessità di un processo di formazione. Quanto bisogno c’è di formazione a sinistra? E in che rapporto sta con la mobilitazione, che a sinistra sempre si invoca?
Quando descrivo la situazione culturale attuale della sinistra – anche di quella radicale – uso l’espressione “analfabeti della socialità”. Con questi termini intendo dire che i militanti non conoscono l’ABC dei rapporti sociali e del modo in cui sono emersi attraverso lo sviluppo storico. Essi condividono l’illusione borghese di essere già degli individui socialmente consapevoli. Per loro gli elementi dinamici propri dell’approccio relazionale sono acquisiti solo in forma talmente rozza da non consentire alcun passo avanti. Come sai per alcuni anni ho fatto parte del Dipartimento Formazione del Partito della Rifondazione Comunista con Bruno Morandi, ma da quel lavoro non è scaturito altro che la casuale influenza su questo o quel militante, perché il partito non sentiva alcun bisogno di un processo di formazione. Con i risultati che tutti possiamo constatare.
5) A primavera hai tenuto un ciclo di quattro seminari di Alta formazione, come sono andati? Emerge da questa esperienza un indicazione utile per una sua riproduzione anche da altre parti?
I seminari sono andati bene nel senso che hanno visto una buona partecipazione. E credo che li ripeterò nei prossimi mesi. Tuttavia per fare un passo avanti ci sarebbe bisogno di una istituzionalizzazione della cosa, nella quale il processo di costruzione di un sapere alternativo non viene lasciato al personale coinvolgimento dei militanti che vi partecipano.
Immagine tratta da rosswolfe.wordpress.com
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