Di Luigi Vinci
Articolo pubblicato sul quarto numero cartaceo de Il Becco
Una constatazione di tutte o quasi tutte le popolazioni dell'Unione Europea, e di paesi dentro all'area economica europea, ma non nell'UE, come quelle di Svizzera, Islanda, Norvegia, è che l'UE si sia trasformata in una matrigna punitiva senza un motivo razionale. Di conseguenza aspirano all'entrata nell'UE solo quote urbane di popolazioni collocate verso est, come quelle di Turchia, Ucraina, paesi dei Balcani occidentali, perché vi sopravvive l'immagine di un'area di prosperità e di libertà, defunta altrove.
Discutere di Europa, oggi, in Italia, non è affatto facile. Da una parte abbiamo gli anti europeisti intransigenti, coloro che vorrebbero rigettare qualunque trattato ed uscire immediatamente dall'Euro (quali potrebbero essere le conseguenze non è un dato preso in considerazione). Dall'altra ci sono quelli si sono arresi all'evidenza dei fatti e sono stati costretti dalla realtà a cominciare ad accennare qualche critica alla costruzione europea così come la conosciamo oggi. Finanziarizzazione selvaggia, rincorsa all'ultima respiro del pareggio di bilancio e del contenimento dell'inflazione ne hanno fatto una gabbia opprimente che, di fatto, affama i grandi numeri e lascia indisturbata le minoranze agiate.
La vittoria elettorale del candidato dell’Unione Democratica di centrodestra Nikos Anastasiades nel secondo turno delle elezioni politiche dello scorso 24 febbraio ha aperto le porte di Cipro alla Troika. La linea dell’austerità, dell’euro e del salvataggio di un’economia prossima al tracollo, ha prevalso su un più radicale programma di difesa dei salari e di uso della spesa pubblica per creare lavoro proposto dal candidato sconfitto al ballottaggio, l’indipendente Stavros Malas, sostenuto dal partito comunista Akel, che si è fermato al 42,53% dei suffragi.
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