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Comunismo e lotta di classe in India:
intervista a Gopal Chandra Ganguly, membro storico del partito comunista indiano
Gopal Chandra Ganguly vive a Calcutta ed è un membro storico del Partito Comunista Indiano (Communist Party of India, CPI). Nato nel 1922 a Dhaka (attualmente in Bangladesh), ha sentito fin da giovanissimo la necessità di lottare per un'India libera e contro la dominazione coloniale britannica. La sua adesione e militanza all'interno del celebre movimento di liberazione nazionale “Quit India”, gli è costata 18 mesi di prigionia. Nel 1946, subito dopo la sua scarcerazione, si è iscritto al Partito Comunista nel quale ha ricoperto varie posizioni. All’età di 95 anni, vive ancora nella speranza che un giorno il mondo sarà un posto migliore, senza classi sociali né oppressione. Nonostante lo stato di salute precario e le difficoltà a scrivere, è stato felice di rispondere per e-mail alle nostre domande.
“Perché il governo sta portando avanti una campagna di rastrellamento nelle zone in cui siamo più radicati […]? Rastrellamento significa distruggere tutto. Chiunque può essere ucciso, arrestato, abbandonato o violentato e la proprietà, le case, il raccolto e tutto può essere distrutto. Tutto questo non è altro che un regime fascista”
Con queste parole il Segretario Generale del movimento maoista rivoluzionario (CPI), conosciuto con lo pseudonimo di Ganapathi, ha messo in luce ciò che si nasconde dietro la massiccia offensiva condotta a tutto campo dalle forze governative contro le milizie rosse presenti nella zona centrale e orientale dell’India (per un articolo introduttivo sulla lotta armata in India clicca qua). Coniata dai media con l’etichetta di “Green Hunt”, l’operazione riflette in pieno quella che è la preoccupazione delle elité liberali rispetto all’intensificazione della lotta armata condotta dalla guerriglia cosiddetta “naxalita” nel corso di tutto lo scorso decennio. Il governo di Delhi
L’11 Ottobre di 10 anni fa, veniva annunciata la nascita del Partito Comunista Indiano (maoista), fusione dei due principali movimenti comunisti illegali attivi nel Paese, il CPI (marxista-leninista) e l’MCCI (Centro Comunista Maoista Indiano) dando nuovo vigore alla lotta armata e insurrezionalista, comunque già esistente in India dagli anni ’60.
Il nuovo movimento, coniugando l’ideologia marxista-leninista con quella maoista, rifiuta il sistema parlamentare e democratico indiano, viste come uno specchietto per le allodole dietro al quale si nasconde invece un impianto statale ancora estremamente oligopolistico e semi-feudale. I maoisti denunciano una situazione economica e sociale insostenibile. Nelle campagne, pochi proprietari terrieri dispongono del grosso delle ricchezze e obbligano le popolazioni tribali a vivere in condizioni economiche ed igieniche pessime mentre, nelle città, un esercito di proletari è costretta a turni massacranti di 12-14 ore in cambio di uno stipendio appena in grado di riprodurre le loro condizioni materiali di esistenza.
Un altro bel film apparso alla mostra del Cinema di Venezia, seppur non in concorso, è “Siddharth”, di Richie Mehta e interpretato dal bravo Rajesh Tailang – anche autore dei dialoghi – e dalla bella e altrettanto intensa Tannishtha Chatterjee. Siamo a New Delhi. Mahendra lavora come riparatore di cerniere – di qualsiasi oggetto, dai vestiti alle borse.. – e ha una moglie e due figli, una bimba piccola e il dodicenne Siddharth (detto Siddhu). Proprio su quest’ultimo ruota tutta la vicenda del film. O meglio sull’assenza, sulla scomparsa del bambino. Mehendra lo aveva infatti mandato a lavorare a Ludhiana, in una fabbrica di un conoscente del cognato, il quale aveva saputo che il proprietario cercava un ragazzino per muoversi e utilizzare i macchinari con più destrezza
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