Ci sono notizie che non fanno notizia e battaglie che sembrano provenire dalle retrovie, schegge, rumori di fondo di una società omologata e saldamente ancorata al buon senso e opinione comune. Un drappello di mamme del Comune di Impruneta contesta la chiusura dell’asilo nido comunale, con una lettera lanciata alla stampa, che pubblichiamo volentieri ritenendo che si tratti di un segnale da raccogliere.
La nostra riflessione parte dal caso in questione come segno dei nostri tempi.
Quando si parla di nuove identità e nuovi processi del lavoro, spesso si tralascia il variegato universo del precariato nei servizi socio educativi. Stranamente, perché tali servizi sono quelli che subiscono nella maniera più prepotente la frammentazione delle tutele e dei diritti di welfare che, attraversando venti e più anni di politica italiana, ricongiunge il suo volto più feroce alle logiche della spending review e dello svuotamento della valenza sociale di tali diritti.
“L'asilo nido è una istituzione di carattere assistenziale ed educativo derivante da esigenze della società moderna: la madre, pur avendo il diritto di usufruire di periodi di assenza dal lavoro per il primo anno di vita del bambino, ha spesso difficoltà a provvedere all'assistenza del piccolo; qui si inserisce il nido, che le viene in aiuto accogliendo minori dai tre mesi ai 3 anni di età.” Questa è la definizione che viene fornita da wikipedia quando cerchiamo asilo nido.
In Italia questa istituzione nasce in ritardo rispetto al resto dell’Europa, soprattutto se ci riferiamo a quello pubblico. La legge che li istituisce è la 1044 del 1971, che definisce il nido come un servizio sociale di interesse pubblico, sottolineando così la sua funzione assistenzialistica e non educativa-sociale. Come possiamo notare, la nascita di questo servizio coincide con il momento del boom-economico, quando le donne entrano in maniera massiccia e significativa nel mondo del lavoro, e necessitano quindi di aiuti e di un welfare che permette loro di uscire di casa senza ulteriori preoccupazioni. Ed ecco perché il riferimento solo al carattere assistenziale, tipo parcheggio, dell’asilo.
In realtà le finalità di un nido sono altre: educative, affiancando i genitori nella crescita dei loro figli; sociali, offrendo ai bambini un luogo di socializzazione e di relazione con altri bambini loro coetanei; culturali, in quanto offrono un modello culturale che non opera discriminazioni nell’erogazione del servizio, e inoltre sono luoghi di promozione. Oggi, purtroppo, il valore sociale dell’asilo si sta smarrendo, dimenticandoci, così, la sua reale importanza.
È notizia di pochi giorni fa che le iscrizioni agli asili nido sono in netto calo anche nella fiorente e ridente Toscana. “Non abbiamo ancora dati definitivi sul fenomeno – ha dichiarato Stella Targetti, assessore regionale alla Pubblica Istruzione – ma questo ci dicono Comuni, soggetti del privato sociale e operatori del settore. Sono preoccupata per una tendenza che emerge e che, oltretutto, ha anche una ricaduta negativa sull’occupazione. La tendenza a iscrivere numeri sempre minori di bambini ai nidi è chiara ed è diretta conseguenza della grave situazione economica, che colpisce in particolare donne e giovani”.
Il nido diventa un lusso per un numero sempre maggiore di famiglie. Questa è la cartina di tornasole di una crisi che colpisce duro da farci regredire agli anni Quaranta, con le mamme relegante in casa a badare ai figli. Le mamme che hanno perso lavoro si dedicano alla cura della casa e dichi vi abita, figli inclusi; a volte si fa ricorso, per risparmiare, ai nonni, sempre se questi siano in pensione o comunque disponibili. Una fotografia doppiamente sconvolgente. Da un lato perché evidenzia le difficoltà economiche delle famiglie, dall’altro perché gli esperti concordano sull’importanza di far frequentare ai bambini il nido. Certo, i servizi di infanzia costano, ma tutti i Comuni attuano politiche di riduzioni ed esoneri, pur di incentivare la partecipazione dei più piccoli.
L’isolamento casalingo dei bambini comporta anche dei problemi di sviluppo delle loro capacità relazionali; i nonni, pur svolgendo perfettamente il loro ruolo, non si possono sostituire ad educatrici ed educatori preparati e formati, e soprattutto, non posso diventare coetanei dei loro nipoti, condividendo con loro giochi e passioni. La situazione è dunque allarmante, ma non dimentichiamoci anche dall’altro aspetto della medaglia, cioè la perdita di posti di lavoro. Il calo di iscrizioni, fa, ovviamente, diminuire il numero di addetti e assistenti dentro gli asili, e spesso, chi vi opera, sono donne e ragazze, diventando così una crisi ciclica e senza uno spiraglio di uscita. Non voglio concludere con i soliti discorsi e riflessioni, e per questa volta le lascio fare a voi, sono state giuste le politiche adottate dal governo Berlusconi prima, e dal governo Monti poi, per incentivare il lavoro femminile e giovanile?
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