Sabato, 19 Aprile 2014 00:00

Asili nido e welfare: come mortificare le speranze

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Quando si parla di nuove identità e nuovi processi del lavoro, spesso si tralascia il variegato universo del precariato nei servizi socio educativi. Stranamente, perché tali servizi sono quelli che subiscono nella maniera più prepotente la frammentazione delle tutele e dei diritti di welfare che, attraversando venti e più anni di politica italiana, ricongiunge il suo volto più feroce alle logiche della spending review e dello svuotamento della valenza sociale di tali diritti.

Certo, va detto che l'ordinamento costituzionale non ha mai riconosciuto, almeno non direttamente, la funzione sociale dell'educazione prescolare. Se un qualche retaggio cattolico, la mancanza di un'economia solida capace di agganciarsi questa spesa pubblica e, non ultimo una certa quantità di sessismo e tradizionalismo familiare hanno, nei fatti, bloccato lo sviluppo di un sistema pubblico di asili nido, negli ultimi anni l'assenza dell'attore pubblico in queste politiche è divenuta drammatica, causando danni occupazionali e sociali. I mancati trasferimenti ai comuni hanno bloccato lo sviluppo di questo servizio aprendo, in maniera molto spinta, lo spazio ai privati, forieri di una babele contrattuale e salariale a tutto danno delle lavoratrici e dei lavoratori che vi operano e del divario territoriale, sempre più stridente. E la politica dei comuni ha fatto il resto: un'adesione supina al neoliberismo e alle sue peggiori espressioni hanno costituito il grosso dei provvedimenti amministrativi di questi ultimi anni in questi settori, con la complicità di settori della cooperazione in malafede e pur in presenza di una discreta opposizione sociale, limitata dalla triste assenza della sinistra in un numero crescente di civici consessi. E ha fatto il resto sia nell'ulteriore frammentazione ed esternalizzazione dei servizi, sia nella creazione di nuovo precariato e nuova discriminazione per i lavoratori.

Nella nostra Firenze, città (come del resto la regione tutta) con una storia largamente gloriosa di accoglienza e di servizi alla prima infanzia, succede che poco prima delle elezioni venga bandito un concorso per il reclutamento degli educatori di asilo nido. Un concorso atteso, pieno di speranze di stabilizzazione che, tuttavia, i lavoratori interessati accolgono in buona parte con delusione. Si, delusione, poiché i pochi posti a tempo indeterminato banditi sono tutti a tempo parziale e le speranze di una loro riconduzione a tempo pieno appaiono difficili. Difficoltà proveniente dalla struttura di spesa delle casse comunali, su cui gravano i vincoli di bilancio, sebbene la strada delle esternalizzazioni e degli appalti - pur seguita parzialmente da Palazzo Vecchio - si sia profilata come un inutile tentativo, peraltro costando più della gestione pubblica.

È stato ignorato il fatto che la tipologia a tempo parziale rischia di allargare il fenomeno del lavoro nero e della sottoccupazione, in assenza di lavori integrativi di qualità e tenendo conto della natura esclusiva del pubblico impiego oltre che, ovviamente, delle retribuzioni certamente insufficienti al sostentamento. Non basta: il concorso è unico per tempo determinato e indeterminato e non vi è traccia di un percorso di stabilizzazione sicuro, cosa che sarebbe stata certo gradita ai lavoratori, in vista dello Jobs Act renziano che prescriverebbe un limitato numero di contratti con la Pubblica Amministrazione a fronte di una prova d'esame certamente più complessa e gravosa per coloro che decideranno di cimentarsi nella selezione. Proprio la prova di selezione pare sia al centro delle proteste: infatti, oltre ad essere più complessa rispetto al passato, tende ad accertare competenze che, in alcuni casi, hanno poco a che spartire con la cura e l'assistenza dei bambini.

Su tutto ciò una nube di disorganizzazione, segnata da ambienti di lavoro che meriterebbero ben altra trasparenza e rispetto dei diritti, data anche l'elevata funzione sociale che sono chiamati a compiere. E sembra che questo bando sia “sperimentale”, forse un esperimento volto al migliore inserimento in organico delle unità: una logica inaccettabile che mortifica la dignità lavorativa delle educatrici e degli educatori a vantaggio della struttura e dell'efficienza economica. Il mondo a rovescio, specialmente se la struttura è parte dei pubblici poteri, verso i quali le donne – di cui è composta buona parte della forza lavoro nei servizi socioeducativi – vantano grossi crediti, specialmente sul terreno del diritto al lavoro e delle promesse mai mantenute in capo a quest'ultimo, che vede un accesso al mercato del lavoro ancora parecchio penalizzato per esse. È da sperare una discontinuità amministrativa, a Firenze, che svolti totalmente rispetto alle privatizzazioni e ripubblicizzi quei servizi che naturalmente non possono essere oggetto di profitto. Diritti, socialità, democrazia e lavoro, su un territorio ricucito e non più ostaggio di interessi forti e occulti sono parte della Firenze che molti cittadini vogliono.

E che sperano di poter salutare fra poco più di un mese, buttandosi alle spalle almeno un decennio di gestione aziendale della cosa pubblica comunale.

Ultima modifica il Venerdì, 18 Aprile 2014 23:15
Antonio D'Auria

Sono nato a Castellammare di Stabia, cuore operaio nel Golfo di Napoli, nel 1979. Sono educatore al Convitto Nazionale di Prato e militante in Rifondazione Comunista. Di formazione sociologica, il mio interesse è per il mondo della scuola, con particolare riguardo alle politiche culturali e alle implicazioni sociali.

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