I periodi di crisi, al di là dell'insopportabile aneddotica popolare sui caratteri cinesi, spingono le persone a trovare nuove categorie per spiegarsi ed agire sul mondo.
Vecchie concezioni ideologiche vengono spazzate via in quanto inadatte a spiegare fenomeni complessi di ordine morale e sociale, alle vecchie subentrano più o meno lentamente nuovi sistemi simbolici e quindi nuovi discorsi.
Le elezioni europee dello scorso 25 maggio hanno sicuramente avuto il pregio di consegnarci una chiara (nonostante la forte astensione) fotografia dello stato del Paese.
Senza dilungarci, lasciando l'analisi del dato elettorale ad altri: il Partito Democratico stravince con più del 40% dei consensi, aumenta i propri voti in assoluto e diviene primo partito tra quelli coalizzati attorno al PSE, riuscendo tra l'altro ad arginarne in gran parte l'arretramento; mentre la lista Tsipras di Spinelli e compagnia riesce a superare il quorum con uno scarso 4,03% (con cento-centocinquanta voti in più rispetto al risultato della Federazione della Sinistra nel 2009) quasi solamente grazie al calo dell'affluenza ed elegge tre europarlamentari, vale a dire Barbara Spinelli, Curzio Maltese ed Eleonora Forenza di Rifondazione Comunista.
E proprio dal dato delle europee è comodo partire per farsi un idea dello stato di salute della sinistra italiana e porsi la fatidica domanda, “che fare?”.
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