Domenica, 22 Giugno 2014 00:00

Il rischio di irrilevanza della sinistra italiana rimpiattata

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Le elezioni europee dello scorso 25 maggio hanno sicuramente avuto il pregio di consegnarci una chiara (nonostante la forte astensione) fotografia dello stato del Paese

Senza dilungarci, lasciando l'analisi del dato elettorale ad altri: il Partito Democratico  stravince con più del 40% dei consensi, aumenta i propri voti in assoluto e diviene primo partito tra quelli coalizzati attorno al PSE, riuscendo tra l'altro ad arginarne in gran parte l'arretramento; mentre la lista Tsipras di Spinelli e compagnia riesce a superare il quorum con uno scarso 4,03% (con cento-centocinquanta voti in più rispetto al risultato della Federazione della Sinistra nel 2009) quasi solamente grazie al calo dell'affluenza ed elegge tre europarlamentari, vale a dire Barbara Spinelli, Curzio Maltese ed Eleonora Forenza di Rifondazione Comunista. 

E proprio dal dato delle europee è comodo partire per farsi un idea dello stato di salute della sinistra italiana e porsi la fatidica domanda, “che fare?”.

Dal giorno dopo la chiusura dei seggi nessuno pare aver scommesso sulla capacità di tenuta di un cartello elettorale come “l'Altra Europa”, diviso tra le spinte interne ai due partiti sostenitori e l'arcigna tutela dei sempre più ingombranti “garanti”, specialmente dopo che, nonostante le dichiarazioni rilasciate in campagna elettorale, Barbara Spinelli ha deciso di non dimettersi da europarlamentare nella circoscrizione centro, tagliando fuori Marco Furfaro e Sinistra Ecologia e Libertà; tanto che pare che l'esperimento del listone Tsipras sia già stato messo in soffitta ovunque.

L'unico europarlamentare toccato alle forze partitiche della lista, più specificamente come già detto a Rifondazione, ad ora, stanti le dichiarazioni delle parti in causa, pare essere più un elemento di divisione e di rispettiva autoconservazione che di spinta verso l'unità. Sullo sfondo il malumore di parte di SEL, ormai avviata alla scissione.

Ma anche ammettendo una improbabile felice riuscita delle manovre di chi nei due partiti ha pensato la lista Tsipras come crogiolo di una “nuova” sinistra unitaria, è improbabile che il prodotto sia all'altezza delle sfide che il contesto generale italiano ed europeo pone; di più, è improbabile che pur “annacquandosi” identitariamente riesca a dimostrarsi non residuale e velleitario. 

Non c'è oggettivamente lo spazio politico per la sinistra che abbiamo conosciuto dalla Rifondazione Comunista del '91 in poi, a meno che non ci si voglia accontentare di un 4% in via di prosciugamento nel Paese del PD al 40%.

Le cause della cronica debolezza (e della conseguente subalternità) della sinistra italiana post-Bolognina tutta sono infatti identificabili non tanto nella frammentazione e nella litigiosità, quanto in un grave deficit di leadership, di proposta, di analisi, che si tramuta in una pesante rigidità nelle pratiche, nell'organizzazione e nell'ideologia; in un gruppo dirigente a tutti i livelli non all'altezza, spesso reducistico, sconfitto e sbandato, cui un corpo militante (variamente cooptato) rinnova ciclicamente (non si sa quanto consapevolmente) la fiducia; in una inveterata incapacità di fare i conti con la propria storia – superando “nobili genitori”, “grandi gesta” vere o supposte, simbologie, dietrologie e tabù che nel 2014 non parlano più a nessuno.

Non si spiega altrimenti l'incapacità di quella sinistra resa extraparlamentare dalle disastrose elezioni del 2008 di innovare strutture, idee e pratiche per adattarsi alla situazione materiale; sperimentando nuove forme di radicalità nei contenuti a fianco delle tante vertenze e delle variegate esperienze politiche autorganizzate locali; redistribuendo in senso centrifugo le responsabilità politiche ed organizzative per poter essere all'altezza della frammentazione delle lotte e delle soggettività in Italia, senza perdere un'ottica generale ma lasciando perdere la pesantezza di un pletorico “apparato” centrale che oramai niente può vedere e niente può sapere correttamente; e conservando e approfondendo quelle innovazioni ideologiche e filosofiche nate dal “movimento dei movimenti”. 

Avremmo dovuto fare ciò che ora dobbiamo fare; parte di ciò di cui la sinistra avrebbe veramente bisogno per essere utile nelle attuali condizioni e nelle future – oltre alla storica necessità di abbandonare per sempre l'idea di dover (e poter) “salvare la civiltà” con quel che rimane del centrosinistra italiano – vale a dire constatare la scomparsa o l'irrilevanza di comunisti e socialisti come soggetti coerentemente organizzati e trarne slancio per poter superare un '900 importante ma passato per sempre, cimentandosi nel compito storico di darsi un'elaborazione nuova e inclusiva, un immaginario finalmente liberato da figure e figurine soteriologiche, e in definitiva, di costruirsi una storia nel presente e non nel passato.

I mali che affliggono la nostra parte politica non possono essere risolti con la bacchetta magica, non possono essere sconfitti senza una autentica pratica di ricerca collettiva che sviluppi una discussione globale a partire dai bisogni concreti delle persone e da quanto di irrisolto piaga il nostro Paese: dall'opprimente oscurantismo clericale all'assenza di diritti civili e riproduttivi, dal precariato alla disoccupazione alla sistematica espulsione di intere generazioni da scuole e università sempre più disastrate, dall'analfabetismo scientifico alla lenta morte dei saperi umanistici, dal modello “grandi opere” al disinteresse per territori periferici e popolazioni di minoranza. 

Dobbiamo criticare e criticarci. Dobbiamo tutti metterci in discussione.

Una discussione lunga, ampia, approfondita e spietata, condotta senza opportunismi e manie egemoniche di una parte o dell'altra, senza slogan e senza maestri e maestrini. 

Abbiamo bisogno dell'inaudito, non del rimpiattato. Altrimenti prepariamoci ad un'eternità di irrilevanza.

Immagine ripresa liberamente da 2.bp.blogspot.com

Ultima modifica il Sabato, 21 Giugno 2014 23:13
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