Laureato in Storia Contemporanea all’Università di Pisa. Felicemente sposato e padre di due splendide bambine, è attualmente Segretario Regionale toscano del PRC. Non rinuncia, tempo permettendo, a coltivare una decennale passione per il cinema.
Condivido pressoché integralmente il contributo di Raul Mordenti [leggi qui]. Da li quindi vorrei ripartire nella mia riflessione: come Raul non sopporto l’ingenerosità postuma con la quale molti analisti del giorno dopo sembrano liquidare l’esperienza di RC ed il ruolo di Ingroia, e condivido, nella sostanza, l’elenco degli errori individuati nel suo articolo come concause del mancato raggiungimento del 4% alle elezioni politiche.
Lo scorso anno si era affacciato nelle nostre sale un curioso filmetto con una trama tanto improbabile quanto curiosa nel quale si immaginava che il giovane Abramo Lincoln avesse un’identità segreta: giovane di bottega, studente di legge e poi politico in carriera di giorno e cacciatore di vampiri di notte (La leggenda del cacciatore di vampiri diretto da Timur Bekmambetov conosciuto per aver messo su pellicola i primi due capitoli –I guardiani della notte e I guardiani del giorno- di una trilogia Fantasy dello scrittore russo Sergej Luk'janenko).
Su Abramo Lincoln è uscita negli USA, e fra pochi giorni anche in Italia, l’ultima fatica di Steven Spielberg il quale, dopo Amistad, tratta un’altra volta il tema della lotta contro la segregazione razziale nel suo paese.
Il dibattito che si è sviluppato all’interno del PRC sulla candidatura di Ingroia e la lista unitaria, con relativo simbolo, è a mio parere molto significativo. Intorno a questo importante passaggio tattico, efficacemente tratteggiato da Mauro Lenzi nel suo articolo (leggi qui) che condivido pressoché integralmente, si è innescata una discussione all’interno del partito dalla quale affiorano, in diverse realtà, due sentimenti.
Il primo è quello che definirei sindrome del tradimento: i gruppi dirigenti del partito ci hanno già tradito in passato e anche stavolta il loro unico obiettivo è tornare in Parlamento. Il secondo invece è quello identitario che porta a preferire la “bella morte” abbracciati ai nostri vessilli (perché tanto io sono e resterò sempre “comunista dentro”), alla possibilità di arrestare l’inerzia e risalire la china quanto meno sul versante della sopravvivenza. Entrambi i sentimenti tratteggiano una tendenza, segnalano un problema, impongono una risposta.
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