La domanda però è un’altra. Di fronte alla peggiore crisi economica e sociale dal 1929; alla sonora bocciatura popolare del governo Monti e della sua maggioranza; al fatto che in RC si fossero comunque coalizzate tutte quelle forze che, in Parlamento e fuori, si erano battute contro le scelte economiche e sociali di quel governo proponendo un programma alternativo, di fronte a tutto ciò bastano i nostri errori a spiegare non il mancato raggiungimento del 4% , ma il risultato complessivo di questa tornata elettorale? La mia risposta è NO!
Cosa ci dicono queste elezioni politiche? 1) Gli elettori hanno votato contro le politiche di austerità proposte nell’ultimo anno dal Governo Monti e dalla sua maggioranza. 2) Berlusconi torna nell’agone politico e la sua coalizione sfiora la maggioranza assoluta alla Camera in virtù di proposte come il condono tombale. Egli ha prima costruito, nell’arco di 20 anni, senso comune ed immaginario e poi, puntualmente, ne raccoglie i frutti a dimostrazione che gli elettori hanno i rappresentanti ed i governi che si meritano! 3) La coalizione di Centro-Sinistra entra in conclave con un Papa legittimato da un complesso e articolato percorso partecipativo, benedetto da almeno tre mesi di solitaria e tambureggiante propaganda nei mezzi di comunicazione, ed esce politicamente sconfitto insieme, o forse a causa, di uno dei peggiori Presidenti della Repubblica della storia recente.
In questo contesto il M5S fa il pieno del malcontento contro il Governo ed i suoi sostenitori e lo fa grazie ad un impianto politico prevalente così riassumibile: “sono tutti ladri, devono andare tutti a casa, la casta e i partiti sono i responsabili di quanto sta accadendo”.
Ecco io credo che sostanzialmente la vittoria di Grillo, e con essa la nostra sconfitta STORICA prima ancora che elettorale, stia tutta qui. In queste elezioni ci è stata sbattuta in faccia una verità che noi conosciamo da un secolo ma che per lungo tempo abbiamo fatto finta di ignorare, addirittura negandone i presupposti teorici: il nostro popolo, i lavoratori, i pensionati o i precari soffrono per la crisi, vivono senza prospettive e al limite condividono anche la giustezza di molte nostre proposte, il punto è che ormai per loro tutto ciò non rappresenta più la priorità politica. Mentre noi parliamo di “conflitto di classe” nel senso comune del nostro popolo è invece centrale il “conflitto di casta”. In assenza di un intervento consapevole di un soggetto politico cosciente che ricostruisca il nesso fra disagio sociale e risposta di classe, si subisce l’egemonia ed il senso comune prevalente.
Grillo è il più coerente interprete, ed al contempo amplificatore, di questo fenomeno. Egli infatti non si schiera programmaticamente (è di sinistra sulla TAV e di destra sui migranti), socialmente (si rivolge indifferentemente a operai e padroni) e culturalmente (è indifferente a categorie quali destra-sinistra, fascismo-antifascismo), e drena tutto questo malcontento, ormai liberato appunto dalle divisioni programmatiche, sociali e culturali novecentesche, scagliandolo contro la “casta”. Infatti il profilo politico prevalente di quel movimento tende ad assestare il colpo definitivo non ai privilegi di alcuni, ma al sistema della democrazia rappresentativa; non a quei partiti che hanno sostenuto politiche sbagliate, ma a tutti i partiti in quanto soggetti organizzati e democratici di costruzione del consenso ed elaborazione programmatica, sostituiti da “cittadini” che si riconoscono in un capo senza autonomia o mediazioni. Io penso che il M5S non sia che un ulteriore passo, e forse neanche l’ultimo, iniziato da qualche decennio, lungo la strada di un progressivo smantellamento degli istituti della rappresentanza democratica. In questo senso esso è omogeneo e non antagonista rispetto agli obiettivi di controriforma istituzionale e costituzionale dei cosiddetti poteri forti.
Perché in Italia accade tutto ciò? La ragione di fondo, a mio parere, è che nel paese che ha avuto il più grande PC dell’occidente, nel quale quel partito ha scelto non solo di abbandonare la propria radice marxista, ma persino qualsiasi riferimento simbolico e teorico all’organizzazione e alla rappresentanza del mondo del lavoro, il nodo delle ragioni storiche di una sconfitta, e di come, nei tempi medi e lunghi, quella sconfitta e i mutamenti che avrebbe prodotto nella società, hanno inciso strutturalmente sul paese e nelle coscienze, ebbene tutto questo non è stato mai affrontato e sciolto. Questa lacuna non è stata colmata neanche da chi, con non poco coraggio, aveva deciso di “rifondare il comunismo”. Noi ci siamo spesso limitati ad amministrare un patrimonio di passione e idealità, senza mai affrontare in modo serio temi generali quali le ragioni della sconfitta del movimento operaio, le ricadute nel senso comune che avrebbe avuto, a lungo termine, la supplenza della magistratura nel ricambio di classe dirigente, il berlusconismo (oltre Berlusconi), l’affermazione di un sistema bipolare, l’assunzione a valore della fine delle ideologie ecc.
Al contrario, nel corso degli anni abbiamo assecondato una sorta di culto della personalità, modalità di relazioni interne basate più sulle caste che sulla libera discussione, abbiamo addirittura accarezzato teorie reazionarie quali quella della fine del lavoro (altro che conflitto di classe). Se errori abbiamo fatto, secondo me, non vanno cercati tanto negli ultimi 11 mesi, ma negli ultimi 20 anni nei quali abbiamo oscillato continuamente fra riesumazione e rimozione, senza mai fare davvero i conti proprio con la “rifondazione comunista”.
Se tutto ciò è vero, come spesso accade nella vita, “ex malo bono”! Un risultato come questo è talmente definitivo da non lasciarci davanti zone grigie o ambiguità. Non ci sono scorciatoie. O ci rimettiamo rapidamente a studiare chiamando insieme a noi soggetti sociali e politici, storici, economisti sociologi che ci aiutino a riprendere il filo del nostro discorso e a capire cosa e come è cambiata nel profondo la nostra società, o saremo capaci di questo livello di discontinuità, oppure, come dissi prima delle elezioni, è giusto scomparire in quanto inutili. Dobbiamo rifuggire come la peste il “pragmatismo suicida” di chi, considerando tutto ciò una sorta di “vezzo intellettualistico”, ha contribuito a fare della tattica, per lo più elettorale, la nostra strategia, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Oggi dobbiamo essere liberi di discutere, abbiamo bisogno di ragionare e studiare senza tabù, la situazione è tale che nessuna opzione può essere considerata “eretica” o peggio usata, come accaduto troppe volte nel nostro partito, per selezionare i fedeli ed epurare gli altri.
Se così sarà, credo valga la pena spendere ancora risorse ed energie per la nostra impresa, se, al contrario, dovessimo ricadere nei vecchi vizi autoreferenziali, più che di un nuovo gruppo dirigente, dovremmo dotarci di un bravo curatore fallimentare.
Immagine tratta da sombrasdeneon.blogspot.it