Con uno degli anglicismi sgangherati cui ci siamo abituati negli ultimi anni il Governo sembra intenzionato a licenziare lo “student act”, nulla di più che una serie di misure cosmetiche riguardo la contribuzione universitaria e il diritto allo studio. Perché cosmetiche?
La rimodulazione dei parametri del nuovo calcolo dell’indicatore ISEE della situazione economica, in vigore da quest’anno, fa virtualmente sembrare più ricche, rispetto al calcolo precedente, molte persone e famiglie: questa la denuncia, rilanciata più volte nell’ultimo anno, di sindacati e associazioni di categoria. Diverse organizzazioni studentesche avevano paventato che uno degli effetti più macroscopici si sarebbe abbattuto sull’accesso all’università e alle borse di studio: molti studenti che fino all’anno scorso risultavano averne i requisiti economici, con il nuovo calcolo dell’ISEE ne avrebbero perso il diritto; mentre gli studenti che non avendo borsa di studio pagano le tasse universitarie, generalmente fasciate per reddito, se le sarebbero viste aumentate.
Nel 1998 è stata promulgata la prima legge (109/98) sull’ISEE; all’epoca manifestai in ogni modo la mia contrarietà e detti origine al Comitato per la difesa delle persone non autosufficienti, trasformato nell’Associazione ADiNA dopo qualche anno. La critica era sostanziale ancorché approssimativa: in un sistema fiscale in cui alcune categorie di persone hanno una capacità di evasione altissima, le prestazioni assistenziali non possono essere direttamente legate alla dichiarazione dei redditi.
L’omogenizzazione del servizio su tutto il territorio nazionale, obbiettivo della legge 109/98, non mi sembra sia stato raggiunto (anche se non ho sufficienti strumenti per certificarlo) mentre si è persa sicuramente la funzione intelligente (potenzialmente) dell’assistente sociale e del medico nell’interpretare il bisogno e nel definire la risposta. Gli/Le assistenti sociali sono oggi categoria professionale trasformata in amministrativi e giustamente condannata dai cittadini.
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