Martedì, 18 Marzo 2014 00:00

Il nostro jobs act #1 - Rapporti di lavoro e salario

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Dall'annuncio del nostro amato (ex) sindaco, come suo costume del tutto privo di contenuto e buttato li solo per fare clamore, un po' chiunque si è cimentato nel criticare una cosa che non c'era (anche con effetti piuttosto ridicoli) . Pochi altri, magari un po' ingenuamente, hanno colto la possibilità offerta dal clamore mediatico del jobs act (poveri noi!) di rilanciare un dibattito sul lavoro, non criticando il piano invisibile di Renzi ma offrendo le proprie idee alla discussione (più o meno consapevoli che il loro sforzo intellettuale andrà sprecato, invero). Può quindi questo giornale sottrarsi alla sfida di dire delle clamorose ovvietà sul mercato del lavoro che dovrebbero essere scontate per tutti e che, quindi, non vedranno mai il voto in parlamento? Certamente no!

E quindi, here is our jobs act.

1. I rapporti di lavoro

Un po' come chiunque, e siamo consapevoli di essere banali, anche noi riteniamo imprescindibile una riduzione delle forme contrattuali messe a disposizione negli anni dal legislatore ai datori di lavoro, con l'esplicito intento di confondere la materia in modo da rendere più facile operare nell'illegalità sicuri di farla franca davanti all'ispettore della Direzione Territoriale del Lavoro o davanti al giudice. Un cambio di rotta importante sarebbe cominciare a chiamare le cose con un nome solo.

Il lavoro o è autonomo o è subordinato, non esistono forme intermedie. Se il soggetto che paga organizza e dirige anche il lavoro, allora siamo nell'ambito del lavoro subordinato; se il soggetto che paga chiede di realizzare un opera in totale autonomia, allora siamo nell'ambito del lavoro autonomo.

Non è difficile riconoscere la differenza.

Nel primo caso: contratto di lavoro subordinato regolato dal Contratto Collettivo Nazionale di riferimento per il settore, a tempo pieno ed indeterminato. Due eccezioni: il tempo determinato (con causali rigide), e il tempo parziale, che deve essere una risorsa per il lavoratore e non uno strumetno con cui l'azienda possa garantirsi illegittimamente sacche di flessibilità.

Nel secondo caso: Partita Iva, che deve diventare una opzione facilmente accessibile sia dal punto di vista burocratico che fiscale. La scelta di aprire partita IVA deve essere una possibilità ragionevole e non può essere vissuta come una maledizione che capita a chi non vuole o non trova un lavoro subordinato.

2. Il salario

Sembra che in questo paese sia passata di moda l'usanza di pagare (in giusta misura o del tutto) il lavoro svolto da un soggetto a favore del committente o del datore di lavoro. Recuperare il senso del valore del lavoro, e di conseguenza anche del corretto compenso per il lavoro svolto, oltre che un'operazione culturale avrebbe anche una serie di effetti collaterali positivi tra i quali, a titolo di esempio: rilanciare il consumo interno, disincentivare l'emigrazione verso paesi dove i lavoratori vengono addirittura pagati (si sa che all'estero hanno usanze strane), evitare la contrazione dei salari come ammortizzatore sociale per le aziende, scongiurare la creazione di un esercito di cittadini senza pensione.

Se per anni i nostri imprenditori sono rimasti competitivi sul mercato grazie alla svalutazione competitiva della lira, ora che non si può più svalutare la moneta si svalutano i salari.

Ma non solo il privato è responsabile della contrazione dei redditi da lavoro. Il legislatore agisce sulla normativa non solo per agevolare il ricorso all'illegalità nel privato, ma opera anche per ridurre i costi nel pubblico impiego a danno dei lavoratori: “rinegoziando” unilateralmente i contratti pubblici per decreto (al ribasso, s'intende!), producendo forme contrattuali che consentono al datore di lavoro pubblico di non pagare la prestazione (docenti a contratto nelle università), utilizzando forme contrattuali illegittime (falsi collaboratori e false partite iva), mettendo a bando incarichi per professionisti con budget evidentemente sottodimensionati, appaltando servizi con basi d'asta talmente basse da non coprire neanche il costo minimo del salario dei dipendenti delle ditte vincitrici ed infine, molto più semplicemente, non pagando quanto dovuto ai professionisti che operano su incarico.

I lavoratori subordinati devono avere un contratto collettivo di riferimento, che sia univocamente determinato per settore, che deve essere rinnovato nei tempi previsti, e devono essere previsti meccanismi di tutela per i lavoratori se il rinnovo ritarda.

Analogamente a quanto accade per il lavoro dipendente, anche il “valore” economico del lavoro autonomo è costantemente calato; stabilire dei “minimi” favorirebbe una più adeguata permanenza sul mercato del vero lavoro autonomo e un minore vantaggio per il ricorso al falso lavoro autonomo, anche se siamo consapevoli che un sistema per definire un compenso minimo/equo per lavoratrici e lavoratori autonomi sia molto complesso da disegnare, soprattutto per coloro che esercitano attività “a forfait” e non sistematicamente riconducibili ad un costo orario.

Un primo passo in avanti sarebbe intervenire sulle modalità di stesura, da parte delle amministrazioni pubbliche, dei capitolati delle gare d’appalto. Devono essere previsti meccanismi che impediscano che i ribassi si scarichino sui salari dei lavoratori, e, in caso di rinnovo, devono essere previste clausole che obblighino alla riassunzione del personale che già opera sull’appalto. Allo stesso modo, nel caso di assegnazioni di incarichi a liberi professionisti o di bandi “a forfait”, che spesso riguardano il lavoro creativo, deve essere esplicitato il numero di giornate di effettivo lavoro previsto per l’esecuzione del lavoro, ed il costo giornaliero minimo stimato per la prestazione.

Ultima modifica il Lunedì, 17 Marzo 2014 20:38
Beccai

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