Su quest'ultimo punto, anche alla luce delle stesse dichiarazioni del Maniaci, sembra vi siano pochi dubbi circa una violazione di ciò che dovrebbe essere il normale rapporto tra un giornalista ed una sua fonte di informazioni (appare poco chiaro, per altro, il perché, in alcune intercettazioni giunte ai media, Maniaci “avvisi” il sindaco di Borgetto circa presenze mafiose all'interno della sua maggioranza) che è, contemporaneamente, sottoscrittore di pubblicità presso Telejato. Sulla condotta professionale sarà però l'Ordine dei Giornalisti ad esprimersi e ciò a prescindere dall'andamento del processo e dagli specifici fatti contestati.
Sugli altri aspetti della vicenda, il racconto che viene fatto, appare, con tutta evidenza, viziato da un sensazionalismo che è, probabilmente, tara genetica che ha attraversato, e sempre attraverserà, l'attività giornalistica. Quale interesse pubblico rivestono i rapporti privati, privi di ogni rilevanza penale (fatta eccezione, eventualmente, per l'assunzione in nero della signora in Comune), del Maniaci con una privata cittadina? Perché intercettazioni che non hanno alcuna rilevanza penale sono state diffuse alla stampa? Perché si è creato, ad uso e consumo dei media, uno specifico video, da parte dell'Arma dei Carabinieri, con spezzoni di intercettazioni non comprese nel fascicolo riguardante l'indagato?
La tesi del complotto, lanciata e rilanciata da Maniaci e dai propri avvocati, per quanto suggestiva, appare poco probabile, anche se alcuni aspetti sulla conoscenza da parte di indagati in altri processi (si ci riferisce alla vicenda riguardante l'ufficio misure di prevenzione del Tribunale di Palermo) dell'indagine a carico del giornalista andrà approfondita, anche per i risvolti penali di questa diffusione, presunta, di notizie.
Rimane, e rimarrà, dal punto di vista mediatico, l'ingigantimento di una vicenda piccola, di provincia, che poteva e doveva essere trattata con il criterio dell'essenzialità della notizia e del rispetto della dignità della persona umana.
Rimane, e rimarrà, nell'opinione pubblica, una certa attenzione morbosa per gli aspetti più intimi della vita altrui, ed una assenza, pressoché totale di garantismo, che dovrebbe interrogare, in primo luogo, gli operatori dell'informazione - cavalcatori delle deleterie passioni del pubblico - ed il legislatore circa l'urgenza di una legge sulle intercettazioni che, fermo restando il loro utilizzo ai fini di giustizia, limiti, anche dopo la diffusione alle parti, l'esposizione, la vergogna, spesso l'incolumità delle persone, su aspetti che non appartengono alla sfera conoscibile da tutti.
Non si tratta di prendere le parti di una certa antimafia, verso la quale chi scrive non prova la benché minima simpatia, che si è creata un mito eroico, spesso immotivatamente, di sé stessa. Non si tratta di schierarsi pro o contro (Maniaci non è né un paladino né un mostro), si tratta di avviare una riflessione su come la giustizia viene raccontata nel nostro Paese: e che sia una discussione pubblica, vera, perché, anche se non sembra, è affare che ci riguarda tutti.